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Il canton Vaud normalizza la sua politica d’asilo

La famiglia Demiri, rifugiata nella casa parrocchiale di Malley a Losanna, dovrà presto lasciare la Svizzera Keystone

Il governo vodese ha ceduto alle esigenze del federalismo, confermando giovedì l’ordine di rimpatrio per più di 500 richiedenti l’asilo.

A differenza degli altri cantoni, finora Vaud si era rifiutato di dare seguito sistematicamente alle decisioni di rimpatrio prese dalla Confederazione.

«Il Consiglio di Stato conferma la sua volontà di assicurare, entro la fine del 2004, il rimpatrio effettivo delle persone che non beneficiano di un permesso provvisorio. Qualora fosse necessario, i rinvii saranno forzati».

È in questi termini che le autorità vodesi hanno risposto giovedì ad una risoluzione adottata la settimana scorsa dalla maggioranza dei parlamentari del cantone (80 voti favorevoli e 47 contrari).

Provenienti tanto dalle file della destra come da quelle della sinistra, i deputati chiedevano al magistrato che si occupa delle pratiche inerenti l’asilo – il democentrista Jean-Claude Mermoud – di rinunciare al rinvio forzato di 523 persone deciso dall’Ufficio federale dei rifugiati (UFR).

Il testo inoltrato dai parlamentari faceva notare che «un numero considerevole di queste persone appartiene a dei gruppi per i quali, nel caso di un rientro in patria, il rischio di subire nuovi traumi è elevato. Si pensi alle donne sole provenienti dal Kossovo, ai sopravvissuti del massacro di Srebrenica o alle famiglie con dei bambini che finora hanno passato tutta la loro vita nel nostro paese. Sarebbe un atto sproporzionato e umanamente inaccettabile quello di prendere delle misure coercitive nei loro confronti».

Legale ma ingiusto

Il radicale Jean Martin, autore della risoluzione, precisa: «In materia d’asilo, Vaud deve avvicinarsi alla linea di condotta degli altri cantoni e della Confederazione. Ma questo cambiamento di rotta non deve essere fatto a spese delle persone che fin qui hanno goduto della protezione vodese. La decisione presa dalle autorità cantonali è perfettamente legale, ma è anche profondamente ingiusta».

È proprio l’insieme di queste ragioni che finora aveva spinto il governo del canton Vaud a non dare seguito all’ordine di rimpatrio concernente le persone in questione. Responsabile del settore dell’asilo negli anni Novanta, Claude Ruey ricorda che il problema viene in prima istanza da Berna.

«Il canton Vaud non ha differito il rimpatrio dei richiedenti l’asilo che potevano essere rinviati rapidamente nel loro paese», afferma Ruey, oggi consigliere nazionale liberale. «È solo nel caso in cui i richiedenti erano in Svizzera da più di quattro anni a causa dei tempi delle procedure federali che le autorità cantonali hanno cercato una soluzione umanitaria».

Nel contempo, continua Ruey, «i criteri di concessione dei permessi di soggiorno umanitari sono diventati sempre più rigidi in seguito alle pressioni esercitate dall’Unione democratica di centro, il partito della destra dura». È per questo che il numero di dossier rimasti nei cassetti delle autorità vodesi si è elevato a 1280.

Una tradizione di resistenza

Bisogna inoltre ricordare che il canton Vaud ha una lunga tradizione di difesa dei richiedenti l’asilo. Una tradizione che esercita il suo influsso sul governo cantonale. Alcune organizzazioni, provenienti dalla sinistra e dalle Chiese, hanno addirittura creato un servizio di aiuto giuridico agli esiliati. «È un organismo unico in Svizzera», afferma Magalie Gafner, giurista del Centro sociale protestante.

Ciò nonostante il Consiglio di Stato vodese ha infine cambiato rotta, firmando il 28 maggio scorso un accordo col Dipartimento federale di giustizia e polizia. L’accordo era destinato a decidere una volta per tutte il destino delle 1280 persone il cui dossier non era ancora stato chiuso.

Inversione di tendenza

Giovedì, le autorità vodesi hanno ricordato che 700 di questi richiedenti l’asilo hanno ottenuto un permesso di soggiorno. Non sono tuttavia intenzionate a riprendere in esame i dossier delle 523 persone respinte definitivamente dall’Ufficio federale dei rifugiati.

Unica concessione: il cantone prolunga di 10 giorni il termine d’iscrizione per il programma d’aiuto al ritorno in patria. Fa piazza pulita, per contro, delle soluzioni alternative, come l’ottenimento di un permesso di lavoro, suggerite dai parlamentari e dal Coordinamento per l’asilo. Silenzio, infine, sulle ragioni per le quali delle persone da lungo tempo residenti in Svizzera non hanno ottenuto un permesso di soggiorno.

La situazione è tesa e c’è da scommettere che il braccio di ferro continuerà. Intanto, commenta Marie-Claire Caloz-Tschopp, professoressa all’Università di Ginevra, resta la speranza che il caso del canton Vaud riaccenda il dibattito in Svizzera. «Bisogna ritrovare il coraggio di difendere una linea alternativa a quella proposta da Christoph Blocher e dal suo partito, l’UDC».

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione e adattamento, Doris Lucini)

In maggio, il canton Vaud ha chiesto all’Ufficio federale dei rifugiati di riesaminare il caso di 1280 richiedenti l’asilo respinti.

In seguito a questo riesame, l’Ufficio federale dei rifugiati ha confermato la decisione di rimpatrio per 523 persone.

Si tratta per la maggioranza, 396 casi, di persone provenienti dalla ex Jugoslavia.

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