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Il Sud Sudan ha ancora bisogno di aiuti

Nel Sud Sudan vi è quasi tutto da ricostruire dopo 20 anni di guerra civile Keystone Archive

Secondo Walter Kälin, incaricato speciale dell'ONU per i diritti dei profughi interni, ulteriori aiuti sono necessari per assistere la popolazione nel Sud Sudan.

Mentre gli accordi di pace dovrebbero garantire la fine di un conflitto ventennale, il ritorno degli sfollati si svolge in un clima di insicurezza.

Al termine di una visita di 10 giorni nelle regioni meridionali del Sudan, Walter Kälin ha invitato questa settimana la comunità internazionale ad intervenire per garantire i diritti delle persone sfuggite alla guerra civile, che desiderano ora ritornare a casa loro.

Le Nazioni unite stanno cercando di assicurare la protezione di circa mezzo milione di sudanesi che dovrebbero far rientro nei prossimi 6 mesi.

Per questo motivo, i rappresentanti dell’ONU hanno chiesto un contributo pari a 48 milioni di dollari (62 milioni di franchi) per garantire un tetto e altri bisogni di prima necessità agli sfollati.

swissinfo: Nelle regioni meridionali del Sudan regna attualmente un clima di pace. Ma in che misura la situazione può essere considerata sicura per la popolazione?

Walter Kälin: La situazione resterà sicura fino a quando la pace sarà garantita. Dal momento che non tutti i problemi sono stati risolti, non è comunque consigliabile di recarsi in qualsiasi zona di questa regione.

Alcuni villaggi non sono ancora accessibili per via delle mine. In altri sussistono tuttora delle milizie che non rispettano la disciplina e molestano la popolazione civile. E, a livello generale, vi sono ancora troppi civili armati, soprattutto giovani, che potrebbero costituire un pericolo per gli sfollati che rientrano. La situazione è quindi molto volatile a seconda delle diverse zone.

swissinfo: Il problema non è quindi la pace, ma piuttosto la sicurezza?

W.K.: Il primo obbiettivo era quello di raggiungere la pace, ciò che ha rappresentato un passo gigantesco per il Sud Sudan. Ma la prossima tappa sarà di garantire anche la sicurezza e la stabilità in questa regione. Con il dispiegamento delle forze di pace delle Nazioni unite si è fatto un primo passo, ma rimangono ancora da coprire enormi bisogni.

swissinfo: I militi dispiegati dalle Nazioni unite non sono sufficienti per garantire la sicurezza?

W.K.: La presenza delle forze dell’ONU può bastare ad assicurare la protezione delle persone sfollate, ma non a garantire i loro diritti. Finora, i militi delle Nazioni unite rimangono concentrati soprattutto nelle zone urbane. In futuro sarebbe necessaria una presenza più capillare delle forze dell’ONU in ogni regione del Sud Sudan.

swissinfo: A quali problemi si vedono confrontati gli sfollati al loro ritorno?

W.K.: Oltre alla questione della sicurezza vi è sicuramente la mancanza di ogni cosa. Ad esempio di acqua potabile al di fuori dei principali centri abitati. Ma vi sono tuttora comunità che soffrono la fame, in seguito alla penuria di prodotti agricoli. Mancano inoltre diversi altri servizi fondamentali, come quelli sanitari o scolastici.

swissinfo: Bisognerebbe invitare gli sfollati a non ritornare ancora attualmente nel Sud Sudan?

W.K.: Non è ancora il momento di organizzare un rientro in massa degli sfollati. Ma molta gente è impaziente e ritorna spontaneamente nel Sud Sudan. Risulta piuttosto difficile distogliere queste persone dal loro intento.

Per questo motivo ho invitato le autorità di Karthoum e la comunità internazionale ad assicurare assistenza umanitaria e protezione in favore di queste persone.

swissinfo: Che cosa possono fare dei paesi come la Svizzera in favore del Sudan?

W.K.: La Svizzera non può svolgere attualmente un grande ruolo politico. Dovrebbe quindi concentrare i suoi sforzi, sfruttando la sua posizione di paese donatore per far pressione sulle organizzazioni internazionali e sulle organizzazioni non governative affinché realizzino rapidamente i loro programmi di assistenza nella regione.

swissinfo: Alcuni paesi come la Svizzera hanno già proposto di passare dagli aiuti umanitari a programmi di cooperazione allo sviluppo? Le sembra già opportuno?

W.K.: Non credo che questo approccio sia già attualmente appropriato per il Sud Sudan. In seguito alla mancanza di infrastrutture, la popolazione resterà ancora per un po’ di tempo dipendente dagli aiuti umanitari. Bisogna però evitare di spostare semplicemente dei campi profughi dal nord al sud. Il processo di ricostruzione deve quindi cominciare già ora, mentre continua l’assistenza umanitaria.

swissinfo: Quale consulente specializzato delle Nazioni unite, come valuta le prospettive di questo paese africano?

W.K.: Il Sudan è il paese africano in cui la situazione è più grave per quanto concerne le persone sfollate. Al conflitto ventennale nelle regioni meridionali si è aggiunta negli ultimi anni la crisi del Darfur, estremamente preoccupante. Nelle ultime due settimane la situazione è peggiorata in questa regione con gli attacchi alle forze di pace africane.

Ma nel Sud Sudan si è comunque aperto ora uno spiraglio di speranza. E bisogna fare in modo che questo spiraglio possa servire ad evitare dall’inizio nuovi problemi al momento del ritorno degli sfollati. Bisogna tra l’altro impedire l’apertura di una nuova crisi dal profilo dei diritti umani in questa regione.

swissinfo, intervista di Scott Capper
(traduzione Armando Mombelli)

Nel Sudan vi sono circa 4 milioni di persone sfollate.

I due terzi di queste persone sono sfuggite alla guerra civile che ha insanguinato per 21 anni le regioni meridionali del paese.

Un accordo di pace per porre fine a questo conflitto tra le forze del governo musulmano di Karthoum e le popolazioni del Sud cristiane e animiste è stato firmato nel gennaio scorso.

2 milioni di persone sono fuggite invece alla guerra in corso nella regione occidentale del Darfur dal 2003.

Docente all’Università di Berna, il 53enne Walter Kälin viene considerato uno dei massimi esperti internazionali di diritti umani.

Nel 2003 è stato nominato membro della Commissione dei diritti umani delle Nazioni unite.

Nel settembre scorso ha ricevuto dal segretario generale dell’ONU Kofi Annan il mandato di incaricato speciale per i diritti dei profughi interni.

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