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Nessun reato in Ticino nella vicenda dei permessi facili

L'inchiesta era nata in realazione al caso del giudice Verda (a destra nel disegno) , poi processato per le sue relazioni con il presunto boss del contrabbando Cuomo (a sinistra) Keystone

I tre funzionari dell'amministrazione cantonale sospettati di avere in qualche modo facilitato, dietro compenso, il rilascio di permessi di soggiorno a cittadini stranieri, non hanno commesso alcun reato. È questa la conclusione a cui è arrivata, dopo un anno di accertamenti, l'indagine del Ministero pubblico ticinese.

L’inchiesta era nata nell’ambito del caso Cuomo- Verda, il presunto boss napoletano del contrabbando e l’ex presidente del Tribunale penale, condannati recentemente a Lugano nel processo per il Ticinogate, e soprattutto in seguito alle rivelazioni di Alberto Zoppi, impiegato come giurista presso il Dipartimento Istruzione e Cultura. Zoppi – arrestato il 24 agosto dell’anno scorso e rimesso in libertà provvisoria dopo un mese di carcere – con diverse lettere anonime aveva denunciato delle irregolarità nella concessione dei permessi di soggiorno a personaggi più o meno equivoci, tra i quali lo stesso Cuomo.

Il “Corvo”, come era stato battezzato dalla stampa, con le sue denunce aveva tirato in ballo l’avvocato calabrese Francesco Moretti, come l’uomo che all’interno dell’apparato amministrativo dello Stato, e fuori di esso, poteva contare sulle amicizie giuste per favorire i suoi clienti. Sempre nell’estate scorsa, nello studio luganese di Moretti, attualmente in carcere perché sospettato di corruzione e riciclaggio, la polizia aveva trovato durante una perquisizione quasi 12 milioni di franchi in contanti.

Si apriva così un altro capitolo del Ticinogate, con l’avvio di un’inchiesta penale, che aveva portato pure alla perquisizione di alcuni uffici dell’amministrazione cantonale, nonché di un’indagine interna promossa dal Governo cantonale. Dopo l’arresto, Zoppi ha ammesso che lavorava “in nero” per Moretti, scrivendo istanze e ricorsi per i permessi di soggiorno. Nel corso dell’istruttoria è emerso che i due avevano ottenuto dai clienti di Moretti cospicue somme di denaro, prospettando loro la possibilità di ottenere decisioni di favore per i permessi corrompendo alcuni funzionari. Somme che invece, stando alla loro stessa confessione, avrebbero intascato senza versare un franco a nessuno.

Nonostante queste ammissioni, il procuratore generale Luca Marcellini e il procuratore pubblico Bruno Balestra hanno esaminato tutte le pratiche sospette in cui erano coinvolti l’allora capo della Sezione stranieri, un funzionario dell’Ufficio del promovimento economico e il capo dell’ Ufficio manodopera estera. A carico di essi era stata pure promossa un’indagine patrimoniale, per individuare eventuali fondi di provenienza illecita.

Lunedì, il ministero pubblico ha comunicato che i tre non hanno commesso nessun reato trattando le richieste di permesso presentate da Moretti e Zoppi. Alcune “anomalie” di carattere amministrativo, riscontrate nel corso degli accertamenti giudiziari, saranno esaminate dalla Commissione istituita dal Consiglio di Stato.

Con questa decisione si chiude un’inchiesta che, dopo il terremoto provocato al Palazzo di giustizia dalla vicenda Cuomo-Verda, aveva lambito pericolosamente anche il Palazzo del Governo, proiettando inquietanti ombre sulla corretta gestione di alcuni settori della pubblica amministrazione.

Libero D’Agostino

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