Punire chi nega il genocidio armeno? Un tribunale deciderà

Nuova fase di tensione per i rapporti fra Svizzera e Turchia. Da martedì, 17 rappresentanti di associazioni turche compaiono davanti a una corte distrettuale di Berna per avere negato l'esistenza del massacro del popolo armeno, compiuto all'inizio del secolo. Per la prima volta, la legge antirazzismo svizzera potrebbe applicarsi a un genocidio diverso da quello perpetrato dai nazisti contro gli ebrei.
L’articolo 261bis punisce con la prigione o con una multa chiunque neghi, minimizzi o cerchi di giustificare un genocidio o altri crimini contro l’umanità. È quanto forse fecero nel 1996 otto associazioni di cittadini turchi in Svizzera, che in una petizione indirizzata al parlamento elvetico scrissero: “Chi parla di genocidio contro gli armeni deforma la verità storica.” Contro questa affermazione la società Svizzera-Armenia ha sporto denuncia e la questione si trova ora nelle mani di un giudice del circolo distrettuale Berna-Laupen.
La Turchia ha sempre rifiutato di parlare di genocidio del popolo armeno. Per il governo di Ankara, gli armeni che dal 1915 al 1917 perirono nei massacri e durante le deportazioni organizzate alla fine dell’Impero ottomano soccombettero ai disordini provocati dalla guerra civile e dalla carestia. Secondo Ankara, inoltre, i morti furono 500.000 e non un milione e mezzo, come affermano altre fonti.
Per la Turchia, ammettere questo genocidio significherebbe macchiare con l’infamia di un massacro pianificato la fondazione dello Stato turco, i cui fondatori avevano visto nel popolo armeno un ostacolo all’unità nazionale. Oltre a questa ragione storica, la Turchia teme che il genocidio armeno possa essere usato dagli avversari del suo avvicinamento all’Unione europea, già oberato del peso della feroce repressione contro il popolo curdo nell’est del paese.
Ma già al momento dei fatti, diplomatici esteri e rappresentanti politici parlarono di sradicamento di un popolo, di sterminio di una razza e di deportazione. Ricerche storiche compiute in questi ultimi decenni e numerosissime testimonianze hanno permesso di confermare il genocidio, che servì d’altronde da esempio ad altri episodi di terrore di questo secolo, come l’Olocausto del regime nazionalsocialista in Germania e la repressione su larga scala della dittatura stalinista in Unione sovietica.
La giustizia bernese, chiamata in causa dalla denuncia della società Svizzera-Armenia, può riferirsi a un discreto numero di precedenti. Nel 1985 e nel 1987 il genocidio armeno è stato riconosciuto rispettivamente da una sottocommissione dell’Onu per i diritti umani e dall’europarlamento. L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha compiuto il passo nel 1998, mentre nel 1995 una corte francese ha pronunciato una condanna contro una persona che aveva negato questo genocidio. Sempre in Francia, il parlamento ha approvato un disegno di legge che qualifica i massacri contro gli armeni di genocidio.
Da parte sua, la camera bassa del parlamento svizzero ha respinto di stretta misura, nel marzo scorso, un postulato che chiedeva di riconoscere il genocidio armeno. La vicenda aveva suscitato grande interesse sulla stampa turca ed aveva preoccupato fortemente l’ambasciatore turco a Berna, anche se un postulato non vincola il governo svizzero ad agire. Il ministro degli esteri svizzero Joseph Deiss ha dal canto suo nuovamente parlato di “tragici avvenimenti e di massacri avvenuti durante la guerra”, ma il governo elvetico si è sempre rifiutato di ricorrere al termine di genocidio.
La Turchia ha sempre detto che la questione armena deve essere esaminata dagli storici e non dai parlamenti di paesi terzi. L’inizio di questo esame sembra però ancora molto lontano. Anzi, secondo diversi commentatori, la società turca è malata e avrebbe bisogno di uno psichiatra per curare la sua isteria. Il “dovere di memoria”, come l’ha definito un giornale francese, è ora nelle mani di un giudice di Berna. La sentenza è prevista per il 14 settembre.
Mariano Masserini

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