
Scatti sull’invisibile: Anastasia Mityukova fotografa la silenziosa neutralità elvetica

Durante le Giornate Fotografiche di Bienne, concluse il 25 maggio, l’artista svizzero-russa Anastasia Mityukova ha presentato la prima fase del suo progetto fotografico Quiet Neutrality. L’opera, più che una serie di fotografie, è un’esplorazione critica nella quale traspare una domanda precisa: quanto è davvero “neutrale” la neutralità svizzera?
Com’è possibile un’eccedenza di bilancio di 1,3 miliardi di franchi svizzeri? È la domanda che Anastasia Mityukova si pone leggendo una notiziaCollegamento esterno sul Canton Ginevra. Il progetto fotografico Quiet neutrality nasce proprio da questo fatto apparentemente marginale: un’eccedenza di bilancio del Canton Ginevra.

La fotografa afferma: “Non capivo molto di finanza. Le questioni finanziarie non erano il mio forte, ma poco a poco ho iniziato a cercare, spulciando tra le notizie ho trovato una cinquantina di articoli, e ho iniziato a estrarne nomi di società, banche, fiduciarie collegate alla Russia e ai suoi oligarchi”.
“Per esempio, non sapevo che la Mediterranean Shipping Company (MSC), impresa marittima che trasporta anche materie prime, avesse sede a Ginevra, o quante proprietà fossero vendute agli oligarchi russi”. Occorre comunque ricordare che la MSC, all’inizio del conflitto contro l’Ucraina ha dichiarato con effetto immediato l’arresto del trasporto di containers provenienti dalla RussiaCollegamento esterno o destinati alla stessa.
In breve, Mityukova individua società, immobili e interessi legati a oligarchi russi, connessi al tessuto economico elvetico. Spiega: “Non volevo accusare nessuno, ma solo mostrare attraverso la fotografia che esistono delle possibili correlazioni. La Svizzera, anche se formalmente neutrale, partecipa a un sistema globale di potere e finanza”.

Il parallelismo con il “quiet luxury”
Il titolo Quiet Neutrality gioca con l’idea di quiet luxury, il lusso discreto privo di loghi appariscenti ma comunque segno di potere e appartenenza. Così come il lusso invisibile è simbolo di “élite”, anche la neutralità svizzera, afferma l’artista, può nascondere un privilegio o una complicità: quella di un Paese che, pur mantenendosi ufficialmente neutrale, trae vantaggio economico dall’esistenza dei conflitti.
Una neutralità, dunque, che rischia di essere quiet non solo nel senso di discreta, ma anche di silenziosamente complice. È curioso che la fotografa abbia trovato ben pochi testi che trattano la neutralità elvetica.
La discrezione è anche presente nei colori scelti per mostrare le foto, bianco, rosso e nero, non sono casuali: richiamano da un lato la bandiera svizzera, dall’altro le cromie della propaganda sovietica. In quelle immagini dell’ex Unione Sovietica, il capitalismo era rappresentato da uomini col cilindro che calpestavano le masse. Mityukova si chiede: “E se oggi quei capitalisti fossero proprio gli oligarchi che un tempo criticavano il capitalismo?”.

Fotografie dell’invisibile
Un nodo centrale del progetto è proprio la difficoltà di fotografare ciò che si sottrae allo sguardo. Uffici finanziari, sedi di multinazionali, fondazioni culturali con donatori opachi: luoghi anonimi, protetti o volutamente discreti. “Parlare di finanza e potere attraverso la fotografia è difficile”, ammette Mityukova. “Non ci sono immagini evidenti e l’accesso è limitato”.
Ma in questa sfida risiede la forza del suo linguaggio: immagini apparentemente banali – palazzi, vetrine, strade, insegne – assumono un significato diverso quando accompagnate da commenti, mappe, annotazioni che svelano connessioni insospettate.

La fotografa ha selezionato circa 60 luoghi in tutta la Svizzera. Racconta: “All’inizio mi sono concentrata su tre città. La prima è Zurigo, legata alle banche: ho fotografato l’UBS, osservando la quantità di auto di lusso e quelle senza targa che circolavano”.
Poi è stata a Zugo: “Vi abitano diversi oligarchi. Ho fotografato mamme russe che aspettavano i figli fuori dalle scuole private. La città è quasi vuota, si vedono tante babysitter. Le ditte si concentrano lungo una via, poi subito inizia la campagna, proprio accanto alla sede della Glencore. Trovo significativo che i negozi siano quasi tutti legati alla vendita di automobili, mentre molti uffici restano vuoti”.

L’ultima tappa, per ora, è stata Ginevra: “Un territorio che conosco bene, e quindi ho potuto anche notare la codipendenza tra istituzioni culturali, come il Grand Théâtre di Ginevra, e gli oligarchi russiCollegamento esterno.” È noto per esempio il rapporto fino al 2022 tra Guennadi Timtchenko, colpito dalle sanzioni economiche, ed il teatro ginevrinoCollegamento esterno.
L’esposizione mette in relazione le fotografie di questi luoghi, intrecciandole con dei testi. Tra tutte, Mityukova ne evidenzia una: “Un’auto nera con targa ucraina che passa davanti a un edificio con vetri a specchio: ma l’immagine riflessa dell’auto è bianca”.
Descrivere l’indescrivibile

Per Mityukova, la fotografia non ha la pretesa di cambiare il mondo, ma può contribuire a descriverlo. Citando Fassbinder: “Ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo”, l’artista rivendica il potere del gesto documentario. “Mettere in relazione dati, immagini, luoghi e testimonianze permette di costruire una narrazione accessibile, che può smascherare la retorica della neutralità e offrire strumenti critici al pubblico”.
Questo approccio, che intreccia estetica e denuncia, è particolarmente potente in un contesto come quello svizzero, dove le immagini ufficiali e le istituzioni culturali costruiscono un’immagine di Paese pacifico, ordinato e neutrale.
Tuttavia, chi osserva dall’esterno, suggerisce Mityukova, percepisce spesso una realtà diversa: una nazione che sfrutta la propria stabilità per giocare un ruolo ambiguo nei conflitti globali, che alimenta la propria prosperità con fondi di dubbia provenienza, che costruisce un’ “etica del paesaggio” fatta di montagne, laghi e silenzi rassicuranti.
Un progetto in divenire
Quello presentato a Bienne è solo l’inizio di un lavoro destinato a crescere. La raccolta fotografica, così come quella di dati, connessioni e riflessioni, è in continua evoluzione. Mityukova non vuole affrettare conclusioni, ma prendersi il tempo per capire la direzione del progetto.
“È la fotografia che può offrire un nuovo punto di partenza: una lente per osservare le faglie di un’identità nazionale costruita sul silenzio”.
E attraverso il gesto fotografico, la Svizzera può finalmente iniziare a guardarsi allo specchio. Almeno metaforicamente. Non a caso, Mityukova aveva posizionato un vetro davanti a ogni immagine: uno specchio in cui lo spettatore può riflettersi nella sua personale Quiet Neutrality.

Anastasia Mityukova (1992) nata a Tashkent, in Uzbekistan, arriva in Svizzera con i suoi genitori all’età di 2 anni. Dirige il Festival Photobooks SwitzerlandCollegamento esterno (Ginevra), è photo editor per Le Temps e porta avanti a livello artistico una ricerca fotografica che unisce archivio, narrazione e inchiesta. Tra i suoi lavori più noti, Project Iceworm (2019), indagine su una base militare USA in Groenlandia, presentato alla Biennale d’Arte di Pechino 2022-2023.
A cura di Daniele Mariani e Eduardo Simantob

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