Caritas interviene sul collaboratore turco imprigionato in Slovenia
Il direttore di Caritas Jürg Krummenacher accusa l'Ufficio federale di polizia (UFP) di «negligenze» nella vicenda Naci Öztürk, il collaboratore incarcerato in Slovenia, in vista di una estradizione in Turchia, dove rischia la pena di morte.
«Quando uno Stato concede il diritto d’asilo a qualcuno si assume un dovere di protezione verso questa persona. Il caso Öztürk ha mostrato le gravi lacune esistenti», che «devono essere eliminate al più presto», ha dichiarato giovedì Krummenacher in una conferenza stampa a Lucerna.
Caritas, ha aggiunto il direttore, ha ufficialmente presentato una richiesta in tal senso alla ministra di giustizia e polizia Ruth Metzler e le ha chiesto di far tutto quanto è in suo potere per ottenere una rapida liberazione dell’ex rifugiato turco, naturalizzato svizzero lo scorso giugno.
Caritas e l’avvocato di Öztürk, Marcel Bosonnet, sono convinti che la Turchia lo persegua per ragioni politiche, anche se ufficialmente Ankara lo accusa di un duplice omicidio e di un attacco a un posto di polizia.
Caritas rammenta che Berna ha concesso nel 1984 lo statuto di rifugiato al militante dell’organizzazione di estrema sinistra Dev Sol, pur essendo pienamente a conoscenza dell’atto d’accusa nei suoi confronti. Anzi, tale atto d’accusa aveva costituito una ragione importante della decisione positiva elvetica. Esso non è stato d’ostacolo neppure alla recente concessione del passaporto rossocrociato.
L’UFP ha omesso di avvertire Öztürk che un mandato di cattura internazionale era tuttora pendente nei suoi confronti, cosicché egli si è recato in Slovenia senza nulla sospettare. «Una situazione tanto drammatica avrebbe potuto essere evitata se le autorità svizzere lo avessero avvertito», ha detto Krummenacher, mentre Bosonnet ha accusato le autorità slovene di contravvenire alla Convenzione europea dei diritti umani.
Secondo Caritas, l’UFP avrebbe pure dovuto intervenire presso l’Interpol per chiedere l’annullamento del mandato di cattura, poiché la Turchia si avvale degli strumenti dell’organizzazione internazionale di polizia per perseguire i propri oppositori politici.
Da parte sua l’UFP continua a respingere i rimproveri con lo stesso argomento: Berna è tenuta al segreto d’ufficio e non poteva quindi avvertire l’interessato, ha ribattuto una volta ancora il portavoce dell’UFP Folco Galli, interpellato in merito alla vicenda Öztürk. La Svizzera non può inoltre garantire una protezione assoluta ai suoi rifugiati e ai suoi cittadini, ha aggiunto Galli.
Sempre secondo il portavoce dell’Ufficio federale di polizia, Öztürk sapeva delle accuse turche nei suoi confronti ed avrebbe dovuto sapere quel che rischiava recandosi all’estero, anche se si tratta di accuse che si riferiscono a fatti risalenti a 20 anni fa.
swissinfo e agenzie
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