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“Nessuno desidera una fusione tra CS e UBS”

Keystone

Relativamente risparmiato fin qui dalla crisi finanziaria, il Credit Suisse ha annunciato giovedì la soppressione di 5'300 impieghi e una perdita stimata a 3 miliardi di franchi nel quarto trimestre. Intervista al professore di teoria finanziaria Giovanni Barone-Adesi.

I tagli avverranno soprattutto nel settore dell’Investment banking, ossia i servizi finanziari rivolti ad aziende ed istituzioni pubbliche e finanziarie.

La ristrutturazione toccherà l’11% circa dell’organico della seconda banca elvetica. In Svizzera i posti in pericolo sono 650. Con questi provvedimenti, l’istituto di credito intende diminuire i propri costi di 2 miliardi di franchi.

Nel suo comunicato, Credit Suisse sottolinea comunque che la sua capitalizzazione rimane solida, con un rapporto tra fondi propri e riserve e il totale degli attivi ponderati al rischio del 13% (Tier 1 ratio).

Per Giovanni Barone-Adesi, professore di teoria finanziaria all’Università della Svizzera italiana, l’annuncio non giunge inaspettato. Una fusione tra le due grandi banche svizzere o con un istituto straniero non è però uno scenario auspicabile.

swissinfo: Anche se a metà ottobre il Credit Suisse aveva annunciato una ricapitalizzazione di 10 miliardi di franchi, la banca sembrava essere stata parzialmente risparmiata dalla crisi finanziaria. È una sorpresa?

Giovanni Barone-Adesi: No, sostanzialmente no. Le banche hanno sempre molti titoli in portafoglio ed è chiaro che la discesa dei mercati in ottobre e novembre ha sgretolato il valore di questi titoli.

Certe banche sono più oneste e lo ammettono subito, altre usano espedienti per ritardare il riconoscimento delle perdite.

swissinfo: È preoccupante questo annuncio?

G. B.-A.: In prospettiva è sicuramente preoccupante. Sostanzialmente i problemi nei bilanci delle banche legati a quei settori del credito in crisi sono già emersi o almeno in buona parte.

Per quanto concerne i crediti alle aziende, finora vi è stata una certa tenuta, almeno dal punto di vista della solvibilità. Il mercato potrebbe però incagliarsi, causando nuove difficoltà alle banche.

Dipende molto da quanto sarà grave la recessione che stiamo vivendo. È ragionevole pensare che sarà pesante, vista la gravità della crisi finanziaria.

Ci sono però anche aspetti che infondono un po’ di fiducia. Ad esempio, i consumatori americani, già duramente colpiti dalla crisi, sono tornati un po’ a fiatare, grazie al calo dei prezzi del petrolio, che rappresenta una voce di spesa molto importante.

È un po’ presto per prevedere cosa succederà. Forse però gli effetti non saranno così drammatici come lo fanno temere le vicende delle grandi banche.

swissinfo: Nel suo comunicato Credit Suisse sottolinea di avere ancora una capitalizzazione robusta. Crede che le fondamenta del Credit Suisse, ma anche dell’UBS, siano effettivamente solide oppure sono due giganti dai piedi d’argilla?

G. B.-A.: La Banca nazionale è intervenuta tempestivamente forzando sia il Credit Suisse che l’UBS – all’inizio piuttosto riluttanti – ad aumentare di molto la loro capitalizzazione e oggi penso siano contente di averlo fatto.

swissinfo: I risparmiatori non hanno quindi molto da temere?

G. B.-A.: Queste due banche sono in una situazione migliore rispetto a quasi tutti i loro concorrenti. Se poi le cose dovessero diventare catastrofiche per tutti, ci ritroveremmo tutti sulla stessa nave.

swissinfo: Finora il Credit Suisse ha indicato di non aver bisogno di aiuti statali. Pensa che questa posizione potrà essere mantenuta ancora a lungo?

G. B.-A.: Se lo ritenessero necessario, in questa fase sarebbe abbastanza ragionevole richiedere aiuti. È una cosa abbastanza comune.

Se non lo fanno, non ho motivo di dubitare del fatto che non ne abbiano bisogno.

swissinfo: Credit Suisse sopprime 5’300 posti di lavoro, di cui 650 in Svizzera. UBS ne ha già tagliati diverse migliaia e potrebbe procedere a nuovi licenziamenti. Siamo di fronte a un ridimensionamento generale del settore, oppure il ramo bancario potrà riassorbire queste persone?

G. B.-A.: Nella Confederazione Credit Suisse spera di riassorbirne molti, poiché diverse attività in Svizzera, come il private banking, vanno abbastanza bene. Può darsi che riescano a contenere le perdite.

Se comunque facciamo un confronto tra la situazione svizzera e quella di New York e Londra ci si può facilmente rendere conto che siamo in una posizione di gran lunga migliore.

swissinfo: Da più parti una fusione tra le due più grandi banche svizzere è stata perentoriamente esclusa. È veramente uno scenario irrealizzabile?

G. B.-A.: È sicuramente uno scenario poco auspicabile, poiché una fusione non farebbe altro che sommare i problemi delle due banche.

Non vedo dove potrebbero realizzare grandi sinergie. Il solo risultato sarebbe di realizzare un grande monopolio e di farne pagare i costi ai clienti svizzeri. È una situazione che nessuno desidera.

swissinfo: E l’ipotesi di una fusione con altre banche straniere?

G. B.-A.: Se parliamo dell’UBS – poiché allo stato attuale delle cose l’UBS è in teoria il candidato più verosimile per una fusione – sarebbe uno scenario assurdo. Il mercato dove va meglio è quello cinese, poiché riceve la fiducia dei risparmiatori grazie al marchio “swiss”. Se fosse legata a una banca americana perderebbe questo suo valore aggiunto.

swissinfo, intervista di Daniele Mariani

UBS e Credit Suisse dovranno rafforzare sensibilmente i loro fondi propri dopo la crisi finanziaria.

La Commissione federale delle banche (CFB) ha annuciato giovedì di aver trovato un terreno d’intesa con le due maggiori banche elvetiche.

I due istituti di credito avranno tempo fino al 2013 per adattarsi gradualmente alle esigenze rafforzate in materia di fondi propri, precisa la CFB in un comunicato.

UBS e Credit Suisse dovranno soddisfare un «leverage ratio», ossia il rapporto minimo tra mezzi propri e capitali presi a prestito, del 3 % a livello del gruppo e del 4 % per gli stabilimenti individuali. Attualmente, stando alla rivista «Finanz und Wirtschaft», UBS ha ad esempio un «leverage ratio» del 2% e quindi ricorre a 98 franchi presi a prestito da terzi per ogni 100 franchi di somma di bilancio.

Dall’inizio di settembre, numerose banche nel mondo hanno soppresso decine di migliaia di impieghi. Stando a un calcolo dell’agenzia Reuters, nel settore bancario sono andati persi non meno di 120’000 posti di lavoro.

La ristrutturazione più importante è stata quella di Citigroup, che a metà novembre ha annunciato un taglio di ben 52’000 impieghi.

In Svizzera UBS ha finora cancellato 2’000 posti di lavoro, ma verosimilmente altri licenziamenti seguiranno.

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