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Da Berlino un po’ di tregua per la Svizzera

Fotofinder, Weber

Dopo settimane di accese discussioni, il governo tedesco ha raggiunto un accordo sul disegno di legge contro l'evasione fiscale. Il testo approvato riduce la pressione nei confronti della Confederazione.

Si è trattato di una dura lotta fino all’ultimo momento. A un certo punto, sembrava che la legge – promossa dai socialdemocratici della SPD – fosse destinata a scomparire nuovamente in un cassetto del ministero delle finanze a causa dell’opposizione della coalizione di centro-destra CDU/CSU.

Lo scorso finesettimana i due schieramenti hanno però nuovamente discusso e negoziato, riuscendo infine a trovare un compromesso in merito alla strategia per lottare contro la fuga dei capitali verso le cosiddette oasi fiscali.

Mercoledì, il testo di legge è stato approvato dal governo di Angela Merkel e potrà quindi essere applicato ancora nel corso dell’attuale legislatura.

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In particolare, la riforma intende rendere la vita più difficile alle aziende e ai cittadini intenzionati a sfuggire all’erario trasferendo su conti esteri parte dei propri redditi. In quest’ottica, chi intrattiene relazioni commerciali con Stati ritenuti poco cooperativi e trasparenti in ambito fiscale, sarà obbligato in futuro a informare in modo esauriente le autorità tedesche.

Se i privati o le aziende interessate rifiutano di fornire tali informazioni alle autorità fiscali, essi non potranno più dedurre dalle imposte determinati costi facendoli figurare come spese d’esercizio.

La Svizzera guadagna tempo

Il compromesso raggiunto concerne un punto critico della legge, ossia l’obbligo d’informazione e di prova nell’ambito delle relazioni commerciali con i paesi reputati «paradisi fiscali». Tale obbligo non entrerà immediatamente in vigore, come inizialmente previsto, ma sarà introdotto in seguito – mediante un’ordinanza legislativa – per i singoli Stati che non sostengono sufficientemente la lotta contro la sottrazione (evasione) fiscale.

Di conseguenza, i paesi come la Svizzera – attualmente catalogata nella «lista grigia» dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) – dispongono di più tempo per conformarsi agli standard internazionali.

Una portavoce del ministero tedesco delle finanze, citata dalla Süddeutschen Zeitung, ha tuttavia precisato che la Svizzera e la Germania non hanno ancora intrapreso alcun passo concreto per rinegoziare l’accordo sulla doppia imposizione.

Legge contestata

Per lungo tempo pareva fosse impossibile raggiungere un accordo in merito alla legge: la CDU/CSU è infatti riuscita a bloccare per settimane il progetto. Infatti, sia i responsabili della politica finanziaria in seno alla coalizione di centro-destra, sia le associazioni economiche e bancarie giudicavano esagerate le proposte del ministro delle finanze SPD Peer Steinbrück.

Al governo è stato rimproverato segnatamente di sospettare de facto tutte le aziende tedesche attive all’estero di sottrazione fiscale, invertendo nel contempo l’onere della prova. Un obbligo, quello di dimostrare la propria onestà, considerato inoltre dubbio dal profilo costituzionale.

Anche numerosi privati cittadini si sono lamentati, ritenendo scorretto essere indagati unicamente per il fatto di avere rapporti commerciali fuori dalla Germania e a causa della scarsa cooperazione di altri paesi.

Obbligo di cooperazione

Dal canto suo, il ministero tedesco delle finanze aveva replicato alle critiche, affermando che si tratta del «normale obbligo di cooperazione» richiesto ai contribuenti.

L’accordo è stato comunque raggiunto anche perché la CDU/CSU non ha voluto concedere agli avversari politici l’occasione, a pochi mesi dalle elezioni, per tacciare la coalizione di centro-destra di lassismo nei confronti dell’evasione fiscale.

Anche la cancelliera Angela Merkel è stata infatti oggetto di critiche da parte dei socialdemocratici: le è stato in particolare rimproverato di sostenere a livello internazionale delle misure a cui si oppone in patria.

swissinfo, Paola Carega, Berlino
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

Berna non è stata invitata alla riunione dei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sui paradisi fiscali che si terrà il 23 giugno a Berlino.

Il vertice di Berlino è l’occasione per proseguire le discussioni iniziate a Parigi nell’ottobre 2008: sono quindi stati invitati soltanto i paesi presenti nella capitale francese, tra i quali non figura la Svizzera, ha spiegato Jeannette Schwamberger, portavoce del Ministero tedesco delle finanze.

Il direttore della Segreteria di Stato dell’economia, Jean-Daniel Gerber, ha espresso il proprio malcontento: «Reputo offensive le liste “di bellezza” dell’OCSE », ha affermato, deplorando l’assenza di criteri oggettivi.

Il numero di immigrati germanici in Svizzera – spesso molto qualificati – cresce costantemente. Un flusso di lavoratori alimentato, da alcuni anni a questa parte, anche dagli accordi sulla libera circolazione delle persone fra la Confederazione e l’Unione Europea.

Ai tedeschi sono spesso affidati impieghi per i quali non si trova personale svizzero, nell’interesse dell’economia elvetica. I tedeschi beneficiano dal canto loro degli alti salari e di un tasso di imposizione fiscale relativamente basso: la Confederazione è d’altronde diventata la loro meta d’emigrazione preferita.

Secondo i dati di fine agosto 2008, in Svizzera risiedevano circa 225’000 cittadini tedeschi, ossia il 14% della popolazione straniera del paese. In Germania vivono circa 75’000 svizzeri.

La Svizzera – sesto investitore diretto in Germania – è il nono partner commerciale della Germania, mentre quest’ultima è il partner commerciali più importante per la Confederazione.

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