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Davos, da trent’anni villaggio globale

Klaus Schwab, il fondatore del Forum di Davos, insieme al presidente degli USA Bill Clinton lo scorso anno. Keystone / AP Photo / Jerome Delay

Nato nel 1971 su iniziativa dell'allora 32enne economista Klaus Schwab, come simposio per manager europei, il Forum è diventato negli anni un appuntamento di primo piano per i leader economici e politici di tutto il mondo. Acquistando prestigio, ma anche attirandosi molte critiche.

L’origine del Forum economico di Davos risale ad un’iniziativa del giovane professore ginevrino Klaus Schwab. Tornato in Europa da un soggiorno di studio negli Stati Uniti, nel 1970 Schwab lanciò il progetto di un forum per i manager europei, in cui fosse possibile discutere delle sfide dell’economia internazionale lontano dagli affari correnti.

L’idea si concretizzò rapidamente. Nel 1971 un primo simposio ebbe luogo a Davos e negli anni successivi l’appuntamento crebbe d’importanza, tanto da diventare presto una voce di primo piano nell’agenda di buona parte della leadership mondiale. In conformità a quest’evoluzione, nel 1987 la manifestazione assunse il nome di World Economic Forum.

Indubbiamente Schwab aveva dimostrato un buon fiuto, offrendo a quelli che il Forum stesso definisce – senza un filo di modestia – «global leaders» l’occasione di discutere, una volta l’anno, questioni strategiche di portata globale. Il successo del Forum, al di là delle indubbie doti manageriali del fondatore, va forse ascritto ai tempi della sua nascita.

Il periodo fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta si presenta in effetti, visto con il senno di poi, gravido di segnali che indicavano l’avvio di grandi trasformazioni sociali e di una nuova fase nell’economia mondiale. I paesi sviluppati stavano attraversando un ciclo di accresciuta conflittualità sociale, che aveva avuto il suo culmine nelle manifestazioni di massa del 1968. Ad accentuare i segnali di instabilità, sarebbero giunte di lì a pochi anni, la crisi petrolifera mondiale e l’abbandono della convertibilità in oro del dollaro.

Sul piano dei movimenti sociali, accanto al vecchio approccio di stampo marxista, ancora tutto sommato improntato alla fiducia nello sviluppo industriale, si stavano facendo strada forme nuove di critica al modello di sviluppo occidentale, che sarebbero sfociate nel movimento ecologista. Esemplare di questa evoluzione è la pubblicazione, nel 1972, del libro «I limiti dello sviluppo» del Club di Roma, in cui il gruppo di intellettuali e scienziati attorno all’imprenditore italiano Aurelio Peccei ammonivano sui rischi legati alla crescita demografica incontrollata e al consumo dissennato delle risorse naturali.

Intanto il Dipartimento della difesa statunitense nel 1969 dava avvio al progetto Arpanet, una rete telematica destinata a fornire lo scheletro per Internet. E nel 1974, faceva la sua apparizione il primo personal computer, l’Altair.

Di fronte a simili segnali, i leader dell’economia mondiale dovevano percepire la necessità di darsi una struttura che consentisse di osservare con una certa distanza le trasformazioni in atto, di prevederle e di dirigerle. L’idea del Forum, in questo contesto, giunse come il cacio sui maccheroni. Tanto più che in breve tempo, ai manager cominciarono ad affiancarsi anche leader politici ed intellettuali, dando vita ad un vero e proprio summit della classe dirigente mondiale, con il vantaggio della privatezza e dell’informalità.

Dati i presupposti, non c’è da stupirsi che Davos abbia assunto un ruolo di primo piano nelle discussioni e nelle iniziative che hanno segnato la storia politica ed economica degli ultimi trent’anni, tanto più dopo che il crollo dei regimi comunisti e la rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione hanno permesso alla fase di transizione in atto di esprimersi in tutta la sua portata, mostrandosi con il volto che oggi chiamiamo globalizzazione.

Vista l’importanza dei colloqui privati, nell’ambito del Forum, non è sempre possibile cogliere chiaramente quanti fili di questa epoca convergano a Davos. Ma alcuni fatti sono noti. Ad esempio il ruolo del Forum nell’avviare la liberalizzazione dei mercati: nel 1982, da un incontro di ministri del commercio di 17 paesi organizzato dal Forum scaturirono i primi impulsi per l’ Uruguay Round, la fase negoziale fra i paesi del Gatt (Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio) sfociato nel 1994 nella creazione dell’Organizzazione mondiale per il commercio, una tappa fondamentale nel processo di globalizzazione.

E fu ancora a Davos che nel 1987 l’allora ministro degli esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher invitò l’Occidente a dare fiducia al leader sovietico Michail Gorbaciov, aprendo una nuova fase nei rapporti inter-europei. L’anno seguente nella cittadina grigionese i premier di Turchia e Grecia, Andrea Papandreu e Turgut Özal, intrapresero i primi passi verso la normalizzazione dei rapporti fra i due paesi. Il forum fu occasione d’incontro anche per rappresentanti delle due Coree, nel 1989, delle due Germanie, nel 1990, del premier sudafricano de Klerk e dei leader neri Mandela e Buthelezi nel 1992, del primo ministro israeliano Shimon Peres e del presidente dell’OLP Yasser Arafat nel 1992 e nel 1994.

Oggi però l’enorme pubblicità che il successo ha dato alla creatura del professor Schwab e la stessa globalizzazione dell’informazione, di cui Davos è stata una delle levatrici, rischiano di ritorcersi contro il Forum. Insieme alle grandi istituzioni finanziarie ed economiche internazionali, come l’OMC, la Banca mondiale o il G8, il Forum di Davos è diventato uno dei simboli contro cui si coalizzano le proteste di tutti coloro che vedono nella globalizzazione non un beneficio, ma un nuovo modo per rendere più ricchi i ricchi.

swissinfo

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