L’ONU è ancora rilevante in Medio Oriente?

Messa da parte da Israele e Stati Uniti nella risoluzione del conflitto mediorientale, l'ONU ha margini d'azione limitati. Eppure, secondo gli esperti, nessuna soluzione duratura è possibile senza il suo coinvolgimento.
A gennaio, Stati Uniti, Egitto e Qatar hanno negoziato un fragile cessate il fuoco tra Hamas e Israele. L’accordo prevedeva di porre fine al conflitto in tre fasi. Le Nazioni Unite, storicamente protagoniste delle mediazioni di pace nella regione, non hanno preso parte al processo.
Mentre la guerra tra Hamas e Israele – riacutizzatasi in seguito all’attacco del 7 ottobre 2023 – non accenna a concludersi, analisti e osservatrici internazionali ritengono che l’ONU potrebbe svolgere un ruolo più incisivo nella risoluzione del conflitto. L’organizzazione può infatti offrire supporto istituzionale a eventuali accordi politici, impiegare forze di pace, distribuire aiuti umanitari e sostenere il rispetto di decisioni vincolanti del diritto internazionale.
Al contrario, tuttavia, l’ONU è sempre più marginalizzata nei negoziati sul Medio Oriente, spesso condotti su base bilaterale e al di fuori dal sistema internazionale, in un contesto di crescente sfiducia da parte di Israele nei confronti delle Nazioni Unite.

“Storicamente, l’ONU ha sempre avuto un ruolo nella risoluzione del conflitto mediorientale”, afferma Marc Finaud, ricercatore presso il Geneva Centre for Security Policy (GCSP) ed ex diplomatico francese.
Nel 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decise la spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, consentendo così a Israele di dichiarare legittimamente la propria indipendenza. “(Per l’ONU) La spartizione della Palestina costituiva la base per una soluzione al conflitto mediorientale”, spiega Finaud.
Da allora, le Nazioni Unite hanno partecipato a tutti i principali tentativi di mediazione della pace, sia attraverso l’adozione di risoluzioni, sia tramite l’attività sul campo delle sue agenzie. L’efficacia del suo operato nel corso degli anni è dipesa soprattutto dal sostegno ricevuto delle principali potenze geopolitiche nel Consiglio di sicurezza, ovvero Stati Uniti, Cina e Russia.
Israele e ONU: sfiducia crescente
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò la sua prima importante risoluzione sulla questione israelo-palestinese dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando Israele occupò la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Quella risoluzione pose le basi normative per una soluzione politica e giuridica del conflitto.
“Il principio fondamentale indicato nel testo era l’inammissibilità dell’acquisizione di territori attraverso la guerra”, ricorda Finaud, aggiungendo che un atto del genere sarebbe in violazione della Carta delle Nazioni Unite.
“Storicamente, l’ONU ha sempre avuto un ruolo nella risoluzione del conflitto mediorientale.”
Marc Finaud, Geneva Centre for Security Policy
All’epoca fu possibile adottare un approccio multilaterale perché nessun membro permanente del Consiglio di sicurezza esercitò il proprio diritto di veto. Nonostante la Guerra fredda, c’era una sorta di consenso tra le grandi potenze, spiega Finaud, circostanza che “rafforzò le Nazioni Unite”.
Da allora gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno adottato numerose risoluzioni in cui chiedono a Israele di porre fine all’occupazione, fermare la costruzione di nuovi insediamenti e rispettare gli obblighi previsti dal diritto internazionale.
Molti rapporti redatti da esperti ed esperte indipendenti dell’ONU hanno inoltre denunciato violazioni dei diritti umani da parte di Israele, tra cui arresti arbitrari, torture, uccisioni illegali e punizioni collettive. Di fronte alle accuse di violazioni del diritto internazionale e umanitario, Israele ha spesso invocato ragioni di sicurezza e il proprio diritto alla difesa.
Secondo Finaud, Israele non ripone più fiducia nell’ONU, poiché l’Assemblea generale si è espressa più volte a favore di una soluzione a due Stati.
La diffidenza di Israele si è ormai estesa anche alle organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite, a cui il Paese non consente di operare liberamente dall’inizio della guerra.
Dal 2 marzo al 19 maggio, Israele ha completamente bloccato l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia, suscitando forti condanne da parte dell’ONU e di altri Paesi, tra cui Francia e Regno Unito.
All’inizio di marzo, al vertice della Lega Araba, il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha ribadito che la consegna degli aiuti umanitari non è negoziabile.
Bloccarne l’ingresso costituisce un crimine di guerra secondo il diritto internazionale umanitario. Israele sostiene che Hamas sta intercettando e accumulando gli aiuti, accusa che il gruppo ha respinto.
“L’attuale Governo israeliano non è interessato a un processo di risoluzione del conflitto guidato dalle Nazioni Unite”, afferma a SWI swissinfo.ch Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council ed ex sottosegretario generale ONU per gli affari umanitari.

Da quando Israele ha violato il cessate il fuoco, il 18 marzo, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha intensificato gli attacchi su Gaza, promettendo di conquistare l’intera Striscia e sconfiggere definitivamente Hamas.
Israele ha iniziato a privatizzare la gestione degli aiuti umanitari, finora affidati soprattutto all’UNRWA, l’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. Da fine ottobre, però, Israele ha vietato all’organizzazione di operare nei territori palestinesi occupati.
“I due attori più rilevanti (per la risoluzione del conflitto), Israele e Stati Uniti, non vogliono collaborare con l’ONU”, afferma Cyrus Schayegh, professore di storia e politica internazionale al Geneva Graduate Institute.
L’attuale amministrazione statunitense, guidata da Donald Trump, mostra scarso interesse per il multilateralismo. “Per Trump, le relazioni internazionali dovrebbero basarsi su accordi bilaterali tra Governi”, afferma Schayegh.
“I due attori più rilevanti (per la risoluzione del conflitto), Israele e Stati Uniti, non vogliono collaborare con l’ONU.”
Cyrus Schayegh, Geneva Graduate Institute.
Secondo Jan Egeland, il ruolo delle Nazioni Unite sarà limitato al coordinamento umanitario e alla funzione di guida normativa per gli Stati membri, dal momento che Israele non intende collaborare con l’organizzazione. Sarà compito degli Stati Uniti, degli Stati del Golfo e dei Paesi europei facilitare gli accordi di pace, aggiunge.
Ma, secondo gli esperti, qualsiasi futura soluzione di pace richiederà il sostegno dell’ONU, anche nella fase di attuazione.
“Solo una risoluzione del Consiglio di sicurezza può definire un quadro politico per la pace”, afferma Marc Finaud, aggiungendo che è possibile creare o rafforzare le condizioni necessarie per arrivarci, “come è avvenuto con il sostegno al cessate il fuoco di gennaio da parte del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale dell’ONU”.
Anche Egeland ritiene che le risoluzioni del Consiglio di sicurezza siano fondamentali per conferire legittimità a eventuali accordi di pace e per definire un quadro comune per la loro attuazione – a condizione che tutti i membri del Consiglio siano d’accordo.

Il Segretario generale dell’ONU inoltre rappresenta una figura di riferimento sul piano etico e può sostenere l’attuazione delle cosiddette “misure di rafforzamento della fiducia”, ovvero iniziative pensate per favorire la fiducia tra le parti in conflitto, come lo scambio di prigionieri. “L’ONU può fare molto, se le viene chiesto di promuovere questo tipo di misure o altri accordi umanitari”, afferma Egeland.
Secondo lui, questi potrebbero essere i primi passi verso “una soluzione politica complessiva e attesa da tempo”.
Ma anche iniziative di questo tipo stanno diventando sempre più difficili da attuare.
Il giorno dopo la violazione del cessate il fuoco, Israele ha ucciso un dipendente ONU e ne ha feriti altri cinque in un attacco contro una sede chiaramente contrassegnata come appartenente alle Nazioni Unite, situata nella Striscia di Gaza.
L’ONU ha condannato l’attacco e deciso di ritirare un terzo dei suoi circa 100 operatori e operatrici internazionali presenti nell’area.
Sviluppo del diritto internazionale
Sul piano giuridico, l’ONU può influire sull’evoluzione del conflitto in diversi modi.
La Corte penale internazionale (CPI), che lavora a stretto contatto con le Nazioni Unite, ha emesso mandati di arresto per crimini di guerra sia nei confronti del presidente russo Vladimir Putin – in seguito all’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022 – sia contro Benjamin Netanyahu per i crimini commessi a Gaza tra ottobre 2023 e maggio 2024.
Secondo Finaud, questo dimostra che la corte è al servizio della legge, e che nessuno può considerarsi al di sopra di essa.
“L’attuale Governo israeliano non è interessato a un processo di risoluzione del conflitto guidato dalle Nazioni Unite.”
Jan Egeland, Norwegian Refugee Council
Nel luglio 2024 la Corte internazionale di giustizia (CIG), il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, ha stabilito in un parere consultivo che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi è illegale. In una decisione senza precedenti, ha anche chiesto a Israele di evacuare oltre mezzo milione di coloni dalla Cisgiordania.
“La Corte sta contribuendo all’evoluzione del diritto internazionale”, afferma Finaud, aggiungendo che la CIG ha ribadito quanto già sancito dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Secondo i giuristi internazionali si tratta di una decisione significativa, che dovrà essere tenuta in considerazione nei futuri negoziati per una soluzione al conflitto.
“Il parere della CIG fornisce la base giuridica per qualificare la situazione attuale come un’occupazione, a cui si può porre rimedio solo con il ritiro delle forze armate”, spiega. “Il principio di fondo è che Israele e Palestina coesistano, ciascuno entro i confini riconosciuti”. Finaud si riferisce ai confini stabiliti nel 1967, noti anche come Linea Verde.
Ma Netanyahu ha più volte dichiarato di essere contrario alla creazione di uno Stato palestinese.
A cura di Imogen Foulkes/vm/livm
Traduzione di Vittoria Vardanega

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