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Nel quartiere Pâquis di Ginevra, dei bistrot da asporto

Volto popolare della Ginevra internazionale, il quartiere Pâquis esprime la vitalità della città sul lago Lemano. Messi in ginocchio dalle misure sanitarie decise durante tutto l'anno, i suoi bistrot attendono le ricadute della riapertura come ultima possibilità per sopravvivere al coronavirus.

Bar e bistrot permettono di capire come stanno un quartiere e la città che lo circonda. Esprimono il carattere, la natura dei suoi abitanti e delle loro attività. Come altrove in Svizzera e in tutto il mondo in questo primo anno del coronavirus, anche questi luoghi necessitano di una terapia intensiva. I servizi di emergenza sono però spesso lenti a reagire. Questi locali pubblici sopravviveranno fino all’arrivo del vaccino, il grande salvatore dell’era epidemica? L’interrogativo ossessiona i gerenti del quartiere Pâquis.

Di solito vivace anche nei giorni festivi, nelle ultime settimane il quartiere aveva l’aspetto di una stazione ferroviaria deserta. Solo i tragitti necessari erano autorizzati. Ogni accenno di vita sociale veniva disperso. Circolare, circolare, preferibilmente a piedi o in bicicletta!

La Covid-19 è un ricordo delle pandemie del passato. Il rallentamento necessario per l’attuazione delle misure sanitarie rivela invece il mondo di oggi, globalizzato e teso come i flussi del suo commercio e dei suoi migranti. È anche l’immagine che lasciano trasparire il quartiere Pâquis e i suoi bistrot, una frazione del mondo e dei suoi molteplici abitanti.

Il 60% degli oltre 10’000 residenti del quartiere non possiede il passaporto svizzero. Lo stesso vale per i tre quarti dei nuovi arrivati (dati del 2016). Un cosmopolitismo che si riflette anche nelle centinaia di ristoranti, caffè, bar e take-away.

Tutto da asporto

Per tutti questi locali, la formula da asporto è diventata addirittura l’unico modo per soddisfare i propri clienti durante i due periodi di chiusura, in primavera e questo autunno. “Lavoriamo in questo modo per perdere il meno possibile”, dice il gerente di un ristorante gestito dalla stessa famiglia da più di 40 anni.

Preferisce rimanere anonimo, poiché degli aiuti promessi non ne ha visto nemmeno l’ombra. Assieme alla moglie, si è messo al forno e ha iniziato a consegnare pizze a domicilio. Questo indipendente ha dovuto licenziare il suo cuoco. Le fatture continuano ad arrivare, l’affitto va pagato (9’000 franchi al mese) e il proprietario non scende a compromessi. La sua precedente clientela era composta da lavoratori che venivano per pranzo, una categoria che si è dissolta con il telelavoro. Nel suo locale c’erano anche dei gruppi che erano a Ginevra per partecipare a uno dei tanti incontri organizzati dalle istanze internazionali.

Quarant’anni, Ashwini Khosla pensa di aver trovato la nicchia giusta. Ha rilevato l’attività di famiglia e l’ha trasformata in un ristorante indiano dal design elegante e dai prezzi molto convenienti. Aperto il 20 febbraio, ha dovuto interrompere il suo slancio il 14 marzo, con il primo semi-confinamento decretato da Berna. C’è stata una ripresa durante l’estate. “Ma il telelavoro è stato una condanna per il pranzo”, dice, come altri ristoratori.

Nuova generazione

Mentre i bistrot possono riaprire in condizioni di incertezza, Ashwini Khosla sottolinea i vantaggi della sua ristorazione. I suoi piatti sono preparati con prodotti freschi e non hanno bisogno di essere conservati.

La sua cucina può soddisfare anche i vegani più intransigenti. E attira una buona parte della comunità indiana della regione, in particolare gli studenti del Graduate Institute (IHEID).

Mescolandosi più volentieri con la gente del posto, la nuova generazione venuta dall’estero sta lasciando il segno nel quartiere Pâquis. Fa parte della clientela dei locali aperti di recente, siano essi vietnamiti, etiopi o hipster.  La domanda è: cosa rimarrà di tutto questo il prossimo anno?

Altri sviluppi

Traduzione dal francese: Luigi Jorio

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