I disperati sms a Trump per fermare l’assalto al Congresso

(Keystone-ATS) Quando i fan di Donald Trump assaltarono il Congresso per bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden, l’allora presidente prima di intervenire ignorò per ore gli appelli per fermare l’attacco provenienti da vari parlamentati e persino dal suo primogenito.
È quanto emerge dagli sms ricevuti dall’ex chief of staff Mark Meadows, che ora la Camera si prepara a denunciare per oltraggio al Congresso per essersi rifiutato di collaborare con la commissione parlamentare che indaga sull’assalto del 6 gennaio. Si tratta della seconda denuncia del genere, dopo quella contro l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon.
“Serve un messaggio dallo Studio ovale. Deve prendere la guida ora. Le cose si sono spinte troppo oltre e sono sfuggite di mano”, è uno degli sms di Donald Trump jr a Meadows, letti ad alta voce in aula dalla repubblicana Liz Cheney, vicepresidente della commissione d’inchiesta e acerrima nemica del tycoon. “Deve condannare questa cazzata al più presto, il tweet della polizia del Congresso non basta”, lo incalzò. “Sto facendo forti pressioni, sono d’accordo”, fu la risposta, ma Trump non agì subito.
Nel frattempo Meadows riceveva decine di sms allarmati, anche dai ‘pasdaran’ della Fox. ‘Mark, il presidente deve dire alla gente nel Capitol di andare a casa, questo sta danneggiando tutti noi, sta distruggendo la sua eredità”, gli scrisse Laura Ingraham, conduttrice di un popolare show serale. “Può fare una dichiarazione? Chieda alla gente di lasciare il Capitol”, il messaggio di Sean Hannity, l’anchor più vicino al tycoon, tanto da comparire con lui sul palco ad un raduno elettorale. “Per favore, portatelo in tv, sta distruggendo tutto quello che avete realizzato”, supplicò Brian Kilmeade, presentatore di uno show mattutino.
Gli sms – consegnati dallo stesso Meadows prima di interrompere la sua collaborazione con l’inchiesta – rivelano tutta l’ipocrisia dei commentatori, che in privato condannavano la violenza ma in pubblico evocavano il falso coinvolgimento della sinistra antagonista (Antifa), come suggerì Laura Ingraham, o i brogli elettorali. Continuando poi per 11 mesi a ridimensionare l’accaduto. O a rivisitarlo in chiave cospirativa, come ha fatto nel documentario ‘Patriot Purge’ un altro popolare anchor di Fox, Tucker Carlson, sostenendo che fu una operazione “sotto falsa bandiera” per demonizzare la destra.
Posizioni che hanno indotto alcuni giornalisti conservatori a lasciare la tv, dall’anchor Chris Wallace ai collaboratori Jonah Goldberg e Stephen Hayes.
Dall’inchiesta parlamentare intanto emergono sempre più circostanze compromettenti per Trump, che dopo l’ultima debacle legale spera ora nella corte suprema per aggrapparsi al privilegio esecutivo e mantenere segrete le comunicazioni con i suoi collaboratori nelle ore cruciali dell’assalto. Ma quegli sms non coperti da alcuna immunità suonano già come un imbarazzante e inequivocabile atto di accusa.