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I dolori del «topo»: italiano e informatica

È il topo o l'italiano ad essere rimasto incastrato nella rete? ("webmouse" www.cillc.com) swissinfo.ch

«Scannato», «schiacciato», usato per aprire finestre: negli ultimi anni il «topo» non se la passa troppo bene. Ma si sente subito meglio se lo chiamiamo «mouse».

Significa che l’inglese dell’informatica sta colonizzando l’italiano?

L’italiano è corrotto. C’è poco da andare a sciacquare i panni in Arno, le parole di origine inglese che sono entrate nel nostro quotidiano da qualche anno a questa parte sembrano ben intenzionate a rimanere al loro posto.

Sul banco degli imputati non c’è solo il mondo dell’informatica, ci sono anche internet suo figlio e – più in generale – l’intero settore delle tecnologie digitali. Non è però il caso di generalizzare né di lasciarsi prendere da inutili allarmismi.

L’inglese lingua della ricerca scientifica

L’influenza del modello linguistico angloamericano è forte su tutte le lingue del mondo nel campo delle scienze e delle tecnologie. Anche in ambito italiano chi si occupa di ricerca scientifica, si tratti di un linguista, di un fisico o di un informatico, non può evitare di confrontarsi con l’inglese. A meno che non voglia rimanere ai margini della comunità scientifica internazionale.

E fin qui c’è poco o nulla di male. Il problema – come è emerso dal convegno «Lingua italiana e scienze» promosso dall’Accademia della Crusca e dall’Accademia nazionale delle Scienze detta dei XL – sorge quando l’inglese diventa ostacolo ad una divulgazione in italiano, quando, complici disattenzione e pressappochismo, s’insinua anche laddove è superfluo.

Ma se il problema riguarda discipline come la fisica, l’economia o la gestione d’impresa, «perché» si è domandato Gino Roncaglia dell’Università della Tuscia (Viterbo) «proprio il linguaggio informatico è percepito come particolarmente pericoloso e particolarmente corrotto?»

Le parole di internet

Una possibile risposta risiede nella larga e rapida diffusione dei prodotti nati dalla ricerca tecnologica. Tutti, non solo gli addetti ai lavori, ci serviamo di computer e affini. Di conseguenza siamo confrontati alla terminologia legata al mercato delle nuove tecnologie e ai suoi prodotti (hardware, software, servizi). C’è poi il villaggio globale di internet che ha sviluppato un linguaggio tutto suo.

Provate ad entrate in una chat room – stanza per chiacchierare? – e vi accorgerete che esistono una serie di espressioni e di abbreviazioni che non è facile interpretare se non si fa parte degli abituali frequentatori delle chat (chattatori? chattoni? chattanti?). E ciò non dipende solo dal fatto che su internet le tradizionali distinzioni linguistiche e geografiche sono messe in discussione e l’inglese funziona spesso da lingua franca.

Accanto ad abbreviazioni inglesi come AFAIK (as far as I know / per quanto ne so), OTOH (on the other hand / d’altra parte) e TIA (thanks in advance / grazie sin da ora), se ne trovano d’italiane, ad esempio VOBA (vola basso), MA6F (ma sei fuori?) e IPPPO (il più presto possibile).

No al «topo», sì alla «finestra»

A modo suo il linguaggio di internet è creativo, anche se ad un cultore della lingua italiana potrà sembrare impoverito e poco elegante. Certo, per la salvaguardia della ricchezza e della specificità dell’italiano, suscita qualche preoccupazione la constatazione che i ragazzi tra i 6 e i 15 anni leggono più cose sullo schermo dei computer che sui libri.

Ma lasciamo internet per tornare al problema più generale della terminologia informatica. L’italiano, così come il tedesco, è una lingua che tende ad assorbire la terminologia anglosassone. Altre lingue, come il francese, sostenuto da una politica linguistica forte, sono più propense a tradurre.

La traduzione però, soprattutto se affrettata, non è sempre una soluzione. «Non credo che la traduzione forzata di singoli termini sia di per sé un indizio della vitalità di una lingua» afferma il professor Roncaglia. «Non a caso si continua a ridere delle traduzioni “troppo letterali” di molti manuali tecnici. “Mouse” è ormai una parola italiana, chi traduce “topo” fa sorridere».

Ci si potrebbe domandare perché allora si è affermata “finestra” (window). O perché ci sembra normale parlare di disco rigido (hard disk) e inaccettabile dire “disco flessibile” (floppy disk). Una risposta definitiva non c’è. A volte la strada percorsa dalle parole è misteriosa e, come fa notare Pier Marco Bertinetto, della Scuola Normale di Pisa, «pensare di poter modellare un italiano ideale è una sciocchezza. In campo linguistico vince sempre e comunque il liberismo».

Combattere l’inerzia

Dettare delle norme linguistiche è un’impresa destinata al fallimento, come hanno dimostrato i vani tentativi fascisti di eliminare il “bar” o d’imporre l’uso del “voi” come forma di cortesia al posto del “lei”.

Certo, quando per inerzia si assumono parole ed espressioni inglesi che avrebbero un equivalente in italiano non si contribuisce all’arricchimento della nostra lingua. Ciò che si può fare è allestire dei dizionari terminologici, elaborare delle interfacce di software in italiano e migliorare la visibilità delle comunità di rete che utilizzano l’italiano.

Grazie ad interfacce migliori si potrebbero arginare fenomeni che portano a dire “downloadare” al posto di “scaricare”, o “killare” (molto usato dagli amanti dei giochi elettronici) al posto di “eliminare”. E forse, per passare dall’influsso inglese a quello tedesco, i miei amici della Val Bregaglia non diranno più “la dischetta del computer” (dal femminile tedesco “die Diskette”), ma si convertiranno a un più italiano “dischetto”.

swissinfo, Doris Lucini, Firenze

L’italiano, lingua non solo dell’Italia ma anche della Svizzera, è sempre più confrontato con lo strapotere – scientifico, di cultura di massa ed economico – dell’inglese.

Di questo e di altri problemi si è occupato in febbraio a Firenze il convegno internazionale «Lingua italiana e scienze» promosso dall’Accademia della Crusca e dall’Accademia nazionale delle Scienze.

Tra i linguaggi settoriali più studiati c’è quello dell’informatica, le cui “cose”, battezzate in inglese, hanno spesso mantenuto il loro nome in italiano. Una minaccia per la lingua di Dante? Non sempre.

I termini inglesi legati all’informatica hanno avuto una larga diffusione in italiano
Tra i più conosciuti: mouse, software, floppy disk
Impatto notevole della lingua d’internet: tra i 6 e i 15 anni si legge più sullo schermo del computer che sui libri.

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