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I ghiacciai svizzeri del Sudafrica

Nel 2006 Catherina Pagani ha ricevuto la più importante distinzione nazionale per le opere in ceramica. cortesia

Nata a Teheran nel 1961, a nove anni Catherina è tornata in Svizzera, per poi ripartire all’età di 20 anni alla volta del Sudafrica, dove vive tutt’ora. Catherina Pagani fa l’artista, si prende cura della sua grande proprietà ed è appassionata di politica.

Il cognome tradisce origini italiane o svizzero-italiane. Il papà è infatti nato a Campocologno (Valle di Poschiavo), anche se lei mi accoglie con una parlata svizzera tedesca dal forte accento zurighese.

Terminata la scuola dell’obbligo, Catherina ha frequentato la Scuola arti e mestieri di Vevey. Poi, a vent’anni, è partita per il Sudafrica. Una scelta alquanto insolita per un’artista dall’animo sensibile e dalla coscienza attenta. Quando nel 1981 Catherina è arrivata a Città del Capo il paese stava vivendo una delle pagine più tragiche e nere della propria storia. «Ero ignorante ed ingenua allora. Non capii esattamente cosa stava succedendo. In Svizzera divenni amica di alcuni ragazzi sudafricani. Volevo scappare da una società troppo severa e regolamentata. Sarei potuta andare in Sudamerica, in Australia o in Asia. È stata una scelta dettata dal caso».

Catherina l’artista

Catherina crea sculture di terracotta. Trasforma i minerali in opere dal carattere dolce. «Non voglio che i miei oggetti suscitino timore o sconforto, mi piace pensare che essi possano infondere dolcezza e bellezza in chi li guarda».

Dalla tradizionale cottura in forni elettrici, 10 anni fa Catherina ha fatto una scelta coraggiosa e alquanto inusuale a queste latitudini. Ha preso l’aereo e si è recata in Francia per conoscere meglio l’arte della cottura nel forno a legna. Si è documentata in maniera autodidatta, come spesso le è capitato di fare, si è cimentata nei primi esperimenti e poi si è rimboccata le maniche. Mattone dopo mattone, seguendo i disegni da lei stessa schizzati, ha creato ciò che oggi fa la sua fierezza. Un forno a legna di medie dimensioni, che al momento della cottura raggiunge i 1’400 gradi Celsius. Con queste caratteristiche ne esistono tre in tutto il Sudafrica.

Ricordi svizzeri

Entro nell’atelier e i miei occhi vengono sopraffatti da forme dolci, diverse tra loro. Sono decine di decine le sculture, tutte disposte in bell’ordine sugli scaffali. «Mi chiedevi cosa ho portato con me dalla Svizzera: il piacere per l’ordine», dice sorridendo.

Fotografo, mi meraviglio, cerco interpretazioni e poi mi fermo. Mi accorgo che ci sono delle ‘ciotole’ di varie forme e profondità, simili comunque. All’interno di esse appaiono forti linee che si chiudono, come a formare dei cappi. In mezzo, una pallina. Bianca.

Io sono alla ricerca di storie di emigranti svizzeri, mi interessa il loro legame con la madrepatria, i ricordi di quel cordone ombelicale a volte strappato a forza. Frugo nelle eredità  portate in terra straniera, nei ricordi, nei sogni e nelle amarezze legate al vivere lontano da ‘casa’.

«Quando ero bambina, mio nonno mi portò alcune volte sui ghiacciai della Svizzera centrale, nei pressi di Lucerna – racconta trasognata Catherina. Li ricordo bianchi e possenti, lingue di ghiaccio immortali. Pochi mesi fa sono tornata in Svizzera, a Poschiavo. Con mio padre, a bordo del trenino rosso, siamo saliti sopra Cavaglia e lì l’ho rivisto. Bianco, bello, maestoso; un po’ smagrito».

Ora capisco le ciotole, le linee che si stringono, la pallina bianca in mezzo. Ecco i ricordi svizzeri di Catherina, i piaceri della madrepatria, il dolore di uno spirito sensibile che ne riconosce il lamento. I ghiacciai che si sciolgono, quasi fosse una metafora del suo legame con la madrepatria.

Rimanere o tornare?

Ma a Catherina non è mai venuto il desiderio di tornare in Svizzera ? «Mi ha sempre messo paura pensare allo stile di vita più strutturato che ho voluto lasciarmi alle spalle quando avevo vent’anni.Comunque sì, a volte ci penso». Cosa offre il Sudafrica che la Svizzera non può dare? «Guardati attorno. Qui c’è spazio, ci sono ancora gli animali liberi e selvaggi. Se guardi avanti vedi il mare e se ti giri un poco, il tuo occhio cozza contro una montagna. Se devi correre è un momento tuo, il resto del paese cammina, comunque. Sai che finita la corsa ti puoi unire al gruppo e goderti lo spettacolo».

Il posto perfetto però non esiste, nemmeno per Catherina che ama il Sudafrica. «Questo è un paese che ti mette addosso paura, che ti può logorare emotivamente. Pensa alla criminalità, alle enormi differenze sociali ed economiche. Non si possono chiudere gli occhi. Sono parte della quotidianità e quando diventano materia di cuore, allora, ti accorgi di com’è difficile cambiare gli equilibri delle ingiustizie».

Le due facce della distanza

Cosa si sente di dire un’espatriata di lunga data scappata dalla Svizzera ai giovani connazionali che oggi vorrebbero fare lo stesso? «Nel mio caso, perché poi ogni storia è diversa e non ci sono regole universali, posso ammettere che anni  fa cercai di portare mia mamma a vivere qui in Sudafrica. Quando si ammalò di sclerosi multipla ci riprovai. Cocciuta lei, come lo sono io. Ho sofferto per tutta questa distanza, mitigata in parte dalle lunghe chiacchierate al telefono. Mia madre è spirata lo scorso dicembre. Non abbiamo più avuto il piacere di vivere insieme».

Catherina è una donna forte, si è dovuta corazzare. Non scendono lacrime. Ma gli occhi tradiscono i sentimenti. Vorrebbe poter star vicina almeno al papà. Mi viene in aiuto un vecchio proverbio cinese: «Puoi scegliere di camminare su una gamba sola, poi dalla tua prima scelta dipenderanno quelle che prenderai in seguito».

Ci spostiamo verso l’ininterrotta vetrata che guarda sul grande biotopo lanciato verso occidente. «Tutti gli anni, a novembre, torna la stessa tartaruga. Soggiorna nei pressi dello stagno fino a fine estate. È diventata parte della famiglia», racconta divertita l’artista.

Saluto, l’abbraccio e la ringrazio per essere stata aperta a tal punto da non nascondere che la vita talvolta invidiata dell’emigrante ha anche coni d’ombra, di tanto in tanto duri da digerire.

Catherina Pagani è nata a Teheran nel 1961. Dopo le scuole dell’obbligo frequentate in parte in Iran e concluse in Svizzera, Catherina ha frequentato la Scuola Arti e Mestieri di Vevey, nel canton Vaud.

Nel 1981 si è trasferita in Sudafrica. Nonostante la ceramica è stata ed è tuttora la sua maggiore area di interesse artistico, Catherina Pagani si è cimentata nella produzione ed elaborazione di altri materiali: gioielli, stampa su seta, vetro, cera e bronzo.

Dal 2000 ad oggi ha partecipato a diverse esibizioni artistiche in tutto il Sudafrica. Nel 2003, in occasione dell’International Genome Conference, una sua opera è stata insignita di uno speciale riconoscimento. Nel 2006 è arrivato il maggiore riconoscimento nazionale per una ceramista durante l’esibizione nazionale annuale di ceramica.

Nel biennio 2004-2006 Catherina ha partecipato in veste di consulente ad un progetto per ceramisti che versavano in situazione di disagio economico. Catherina Pagani ora si concentra sulla produzione delle sue opere, insegnando sporadicamente nel suo atelier di casa.

Nel 1487, Bartolomeo Diaz al servizio del Re del Portogallo, arrivò al Capo di Buona Speranza. Le notizie dei primi arrivi di cittadini svizzeri, al servizio della Compagnia Olandese delle Indie, risalgono al 1652.

Agli inizi dell’Ottocento, al Capo sbarcavano in media 5 svizzeri all’anno. All’inizio del Novecento il flusso aumentò, così come aumentò la gamma di mestieri esercitati dai cittadini elvetici: ingegneri, falegnami, missionari, pasticcieri, orologiai e parrucchieri.

Oggi in Sudafrica vivono 9’035 svizzeri (dati 2009). Quasi 6’200 hanno una doppia cittadinanza. I pensionati, 1’714, rappresentano poco meno di un quinto del totale.

A Città del Capo (e nelle sue immediate vicinanze) abitano 2’500 cittadini elvetici.

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