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La guerra fredda non è finita …per tutti

Nel cuore della JSA, un soldato sud coreano sorveglia costantemente tutto quel che accade nel nord, a pochi metri da lui swissinfo.ch

A Panmunjom, nel cuore della zona smilitarizzata che separa le due Coree, cinque ufficiali svizzeri continuano a vivere su uno dei confini più "caldi" del mondo per garantire il rispetto dell'armistizio del 1953.

Tra torri di guardia, filo spinato, mine ed agguerriti eserciti formalmente ancora in conflitto, le minacce sono costanti. La vita quotidiana nella missione può tuttavia rivelarsi piacevole. Reportage di swissinfo.

“Stiamo per giungere alla Joint Security Area (JSA), d’ora in avanti seguite scrupolosamente ogni mia istruzione: qui una sparatoria può avvenire in qualsiasi momento”, dice, serissimo, il soldato americano incaricato di guidarci in una delle zone più pericolose del pianeta.

Gli 800 m2 della JSA, dove più di 50 anni fa si erano tenuti gli estenuanti negoziati per un cessate il fuoco, rappresentano infatti l’unico luogo dove i soldati nord e sud coreani sono ancora a diretto contatto.

Benché l’ultimo scontro a fuoco nella JSA risalga al 1984, la tensione rimane alta. Ancora oggi, circa un milione di soldati nord coreani e 400’000 sud coreani sono ammassati a ridosso dei rispettivi limiti della zona smilitarizzata.

L’atmosfera che si respira nella JSA è tetramente suggestiva. Nel mezzo, l’invalicabile linea di demarcazione militare, che in attesa di un accordo di pace equivale al confine, e le baracche dove si svolsero i negoziati. Alle loro spalle, da una parte e dall’altra, due grandi costruzioni si confrontano a fini chiaramente propagandistici.

Tutt’intorno, in pose e atteggiamenti aggressivi e intimidatori, i soldati delle due fazioni si fissano silenziosamente, anche a soli 30 cm di distanza, pronti a tutto nel caso di violazioni della linea di demarcazione tracciata per terra. Dalle torrette o dietro i vetri scuri degli stabili, tutti sorvegliano tutti.

Marcare presenza

“Non mi sento insicuro ma ho un grande rispetto per questo territorio”, dice a swissinfo il divisionario Gerhard Brügger, capo della missione elvetica a Panmunjom. “È tuttavia evidente che il pericolo esiste e non va sottovalutato”.

Brügger e gli altri quattro ufficiali svizzeri vivono e lavorano a pochi metri dalla JSA in compagnia di altrettanti militari svedesi. Con la loro presenza tengono fede ad un impegno assunto dalla Svizzera ormai 54 anni fa nell’ambito della Commissione neutrale di sorveglianza (Neutral Nations Supervisory Commission NNSC) istituita in seguito all’accordo di cessate il fuoco.

“Come convenuto nell’armistizio del 27 luglio 1953, il nostro ruolo è quello di sorvegliare il rispetto dell’accordo”, spiega a swissinfo il divisionario Gerhard Brügger. “Marchiamo presenza, ci scambiamo informazioni, redigiamo rapporti e, almeno una volta al giorno, ci rechiamo nella JSA, quasi a ricordare che l’armistizio è tuttora in vigore”.

I militari svizzeri, disarmati fin dagli anni ’60, fungono sia da osservatori che da diplomatici. “La nostra è una presenza simbolica che ha senso soltanto qua. Non lo avrebbe se ci trovassimo a Seoul o in un qualche ufficio lontano dalla JSA”, aggiunge Brügger, da tre anni a Panmunjom.

Un “paradiso”

Gli alloggi dei militari della NNSC, che inizialmente, tra svizzeri e svedesi, ospitavano fino a 400 uomini, si trovano proprio a ridosso del luogo dove, giorno dopo giorno, continua il confronto psicologico tra i soldati del sud e quelli del nord, su una collina accanto alla linea di demarcazione militare.

Ma, paradossalmente, lo “Swiss Camp” è pure un’isola di tranquillità …a condizione di non avventurarsi troppo su sentieri non battuti al di fuori dal campo: le mine antiuomo possono essere ovunque.

Il maggiore Markus Fischer, che incontriamo nella sala ricreativa dei militari, non esita a definirlo un “paradiso”. “Viviamo nella natura, disponiamo di ottime infrastrutture e la frenetica Seoul è soltanto ad un’ora di auto. Personalmente sono più che felice di lavorare qua”.

Per la notte siamo ospitati nella casupola T36, a soli 10 metri dal confine più blindato del mondo. L’illuminazione arancione del campo evidenzia la costante presenza della “ferita” che taglia in due la penisola, in questo punto rappresentata da una barriera di recinzioni e filo spinato alta 3 metri.

Il silenzio è assoluto, suggestivo, irreale. Viene rotto soltanto dall’improvviso starnazzare di gruppi di anatre nascoste nel bosco circostante e, in alcune zone, dal sordo rumore dei generatori di elettricità. La sensazione di pace è reale ed illusoria allo stesso tempo.

Per quanto tempo ancora?

La missione NNSC era stata pensata sin dall’inizio come un contributo temporaneo dei paesi neutrali in attesa di una pace formale tra i belligeranti.

In realtà, 54 anni dopo la fine delle ostilità, nessun trattato di pace è ancora stato firmato (le due Coree hanno tuttavia recentemente rilanciato discussioni in merito). Ma allora, quanto durerà ancora questa interminabile missione elvetica a Panmunjom?

“Difficile dirlo, dipende da quello che accade intorno a noi”, rileva Brügger. “Pur se la nostra partenza non modificherebbe di molto le condizioni di sicurezza nella zona smilitarizzata, un abbandono prima della conclusione di un accordo di pace rappresenterebbe un segnale politico negativo”.

Secondo il divisionario, la NNSC è infatti uno degli elementi essenziali che compongono il mosaico dell’armistizio. Il suo scioglimento prematuro potrebbe svilire l’accordo di cessate il fuoco e, a termine, contribuire al suo crollo “senza che ci sia nulla per sostituirlo…”. Con tutti i rischi del caso.

swissinfo, Marzio Pescia, Panmunjom

La guerra di Corea scoppiò nel 1950 dopo l’invasione della Corea del Sud da parte dell’esercito nord coreano. Su mandato ONU, gli Stati Uniti, affiancati da altri 17 paesi, intervennero militarmente a sostegno della Corea del Sud e rovesciare il regime nord coreano, in seguito appoggiato dalla Cina.

Le trattative per un accordo di cessate il fuoco iniziarono il 10 luglio 1951 e portarono alla firma di Panmunjom il 27 luglio del 1953.

Il bilancio del conflitto fu pesantissimo. Alle devastazioni si aggiunsero più di 4 milioni di vittime.

A soli 60 km da Seoul, la giovane, scintillante e spensierata capitale della Corea del Sud, il primo check point sul fiume Imjin (“riunificazione”) è la porta d’accesso ad un mondo nel quale il conflitto fratricida tra le due Coree non è mai terminato.

La zona smilitarizzata segue parzialmente il 38esimo parallelo. È una fascia di territorio lunga 241 km e larga 4 km nel mezzo della quale scorre la linea di demarcazione militare che separa le due Coree.

La zona è strettamente sorvegliata ed inaccessibile senza permessi speciali. I movimenti di truppe al suo interno sono rigidamente regolamentati.

L’assenza di importanti attività umane nella fascia per più di 50 anni l’ha trasformata in una delle maggiori riserve naturali dell’Asia orientale.

L’accordo di armistizio del 1953 determinò la creazione di due missioni neutrali in Corea: la NNSC (sorveglianza) e la NNRC (rimpatrio dei prigionieri di guerra). La Svizzera decise di inviare dei propri soldati in entrambe le missioni.

Inizialmente la NNSC era formata da quattro Stati: Svizzera e Svezia (in rappresentanza della Corea del Sud), Polonia e Cecoslovacchia (in rappresentanza della Corea del Nord).

Dal 1991, la Corea del Nord non riconosce più la NNSC e dal 1995 le relazioni della Commissione con il regime di Pyongyang sono praticamente nulle.

La prima delegazione militare svizzera comprendeva 146 persone. Dal 1994 la missione elvetica è composta da soli 5 ufficiali.

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