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La Tunisia aspetta i turisti

Hammamet, località balnerare tunisina. AFP

A cinque mesi dalla “rivoluzione del gelsomino”, il paese nordafricano vuole riconquistarsi la fiducia dei turisti. Dalla stazione balneare di Hammamet, dove vive dal 2006, Michelle, una pensionata svizzera, lancia un appello ai suoi connazionali: “Qua è tutto tranquillo, vi aspettiamo”.

Michelle è di origini svizzero francesi, ma ha vissuto a Lugano dal 1980 al 2006. E andata in pensione con un anno di anticipo, a 63 anni, dopo trascorso una vita nel settore bancario.

Nell’ottobre del 2006 ha scelto di stabilirsi in Tunisia, malgrado avesse in Ticino figlia e nipote. “Ero già stata alcune volte ad Hammamet. Il posto e l’ambiente mi piacevano e così, grazie a conoscenze sul posto, ho trovato un appartamento sul lungomare. Ho calcolato che con la mia pensione svizzera potevo vivere molto più agiatamente in Tunisia che in Ticino”, spiega a swissinfo.ch.

L’inquietudine

Certo le rinunce non sono mancate, l’adattamento non è stato immediato e nemmeno finanziariamente tutto è andato come previsto. Tuttavia, Michelle è stata conquistata dal modo di vivere tunisino: “Oltre al clima, che per me è importante, qui ho trovato una dolcezza di vivere ed una solidarietà che mi mancavano in Svizzera”, racconta la tunisina d’adozione, ammettendo però che la vita quotidiana ad Hammamet per una donna occidentale sola può anche comportare insidie.  “Bisogna sapere dire di no alle tante richieste e non dare retta alle lusinghe di uomini che, diciamo così, cercano un appoggio finanziario”.

La Révolution du Jasmin ha toccato Hammamet solo marginalmente. “Come ogni anno, in quei giorni mi trovavo in Ticino. Verso la fine di febbraio, quando sono tornata ad Hammamet la situazione era già molto tranquilla. Comunque i miei vicini ed amici mi hanno spiegato che i disordini sono avvenuti soprattutto nelle città più grandi”.

La rivoluzione del gelsomino è stata scatenata dai giovani tunisini sconvolti dalla tragica morte di un loro coetaneo, Mohammed Bouazizi, un venditore ambulante che nel dicembre del 2010 si è immolato per protesta contro il sequestro della sua bancarella da parte delle autorità.

Malgrado una situazione che è andata stabilizzandosi nel corso dei mesi successivi, la ripresa tarda a manifestarsi nelle città balneari tunisine. “In giugno, di solito le spiagge e gli alberghi di Hammamet, ma anche di Sousse o di Djerba sono già affollate di turisti”, ci racconta Michelle, “Quest’anno, invece, gli alberghi, i ristoranti, gli appartamenti sono occupati soltanto al 30% della loro normale capienza. Peccato perché gli svizzeri, gli stranieri in genere che supereranno le iniziali diffidenze, quest’estate saranno viziatissimi in Tunisia”.

Il rilancio

Il settore turistico si sta intanto muovendo per riconquistare la fiducia dei tours operators e dei singoli clienti. Così ad Hammamet e Sousse, alcuni resort propongono delle settimane “all inclusive” a tariffe scontate fino al 70%.

Nemmeno le iniziative originali mancano. Un albergo di lusso di Hammamet, recentemente riconvertitosi nell’ecologia, serve ai clienti soltanto frutta e verdura biologica e mette a disposizione teli e asciugamani di cotone rigorosamente biologico. Ha inoltre bandito completamente l’alcool dai bar e dalle sale da pranzo. “Non ha niente a che vedere con la religione musulmana. È stata una scelta dettata dal vivere sano”, spiega il suo giovane direttore commerciale, Zied Maghrebi.

Un altro albergo propone un percorso di 18 buche sulle alture della città. “Gli europei non devono avere paura di venire da noi. Respiriamo una ventata di aria nuova, una libertà ritrovata che ci permette di godere meglio del paradiso che ci è attorno”, afferma Moez Helali, responsabile marketing del club di golf.

Così come descritta da Michelle e dagli operatori turistici, la realtà tunisina sembra quasi idilliaca. Dove sono quindi i barconi colmi di disperati che si staccano dalle coste del paese per approdare sulle rive di Lampedusa o di Pantelleria? “Da quando vivo ad Hammamet, non ne ho mai visti” dice Michelle, “partono dal sud del paese, molto più povero”.

È una repubblica presidenziale con attualmente un presidente designato ad interim dopo la fuga di Zine Ben-Abidine Ben Ali.

La Tunisia conta 10,4 milioni di abitanti di cui 98% di confessione musulmana.

Bagnata dal Mediterraneo, confina a sud, a est con la Libia e a ovest con l’Algeria.

Protettorato francese sin dal 1881, il paese ha ottenuto l’indipendenza nel 1956.

I suoi abitanti parlano l’arabo, il berbero – in minima parte – e il francese, insegnato sin dalla terza elementare. Tanti di loro, perlopiù nelle zone turistiche, sanno anche l’italiano.

Bisogna ricordare che l’Italia è il secondo paese di emigrazione tunisina dopo la Francia. Con 13’000 tunisini, la Svizzera si piazza al quattordicesimo posto.

Dopo l’agricoltura e la viticoltura, il turismo è la principale fonte di reddito del paese maghrebino che gode di un clima mite d’inverno, caldo e ventoso d’estate.

Nel prossimo mese di ottobre, i tunisini si recheranno alle urne per scegliere il successore di Ben Ali.

Detta anche “rivoluzione del gelsomino” è culminata il 14 gennaio scorso con lo sciopero generale e la fuga di Ben Ali, della seconda moglie Leila e di parte del suo clan.

Le prime avvisaglie della rivolta si sono sentite già nel novembre 2010. Provocata da un diffuso malcontento a causa dell’aumento del prezzo delle materie prime e dall’alto tasso di disoccupazione, la rivoluzione è scoppiata in tutta la sua ampiezza dopo la morte, il 4 gennaio scorso Mohammed Bouazizi.

Il giovane venditore ambulante di 26 anni si è immolato il 17 dicembre in segno di protesta contro i successivi sequestri delle sue bancarelle di frutta e verdura da parte delle autorità.

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