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Lanciata la campagna contro l’invio di soldati svizzeri all’estero

I consiglieri nazionali Cristoph Blocher e Luzi Stamm Keystone

Un cimitero militare con croci bianche sullo sfondo della domanda a caratteri cubitali «Morire per potenze straniere?»: è il manifesto con il quale il comitato d'opposizione borghese alla nuova legge militare, guidato dai consiglieri nazionali UDC zurighesi Hans Fehr e Christoph Blocher, ha lanciato la sua campagna in vista della votazione federale del 10 giugno.

La riveduta legge militare, ha affermato Blocher venerdì a Berna nella conferenza stampa del comitato «Svizzera – oasi di pace», costituisce un cambiamento di rotta gravido di conseguenze sulla politica di sicurezza e di difesa: si va incontro alla «partecipazione di truppe elvetiche a guerre all’estero».

La prevista collaborazione con la NATO – che secondo Blocher è già una realtà oggi nel quadro del Partenariato per la pace (PPP) in contraddizione con il diritto vigente – condurrà a all’adesione all’Alleanza atlantica e al coinvolgimento in conflitti stranieri.

«La neutralità svizzera ha impedito per duecento anni che il paese venisse trascinato in un conflitto» e dovrebbe continuare così anche in futuro, ha sottolineato il consigliere nazionale. «L’essenza dell’esercito di milizia svizzero è di essere di difesa e non interventista», ha detto Blocher.

Secondo Fehr – che è il presidente del comitato – il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) è già «mentalmente integrato» alla NATO. Ne sarebbe una prova l’esercizio di stato maggiore del PPP avvenuto a Lucerna in novembre.

Un rifiuto della nuova legge militare permetterebbe di «bloccare questa tendenza», ha detto. Il consigliere nazionale argoviese Luzi Stamm, che ha abbandonato nei giorni scorsi le file del PLR per aderire all’UDC, ha criticato l’alto costo degli interventi militari all’estero: Swisscoy in Kosovo è costato 100 milioni di franchi, ha detto. Questi soldi – ha proseguito – andrebbero investiti nell’aiuto umanitario.

Rispondendo ai giornalisti, il deputato argoviese ha però precisato che l’aiuto allo sviluppo non va promosso in contrapposizione all’esercito. In Svizzera l’esercito deve rimanere forte, ha concluso.

«Un intervento militare non è mai un intervento umanitario», ha aggiunto il consigliere nazionale Jean Henri Dunant (UDC/BS). Egli ritiene che non sia possibile assimilare il rischio che nei conflitti sono corsi da soldati di uno stato terzo a quelli corsi da membri di organizzazioni umanitarie come la Croce rossa internazionale.

«Svizzera – oasi di pace» invita a votare due volte no contro la riforma della legge militare: da un lato si tratta di respingere l’invio all’estero di soldati armati e dall’altro di combattere la possibilità di far istruire le truppe svizzere fuori dalle frontiere nazionali e soldati stranieri nella Confederazione.

La riforma parziale della legge militare, approvata dalle camere nell’ottobre del 2000, si articola in due parti. Un articolo della legge contempla gli scambi tra la Svizzera e altri paesi nell’ambito dell’istruzione militare. Un altro articolo prevede invece la partecipazione di soldati svizzeri armati a missioni internazionali di pace. Contro la seconda parte della riforma anche gli ambienti pacifisti hanno indetto un referendum, perché ritengono che non si sia fatta distinzione tra missioni per «garantire» e missioni per «imporre la pace.

Secondo Blocher, la formazione di truppe straniere in Svizzera sarebbe un segnale inequivocabile della volontà elvetica di integrazione in strutture militari sopranazionali e va dunque combattuta.

Il comitato è costituito soprattutto da esponenti dell’UDC. Vi figurano però anche esponenti del PLR, del PPD e Giorgio Morniroli, già consigliere agli Stati ticinese per la Lega.

swissinfo e agenzie

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