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Momento difficile per l’orologeria svizzera

Industria orologiera svizzera in crisi: il lusso non si addice alla congiuntura Keystone

In giugno, Cartier e Ebel si sono ristrutturate: 200 i posti di lavoro soppressi in Svizzera.

Tra le cause, la congiuntura sfavorevole ed un inizio d’anno difficile sul piano internazionale. Ma certi mercati non sono sfruttati al meglio.

La difficile situazione congiunturale non risparmia nessuno, nemmeno il mondo dell’orologeria che con le sue marche è una delle punte di diamante dell’immagine industriale svizzera.

All’inizio del mese di giugno, Cartier ha soppresso 180 posti di lavoro. Il 25 dello stesso mese Ebel ha annunciato la soppressione di altri 24 impieghi. C’è di che temere un moltiplicarsi di queste misure nel settore?

Se tutti sperano in un miglioramento della situazione per la seconda metà dell’anno, nessuno è pronto a dare delle garanzie. Principale accusata è la debolezza della congiuntura, soprattutto in Germania.

Ma aldilà di tutto ciò, questo periodo di vacche magre sta portando alla luce una serie di problemi strutturali ai quali il mondo dell’orologeria dovrà cercare di porre rimedio al più presto.

Capacità in soprannumero su sfondo di crisi

«I circuiti di distribuzione sono praticamente saturi», fa notare per esempio Jean-Claude Rennwald. Ma il responsabile per il settore dell’orologeria del sindacato FMLO (industria, costruzione e servizi) cita anche l’evoluzione sfavorevole della congiuntura e la forza del franco svizzero.

Ma non basta. Bisogna richiamare alla memoria anche il pasticcio della fiera di Basilea per avere un quadro completo della situazione. A causa dell’epidemia di polmonite atipica (SARS), in aprile il governo svizzero aveva chiuso le porte della manifestazione agli espositori provenienti dall’Asia.

«Una decisione che ha contribuito ad accentuare il calo d’esportazioni che oggi colpisce l’industria orologiera svizzera» spiega Rennwald. In effetti gli asiatici sono tra i più grandi acquirenti di prodotti d’orologeria.

Primo semestre in recessione marcata

In effetti, durante il primo semestre 2003, il calo ha raggiunto il 6,3% che tradotto in cifre equivale a 244,3 milioni di franchi in meno rispetto allo stesso periodo del 2002. Particolarmente toccati gli orologi, il cui valore d’esportazione ha subito un calo del 13,3%.

Il numero dei pezzi esportati è letteralmente crollato. Si parla di una diminuzione di 900’000 unità, il 36,4% in meno dell’anno scorso. Cifre queste che le aziende chiamano in causa per giustificare le ristrutturazioni.

A queste condizioni sono i rivenditori a soffrire maggiormente. «Le loro ordinazioni sono in diminuzione e spesso vengono rimandate», spiega Jean-Daniel Pasche, della Federazione dell’industria orologiera svizzera.

«Contrariamente alla crisi degli anni Ottanta, oggi è l’insieme del settore orologiero ad attraversare un periodo difficile, tenuto conto anche del clima finanziario poco allegro che incide sull’atteggiamento dei consumatori», continua Pasche.

Non è la prima volta che l’industria orologiera svizzera conosce delle difficoltà, ma quelle attuali non sono comparabili alla crisi degli anni Settanta e Ottanta. «Allora la Svizzera aveva mancato l’arrivo del movimento al quarzo, ma in un futuro prossimo non dovrebbe riprodursi un tale salto tecnologico», precisa Marc Gemoets, analista della banca Ferrier Lullin.

Mercati da sviluppare

Gemoets riconosce che la diminuzione del turismo, dovuta alla guerra in Iraq e alla polmonite atipica, ha influito sui risultati del settore. Tuttavia considera che il potenziale di alcuni mercati non sia stato sfruttato in modo adeguato.

Ci sono dei mercati emergenti, come quelli dell’India, della Cina e dell’Europa dell’Est, dove gli orologieri non si sono ancora inseriti in modo efficiente. E si tratta di paesi che hanno un tasso di crescita economica ben superiore all’Unione europea e agli Stati uniti.

Per quanto riguarda la presenza sul territorio ci sarebbe molto da fare anche negli Usa. «Gli orologieri svizzeri hanno sempre privilegiato le grandi città. L’interno del paese è ancora sfruttato piuttosto male e, a dispetto di una congiuntura esitante, ha un potenziale importante», spiega Gemoets.

L’analista della Ferrier Lullin è ottimista. Non crede ad una crisi grave come quella degli anni Settanta e Ottanta. Le ristrutturazioni però continueranno a succedersi per permettere degli aggiustamenti puntuali alle situazioni del mercato.

swissinfo, Jean-Didier Revoin
(traduzione, Doris Lucini)

Produzione di orologi nel 2002: 28,3 milioni di pezzi per un valore di 10,561 miliardi di franchi
2,9 milioni di orologi meccanici; 25 milioni di orologi analogici (movimento al quarzo); 0,4 milioni di orologi digitali (movimento al quarzo)
Esportazioni in Europa 36,4%, in Asia e Oceania 36%, America del Nord 16,2%, vicino Oriente 6,4%, America del Sud 4,1%, Africa 0,9% (fonte: Federazione dell’industria orologiera svizzera)

Guerra in Iraq, polmonite atipica (che ha causato l’esclusione degli espositori asiatici dalla fiera di Basilea), situazione congiunturale sfavorevole, forza del franco svizzero e sfruttamento insufficiente dei mercati: queste le principali cause della crisi del settore orologiero svizzero.

Secondo gli esperti la crisi non dovrebbe però raggiungere i livelli toccati negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, quando l’industria svizzera mancò all’appuntamento con la tecnologia del movimento al quarzo e perse così il confronto con la concorrenza.

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