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Parmalat: una fenice che vuole miliardi

Parmalat si è dimezzata ma è sopravvissuta Keystone

Mentre la "vecchia Parmalat" si ritrova davanti ai tribunali, quella "nuova" ricompare in borsa e chiede miliardi di danni, anche alle banche svizzere.

La più grande bancarotta della storia europea ha tutta una serie di strascichi giudiziari. E lascia decine di migliaia di piccoli risparmiatori delusi ed infuriati.

“Per me non è stata una truffa ma la volontà d’inseguire un sogno”, ha confidato Calisto Tanzi, l’ex patron di Parmalat, a margine del processo a carico suo e di altri 18 imputati per il gigantesco crac venuto a galla quasi due anni fa.

“Non ho peccato di avidità ma di presunzione per aver ritenuto di poter creare un impero”, ha aggiunto.

E d’impero effettivamente si trattava. In pochi decenni, la piccola impresa locale cresce enormemente, diventa una multinazionale presente in 30 paesi, uno dei principali produttori di latte a livello mondiale.

Il gigante ha tuttavia i piedi d’argilla: gli affari vanno male, ma sono mascherati da una fitta nebbia creata ad hoc fatta di filiali, società bucalettere e contabilità (parecchio) creativa.

Un investimento “per famiglie”

Il pubblico, consigliato dagli istituti di credito, continua a vedere nel gruppo Parmalat un investimento sicuro, tranquillo. Un simbolo di crescita sana e costante dei redditi.

Fino al dicembre del 2003, quando la nebbia si dirada e, davanti agli occhi, appare una voragine finanziaria di 14.5 miliardi di euro. Decine di migliaia di piccoli risparmiatori che avevano creduto ai Tanzi ed al loro “miracolo economico” si ritrovano con un pugno di mosche.

Il gruppo, che a livello mondiale impiegava fino a 36’000 persone, barcolla fino alle fondamenta. Deposita il bilancio, finisce in amministrazione controllata per 22 mesi e, per salvarsi, si dimezza.

La “nuova Parmalat” voluta dal commissario straordinario Enrico Bondi si libera delle attività accessorie, riduce della metà il personale e concentra il proprio lavoro in Italia ed in pochi altri paesi.

Denuncie miliardarie…

Dall’inizio d’ottobre 2005, Parmalat, che è riuscita a convincere i principali creditori a riconvertire parte delle loro perdite in azioni, è di nuovo quotata alla borsa di Milano. Ma la strada verso il risanamento è ancora lunga.

Il gruppo ha accusato tutta una serie di banche non solo italiane di aver contribuito al suo tonfo, organizzando fino al 2003 dei prestiti obbligazionari sottoscritti da piccoli risparmiatori ben conoscendo tuttavia la gravità della situazione finanziaria di Parmalat.

Tra le banche prese di mira pure il Credit Suisse First Boston (citato per 7.1 miliardi di euro) e l’UBS (2.2 miliardi).

Un’operazione “galeotta” è poi valsa alla Banca cantonale grigionese (BCG) una pretesa di risarcimento record di ben 60 miliardi di euro, poi ridimensionata a 20 miliardi.

Parmalat ha tuttavia in seguito precisato che questa richiesta “non è un atto giudiziario” e che in merito non è stata sporta alcuna denuncia.

…respinte al mittente

Le banche svizzere hanno contestato vigorosamente le denuncie, giudicandole “prive di fondamento”. Da parte sua, la BCG ha parlato di una richiesta “dissennata”, con la quale Parmalat cercherebbe di “esporci al pubblico ludibrio” per ottenere delle concessioni.

Un’opinione condivisa da Mario Curti, presidente dell’Associazione svizzera degli analisti finanziari (ASAF). “Alcune denuncie, come quella alla BCG, mi sembrano assurde”, commenta Curti.

“Il nostro lavoro si basa su regole. L’etica è una di queste. Se anche solo un analista s’inventasse una storiella su una società per permettere alla banca di vendere azioni, sarebbe la fine della nostra reputazione”, rileva lo specialista.

Fidarsi degli esperti?

Le denuncie ad annaffiatoio distribuite da Bondi hanno tuttavia già permesso alla nuova Parmalat d’incassare 315 milioni di euro grazie a due accordi extra-giudiziari con Morgan Stanley e Nextra.

Ma la medaglia ha due facce: sono infatti numerosi gli istituti che, come la Bank of America, stanno studiando l’ipotesi di una contro-denuncia. Il futuro di Parmalat potrà dunque giocarsi più nelle aule dei tribunali che sul mercato dei prodotti lattieri.

Non vi sono invece dubbi su chi sono i veri perdenti della vicenda: le migliaia di piccoli risparmiatori che, credendo di optare per un investimento sereno, hanno invece perso quasi tutto.

Come consiglia Mario Curti, avevano deciso di “fidarsi degli esperti: il piccolo investitore non può analizzare i bilanci di compagnie multinazionali. È impossibile. Deve basarsi su analisi o su dei rating professionali”.

Curti presuppone tuttavia che siano le stesse aziende a fornire agli addetti ai lavori informazioni corrette sul loro stato di salute. Se ciò non accade, l’analista prima (ed il cliente poi) sono ingannati.

swissinfo, Marzio Pescia

La voragine finanziaria scoperta nel dicembre 2003 nei conti di Parmalat si è rivelata di 14.5 miliardi di euro.
I piccoli risparmiatori danneggiati dal collasso del gigante di Collecchio (Parma) sono stati circa 135’000.
Fino al 2003, Parmalat contava circa 36’000 impiegati. Ora sono 20’000.
Nel 2002 la cifra d’affari di Parmalat era di 7.6 miliardi di euro, nel 2004 di 3.68 miliardi.

L’affare Parmalat scoppia il 19 dicembre 2003 quando un conto bancario del gruppo, sul quale si supponeva fossero depositati 4 miliardi di euro, si rivela un falso grossolano.

Le successive inchieste giudiziare portano alla luce una lunga serie di falsificazioni contabili: per più di 10 anni, Parmalat è sopravvissuta diffondendo false informazioni ai mercati.

Lo scorso 28 settembre a Milano si è aperto il primo processo contro il fondatore del gruppo Calisto Tanzi ed alcuni dei suoi collaboratori.

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