
Gravi sospetti sui proiettili ad uranio impoverito della Nato

Utilizzati sia in Bosnia che in Kosovo, potrebbero essere all'origine di alcuni decessi sospetti tra reduci italiani, belgi e portoghesi. Per il momento i volontari svizzeri non hanno avuto problemi di salute. Intanto si sviluppa un caso internazionale.
Echi della vicenda dell’uranio impoverito utilizzato nelle munizioni sganciate sul Kosovo e sulla Yugoslavia sono giunte anche in Svizzera. Fred Lauener, portavoce della direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), ha voluto rassicurare l’opinione pubblica affermando che finora nessuno dei volontari svizzeri inviati nei Balcani dal 1999 ha accusato problemi di salute. Secondo quanto comunicato dal Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS), i rischi per i soldati svizzeri sono minimi e dovrebbero poter venir controllati grazie a misure di sicurezza già in vigore.
La stessa posizione è stata espressa dalla Croce Rossa internazionale e dall’alto commissariato dell’ONU per i rifugiati. La sicurezza dei loro rappresentanti in Kosovo ed in Bosnia non sembra messa in pericolo da potenziali contaminazioni. E’ stato comunque istituito un test volontario per i delegati che desiderano effettuarlo.
I proiettili incriminati sono comparsi durante la guerra nel Golfo, per poi essere nuovamente utilizzati negli interventi della Nato sia in Bosnia che in Kosovo. L’impiego di queste munizioni, rivestite di uno strato di uranio impoverito, è giustificato militarmente dalla loro capacità di combattere panzer nemici, considerato come, dopo l’impatto, tendono ad incendiarsi; fuoco che spesso si propaga al serbatoio del mezzo corazzato nemico.
Ora però la “sindrome dei Balcani” sta diventando un caso internazionale. Portogallo, Belgio e Italia richiedono che sia fatta piena luce sull’uso di questi proiettili e sul ruolo che la loro radioattività potrebbe aver avuto nello sviluppo di malattie mortali tra alcuni reduci delle guerre balcaniche. Anche la presidenza di turno svedese dell’Unione Europea ha fatto sapere che valuterà attentamente l’eventualità di aprire un’inchiesta sull’uso e sugli effetti delle munizioni incriminate. Intanto, Portogallo, Finlandia, Turchia, Germania e Spagna vogliono sottoporre migliaia di soldati che hanno prestato servizio nei Balcani a test preventivi. Il Consiglio Atlantico, che si terrà il 9 e 10 gennaio prossimi a Bruxelles a livello d’ambasciatori, affronterà i vari aspetti della questione.
Alcuni, come il sacerdote di Assisi Jean Marie Benjamin, a lungo funzionario dell’ONU prima di seguire il cammino religioso, da anni si battono per denunciare la contaminazione causata dall’uranio impoverito in Iraq e che ora potrebbe verificarsi anche nei Balcani. Dal canto suo, il quartier generale delle forze NATO in Europa ribadisce che non esiste alcun nesso scientifico fra i tumori di veterani e l’uso di munizioni all’uranio impoverito.
Un rapporto ONU sui rischi di contaminazione dovuti all’utilizzo di queste munizioni dovrebbe essere pronto entro il prossimo marzo. Quattordici specialisti dell’Unep (United Nations Environment Program), tra cui due svizzeri, stanno compiendo approfonditi rilevamenti per comprendere gli effetti sull’ambiente e sulla salute della popolazione dei proiettili all’uranio impoverito. Il lavoro, tuttora in corso, è compiuto in stretta cooperazione con la missione delle Nazione Unite in Kosovo e con la forza di pace nella regione, la Kfor.
Al momento all’UNEP si mantiene il massimo riserbo circa il contenuto del rapporto definitivo e non si rilasciano dichiarazioni sulle polemiche scoppiate in Italia e nel resto d’Europa. In un comunicato stampa, l’agenzia si limita ad alcune osservazioni preliminari certificando il fatto che, “ad un anno e mezzo dalla fine del conflitto è tuttora possibile localizzare i siti colpiti da munizioni con uranio impoverito”.
swissinfo e agenzie

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