
Le informazioni false sulla Svizzera sono anche un problema di sicurezza

Online circolano molte informazioni false sulla neutralità svizzera. La Confederazione deve fare tutto il possibile per evitare che all'estero ci si faccia un'idea distorta sulla nostra condizione di neutralità. Analisi.
La Svizzera è ancora neutrale? È una domanda che tantissime persone si pongono all’estero. Ogni mese 14’000 utenti chiedono in inglese la risposta al motore di ricerca Google.
Il link a un articolo in inglese dei media statali turchiCollegamento esterno appare tra i primi risultati di una nostra verifica su Google. Il suo titolo è: “Perché la Svizzera abbandona la sua neutralità dopo 500 anni”. Anche se il testo presenta le varie sfaccettature di questa condizione, il titolo trasmette un’idea sbagliata. E un titolo, lo sanno molto bene le giornaliste e i giornalisti, viene letto da molte più persone rispetto al resto dell’articolo.
Disinformazione da parte della propaganda russa
Ci sono diverse ragioni per cui all’estero ci si interroga sulla neutralità svizzera. Da una parte, attori stranieri, soprattutto canali di propaganda russi, diffondono informazioni false.
Per questo motivo è importante che chi si prende la briga di cercare notizie sulla neutralità svizzera trovi online informazioni affidabili e corrette. Infatti, chi sostiene che la Confederazione non sia più una nazione neutrale, la trasforma in un attore schierato, che parteggia per una o l’altra parte in conflitto. E chi è considerato parte in causa può essere guardato con sospetto, diffidenza o ostilità.
È quindi nel suo interesse fare di tutto affinché la comunità internazionale sia informata correttamente sul concetto di neutralità della Svizzera, e con esso sul quadro di orientamento della sua politica estera valido dal 1815.
Non tutte le informazioni errate possono essere classificate come disinformazione. Infatti, si parla di disinformazione quando vengono diffuse notizie false o fuorvianti con un intento manipolatorio.
Nelle democrazie, come afferma l’esperto britannico di intelligence Rory Cormac, la disinformazione fa leva sulle linee di frattura, puntando su temi polarizzanti che hanno il potenziale di dividere la società.
Un caso esemplare in Svizzera risale all’autunno 2022, quando un manifesto falsificato, diffuso tramite i social media, invitava a denunciare i vicini che riscaldavano troppo le proprie abitazioni. L’obiettivo del poster era alimentare il timore di una crisi energetica e di uno Stato sempre più autoritario. Gli autori intendevano sfruttare anche la frattura già esistente all’interno della società elvetica riguardo alle conseguenze economiche qualora la Svizzera avesse adottato le sanzioni internazionali contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Il manifesto falsificato risultava credibile, anche perché la hotline per le denunce corrispondeva a un vero numero telefonico di un’autorità federale.
Ciononostante, il poster è stato smascherato rapidamente e i media hanno dato ampia notizia della manipolazione. Tuttavia, chi già metteva in dubbio la credibilità di giornali, radio e TV, probabilmente non ha creduto a questa smentita.
Opinioni divergenti sulla resilienza
In Svizzera non c’è unanimità sulla capacità di resilienza nei confronti della disinformazione. Il fatto che il Paese sia piccolo, con quattro lingue nazionali, strutturato in modo federalista e non membro dell’UE, lo rende un obiettivo poco attraente. Inoltre, le cittadine e i cittadini sono abituati a formarsi un’opinione in vista di una votazione popolare. Quasi ogni tre mesi devono documentarsi su un oggetto complesso e spesso sono confrontati con slogan esagerati e materiale informativo impreciso. Per questo motivo dovrebbero essere più attenti nei confronti della disinformazione. Questa è una delle conclusioni presentate nel manuale “Digitalizzazione della democrazia svizzera“.
C’è chi afferma, invece, che la disinformazione è particolarmente dannosa proprio a causa delle votazioni popolari. È almeno quanto sostiene Touradj Ebrahimi. Il professore del Politecnico federale di Losanna sostiene che la nostra democrazia necessita di una popolazione informata per votare: un voto che un attore internazionale potrebbe influenzare con una campagna di disinformazione.
Va ricordato che la Svizzera è oggetto di disinformazione su temi d’interesse internazionale e meno su quelli di politica interna. Questo è dovuto al fatto che numerose organizzazioni internazionali hanno sede nella Confederazione e che il Paese è fortemente globalizzato sia sul piano politico che su quello economico.

Video da Berna: “La Svizzera sembra una zona di guerra”
La scorsa primavera, milioni di persone hanno guardato online un video di circa 30 secondi girato a Berna. Il filmato mostrava gas lacrimogeni e persone in fuga. Si trattava di scene riprese durante una manifestazione pro-palestinese nella capitale.
Il video è stato condiviso da decine di account su piattaforme come X/Twitter, accompagnato da messaggi distorti che hanno enfatizzato l’accaduto. “In questo momento, la Svizzera sembra una zona di guerra”, si leggeva in un post visualizzato milioni di volte. L’utente, con un account anonimo, sosteneva che i manifestanti avevano tentato di assaltare la sinagoga e di linciare persone ebree.
In effetti, si era tenuta una manifestazione pro-palestinese a Berna. La polizia era però sempre stata padrona della situazione. Il co-presidente della comunità ebraica di Berna aveva infatti ringraziato le forze dell’ordine per il loro pronto intervento. Infatti, il corteo dei manifestanti era giunto poco distante dalla sinagoga, una situazione che aveva preoccupato anche la Federazione svizzera delle comunità israelite.
I post fuorvianti che accompagnavano i video diffusi online differivano molto nei toni e nei contenuti. In alcuni casi si è arrivati a sostenere, come ha fatto un utente britannico con un elevato numero di follower, che il presunto “assalto alla sinagoga” facesse parte di un “piano di globalisti per distruggere l’Occidente dall’interno”. Si trattava di un chiaro richiamo a una nota teoria di stampo antisemita.
Quel giorno l’ambasciata statunitense a BernaCollegamento esterno consigliò ai propri cittadini e alle proprie cittadine d’informarsi attraverso fonti attendibili, in particolare consultando la pagina in inglese di Swissinfo. Nonostante gli sforzi dei media elvetici volti a smontare ogni singola falsità, l’impatto dei video virali resta comunque forte e difficilmente controllabile. Per questo motivo, in una democrazia, è essenziale rafforzare le competenze mediatiche della popolazioneCollegamento esterno: solo così ogni persona impara a riconoscere le tecniche di manipolazione.
Se sento o leggo migliaia di volte che la Svizzera non è più neutrale, finisco per ritenere corretta questa informazione, nonostante provenga quasi sempre dalla stessa fonte che la diffonde tramite i suoi vari canali. È il noto effetto delle menzogne ripetute: a furia di ascoltarle, finiscono per sembrare vere.
Leggi anche il nostro articolo su come la Svizzera e altri Paesi affrontano la disinformazione e le influenze:

Altri sviluppi
Svizzera e altre democrazie di fronte alla disinformazione
Per informare in maniera credibile e corretta all’estero, la Svizzera deve affidarsi ai media nazionali e a un’informazione consolidata, affidabile e diffusa nel maggior numero possibile di lingue.
La Svizzera descritta come un Paese insicuro
I post che riprendevano il video della manifestazione di Berna partivano da un fatto reale, ma lo decontestualizzavano, creando confusione e insicurezza e accentuando la polarizzazione nella società locale e all’estero. Con un effetto collaterale: la diffusione dell’immagine di una Svizzera instabile e poco sicura, dove la polizia non ha più la situazione sotto controllo.
Anche sui social cinesi si è diffusa l’idea che la Svizzera non sia un Paese sicuro. Su piattaforme come Xiaohongshu e Douyin viene spesso descritta come una nazione razzista e con un elevato tasso di criminalità. Numerosi utenti raccontano di essere stati derubati o aggrediti durante il loro soggiorno.
Nei forum di discussione online, inoltre, la procedura di sicurezza a cui sono sottoposti gli studenti cinesi che vogliono iscriversi a un’università svizzera viene presentata come una misura volta a vietarne l’accesso. A ciò si aggiungono la traduzione e la diffusione virale di un articolo del tabloid zurighese BlickCollegamento esterno, in cui uno studente raccontava di essere stato insultato con epiteti razzisti durante la ricerca di un alloggio.
Anche nel panorama mediatico cinese circola la narrazione secondo cui la Svizzera avrebbe rinunciato alla propria neutralità. Secondo alcuni post, in caso di un’invasione cinese di Taiwan, la Confederazione congelerebbe tutti i conti bancari dei cittadini cinesi. In un altro post molto popolare, si racconta che gli Stati Uniti ricatterebbero le banche elvetiche attraverso il sistema SWIFT. Politicamente, la Svizzera non sarebbe quindi più neutrale, ma ricattabile.
Queste narrazioni nel dibattito cinese non hanno un autore identificabile, ma si diffondono in un contesto fortemente controllato dalla censura. Ne emerge così l’immagine di una società e di un’economia elvetiche ostili a Pechino. Ancora una volta, la Svizzera viene descritta come un Paese instabile.

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La nostra newletter sulla democrazia
Immagini distorte delle banche svizzere
Lo stesso vale per le lettrici e i lettori della pagina araba di Swissinfo: ogni volta che viene pubblicato un articolo sulle banche svizzere, le e gli utenti ci inviano commenti e spesso critiche. L’argomento tocca chiaramente un punto dolente, alimentato anche da numerosi video che circolano sui social. In essi si sostiene che nella Confederazione sia ancora possibile aprire un conto senza dover rivelare la propria identità: un sistema che permetterebbe a dittatori e membri delle élite arabe di nascondere i propri capitali, grazie a un numero anonimo.
In realtà, in Svizzera non è possibile aprire un conto bancario senza dichiarare la propria identità.
Anche intorno al tema della migrazione, nello spazio arabo circolano false affermazioni. Di recente, ad esempio, su TikTok è diventato virale un video in lingua araba che sosteneva che la Svizzera avrebbe espulso tutte le persone migranti entro il giugno 2025.
Queste false informazioni non costituiscono un rischio diretto per la sicurezza. Tuttavia, invece di offrire un quadro realistico e sfaccettato, contribuiscono a creare un’immagine distorta della Svizzera.
La questione centrale è la neutralità
Anche nello spazio mediatico arabo circolano informazioni fuorvianti sulla neutralità elvetica. “La Svizzera è davvero neutrale sulla questione palestinese?”, si chiedeva Al Jazeera Collegamento esternoalla fine del 2024 in un’ampia analisi. L’articolo ricostruisce inizialmente, in ordine cronologico, come la Confederazione si sia posizionata in maniera equilibrata nel conflitto mediorientale.
In seguito, il testo indica che, dopo il 7 ottobre 2023, questa neutralità è venuta meno. A sostegno di questa tesi viene citato, tra l’altro, il fatto che Berna ha riconosciuto Hamas come un’organizzazione terroristica. La “nuova posizione filoisraeliana” viene spiegata con il crescente peso della destra elvetica.
La Svizzera è ancora neutrale o vi ha rinunciato? È probabilmente questa la domanda decisiva per la sicurezza del Paese a livello internazionale.
A differenza del canale statale qatariota Al Jazeera, dove un giornalista con nome e cognome fornisce un’interpretazione personale sulla neutralità elvetica, i media di Stato russi come RT Deutsch (ex Russia Today) diffondono disinformazione in forma anonima.

La Svizzera nella propaganda russa
Alla fine del 2024, RT sosteneva in un servizio audio che il Paese si stesse avvicinando alla NATO “senza informare la popolazione”. Il contributo lasciava intendere che una rinuncia alla neutralità avrebbe potuto “trascinare la Svizzera nei conflitti geopolitici dell’Occidente”.
Non è la prima volta che RT diffonde informazioni false sulla Svizzera. In passato aveva sostenuto che la Confederazione avesse abbandonato la sua neutralità, citando per esempio l’ex consigliera federale ed ex presidente della Confederazione Viola Amherd, presentata come “sostenitrice della NATO”. La contraddittorietà di questa narrazione rivela l’intento dei suoi autori: non fornire informazioni coerenti, ma diffondere un’immagine negativa della Confederazione.
Dall’inizio del 2024, RT ha moltiplicato i contenuti dedicati alla Svizzera. Nella versione in tedesco, il sito ha collocato in alto sulla homepage un logo con la bandiera rossocrociata e la scritta “Schweiz”, forse con l’intento di legittimare la propria offerta informativa. Infatti, sebbene la piattaforma resti accessibile online in Germania, l’Unione Europea ne ha vietato la diffusione dopo l’inizio della guerra di aggressione russa.
Non tutti i servizi di RT sulla Svizzera contengono falsità, e non tutti affrontano temi prettamente politici. L’emittente ha pubblicato, per esempio, una sorta di “ode a Sascha Ruefer”, il controverso giornalista della Radiotelevisione svizzera di lingua tedesca SRF che commenta le partite di calcio della nazionale elvetica. Ma anche in questo caso, rivolgendosi a un pubblico lontano dalla politica, il messaggio finisce per alimentare risentimenti.
Lo stesso è avvenuto in un altro servizio, che sosteneva che il principale gruppo mediatico privato svizzero fosse in rovina e che diffondesse propaganda filoucraina: un contributo audio che ha raggiunto milioni di ascoltatori e ascoltatrici.
Spesso si sostiene che RT abbia una scarsa diffusione. In realtà, i suoi contenuti hanno comunque un pubblico, come hanno dimostrato diversi studiCollegamento esterno. Ciò avviene tramite i cosiddetti “media alternativi”, che citano RT come fonte o ne pubblicano direttamente gli articoli. Anche il settimanale Die Weltwoche ha ripreso contributi di RTCollegamento esterno. In questo modo si crea un vero e proprio ecosistema mediatico parallelo.
Altri sviluppi
Rischio di false informazioni nelle lingue straniere
È poco realistico che questo ecosistema mediatico diventi dominante nelle lingue nazionali della Svizzera. È molto più probabile, però, che informazioni false su temi specifici, in altre lingue, possano prendere il sopravvento.
Le 14’000 ricerche mensili su Google in inglese riguardanti la neutralità svizzera provengono da persone che cercano di farsi autonomamente un’opinione. Per ora, queste persone trovano risposte corrette e accurate.
Tra i primi risultati di ricerca compaiono Wikipedia, Swissinfo e il sito del Dipartimento federale degli affari esteri. Le informazioni fornite dal ministero sono indubbiamente corrette, ma provengono pur sempre da una fonte governativa ufficiale. Per un pubblico scettico ciò può confermare l’immagine di una Svizzera che si autodefinisce neutrale.
Il testo in lingua inglese di Wikipedia sulla neutralità svizzera è accompagnato da un avviso: l’articolo presenta “diversi problemiCollegamento esterno“.
Su Swissinfo si può invece leggere un articolo che illustra in maniera oggettiva la neutralità, la sua storia e le sue diverse forme, spiegando tra l’altro l’importante distinzione tra diritto della neutralità e politica della neutralità. Il testo è stato redatto dal responsabile della redazione di politica estera ed è stato verificato dal caporedattore.
Perché i media orientati a livello internazionale sono importanti e che cosa possono fare? Le considerazioni del nostro caporedattore Mark Livingston:

Altri sviluppi
Tra fake news e fatti: la responsabilità dei media internazionali
Con la collaborazione di May Elmahdi Lichtsteiner, Kristian Foss Brandt, Elena Servettaz, Ying Zhang
A cura di Mark Livingston
Traduzione di Luca Beti

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