L’uomo forte del Kosovo accusato di traffico di organi
Il premier Hashim Thaci è sospettato di aver gestito un traffico d'armi, droga e organi umani attraverso l'Europa dell'Est, a partire dal 1999. Le accuse sono contenute nel rapporto del senatore svizzero Dick Marty al Consiglio d'Europa. Intervista all'ex parlamentare Ruth-Gaby Vermot.
Nel periodo subito dopo la fine del conflitto armato, diversi leader dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) avrebbero rapito cittadini serbi e dei kosovari di etnia albanese per condurli in Albania, dove venivano loro espiantati gli organi per poi essere venduti.
Il rapporto del senatore svizzero Dick Marty, che sarà presentato giovedì al Consiglio d’Europa, sottolinea che «questa attività criminale si è sviluppata grazie all’iniziativa di un gruppo ristretto, ma incredibilmente potente, di personalità dell’Uck legate al crimine organizzato». ll padrino di questo gruppo – chiamato Drenica – non sarebbe altri che Hashim Thaci, leaader del Partito democratico del Kosovo uscito vincente alle elezioni legislative di domenica scorsa.
Secondo i dati della Croce rossa internazionale, alle 1’900 persone scomparse durante la guerra civile – e la cui sorte resta sconosciuta -, si aggiungono altri 500 “desaparecidos” dopo l’arrivo delle truppe della KFOR, il 12 giugno 1999.
Thaci è inoltre sospettato di aver gestito per oltre dieci anni il commercio di eroina, di aver assassinato e detenuto illegalmente migliaia di persone, e di aver contrabbandato armi e munizioni. Il premier ha definito le accuse “infondate e inventate”, allo scopo di danneggiare i leader dell’Uck.
Nel suo rapporto, Dick Mary non risparmia nemmeno qualche critica alla comunità internazionale, rea di aver «privilegiato un approccio politico pragmatico», favorendo «dapprima la stabilità a corto termine e sacrificando così importanti principi di giustizia». Malgrado vi fossero indizi concreti, prosegue il rapporto, «le autorità internazionali in carica non hanno ritenuto necessario procedere a un esame approfondito delle circostanze, o lo hanno fatto in modo superficiale e incompleto».
Il contenuto del rapporto di Dick Marty non è del tutto nuovo. Già nel 2008, infatti, l’ex procuratrice del Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia Carla del Ponte aveva sollevato accuse analoghe, nel suo libro « La caccia – Io e i criminali di guerra ».
Fortemente criticata e costretta al silenzio dal Dipartimento federale degli affari esteri, Carla del Ponte aveva trovato il sostegno dell’allora deputata socialista Ruth-Gaby Vermot, che aveva invitato la comunità internazionale a prendere sul serio queste incriminazioni. Swissinfo.ch ha discusso con lei delle conseguenze del rapporto del Consiglio d’Europa sul futuro Kosovo e del ruolo svolto dalla Svizzera, tra i primi paesi ad aver riconosciuto l’indipendenza del nuovo Stato e tra i principali donatori.
swissinfo.ch: Il rapporto del Consiglio d’Europa, e le pesanti accuse contro i leader del Kosovo, potrebbero mettere in pericolo la stabilità di questo nuovo Stato indipendente?
Ruth-Gaby Vermot: Da come conosco Dick Marty, sono sicura che nel rapporto ha scritto soltanto quello che è riuscito provare. La questione della stabilità del paese non deve portare a un’occultazione di questo raccapricciante rapporto. Hashim Thaci, l’uomo forte delle scorse elezioni, ne uscirà sicuramente indebolito.
Non si può mantenere la stabilità di uno Stato, quando si è sorvolato su violazioni dei diritti umani compiute durante la guerra e che proseguono ancora oggi. Le accuse sono state scritte nero su bianco. Thaci deve risponderne, lo Stato del Kosovo deve far fronte a queste incriminazioni. Temo che il paese ne uscirà davvero scosso.
swissinfo.ch: La Svizzera ha fortemente lottato per l’indipendenza del Kosovo, è stato uno dei primi paesi a riconoscere il nuovo Stato, e figura tra i principali paesi donatori. La Svizzera ha chiuso gli occhi di fronte alle attività sospette dell’Uck, e degli attuali leader politici, oppure ne è sempre stata all’oscuro?
R-G. V-M.: Il fatto che la Svizzera abbia riconosciuto subito l’indipendenza del Kosovo, la trova tuttora una scelta corretta. Questo giovane Stato doveva essere sostenuto e aveva bisogno di fondi per svilupparsi. È ormai risaputo che gli Stati o dei movimenti di liberazione coinvolti in un conflitto armato possono essersi macchiati di violazioni dei diritti umani. Grazie al rapporto di Dick Marty sappiamo però quanto terribili siano stati questi crimini. Ora possiamo ricanalizzare quanto successo e trascinare lo Stato davanti alla resa dei conti.
swissinfo.ch: Nel 2008 Carla del Ponte è stata duramente criticata da più parti per le sue allusioni ai crimini dell’Uck e costretta al silenzio dalle autorità svizzere. Secondo lei è stata una mossa giusta?
R-G. V-M.: Non ho mai capito perché abbiano messo la museruola a Carla Del Ponte. Ho sempre sostenuto che queste piste avrebbero dovuto essere seguite e che altri avrebbero dovuto continuare ad indagare. Non trovo corretto aver messo a tacere Carla del Ponte anche perché la pubblicazione del rapporto di Dick Marty dimostra come molto di ciò che ha scritto nel suo libro è vero.
swissinfo.ch: Il rapporto del Consiglio d’Europa rischia di rafforzare la posizione della Serbia?
R-G. V-M.: Non credo che la Serbia possa trarne vantaggio, solo perché in Kosovo sono accaduti crimini così tremendi. I crimini di guerra commessi dai serbi non sono ancora stati elaborati. Non credo che qualcuno possa rallegrarsi che il Kosovo vada male, che il Kosovo sia accusato in questo modo.
Ora c’è bisogno di una Corte – che possa elaborare il tutto -, c’è bisogno di organizzazioni dei diritti umani che prendano parte all’inchiesta in modo che tutta la dimensione del dramma possa venire alla luce e i colpevoli possano essere puniti. L’impunità è la cosa peggiore che possa vivere un paese dopo essere stato devastato dalla guerra.
Dopo la pubblicazione del rapporto del Consiglio d’Europa, il Dipartimento federale degli affari esteri ha ricordato che la Svizzera «sostiene da tempo gli sforzi volti ad chiarire i numerosi casi di persone scomparse durante i conflitti nell’ex Jugoslavia».
Berna «incoraggia le autorità dei paesi coinvolti a cooperare alle inchieste e a mettere assieme tutti gli elementi che permettano di far luce sulla sorte delle persone scomparse».
«Se vi fossero gli estremi, spetterebbe poi alle autorità competenti condurre le procedure penali contro gli individui sospettati di essere responsabili delle scomparse durante i conflitti o dopo la fine delle ostilità”, ha aggiunto il DFAE.
Dopo la Seconda guerra mondiale: la provincia del Kosovo gode di uno statuto di autonomia, ancorato nel 1974 nella Costituzione della Federazione jugoslava.
1989: il presidente serbo Slobodan Milosevic annulla lo statuto di autonomia e invia l’esercito in Kosovo per sedare le proteste.
1998: decine di migliaia di kosovari abbandonano le loro case in seguito ad un’offensiva condotta da Belgrado contro l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK).
1999: la Nato lancia una serie di attacchi aerei contro la Serbia per porre fine al conflitto tra le forze serbe e gli indipendentisti albanesi. Dopo due mesi e mezzo di bombardamenti, 50’000 soldati della Nato vengono stazionati in Kosovo e la provincia viene posta sotto il protettorato dell’Onu.
2007: il leader separatista Hashim Thaci vince le elezioni parlamentari e preannuncia la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo.
17 febbraio 2008: diventato primo ministro, Hashim Thaci dichiara il Kosovo uno Stato «indipendente, sovrano e democratico».
27 febbraio 2008: la Svizzera riconosce l’indipendenza del Kosovo e instaura relazioni diplomatiche e consolari con questo nuovo paese dei Balcani.
28 marzo 2008: la ministra degli esteri svizzera inaugura l’ambasciata elvetica a Pristina.
8 ottobre 2008: l’Assemblea generale dell’ONU approva la risoluzione avanzata dalla Serbia di chiedere alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja una perizia sulla legittimità dell’indipendenza del Kosovo.
(con la collaborazione di Stefania Summermatter e Laureline Duvillard)
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