“La tortura è resistente e tende a ritornare”

Torturato durante la dittatura militare in Argentina, Juan Méndez ha dedicato buona parte della sua vita a combattere questo flagello ed oggi è relatore speciale dell'ONU sulla tortura. Intervista in occasione della Giornata internazionale in favore delle vittime della tortura.
Negli anni della dittatura argentina (1976-83), Juan Méndez ha difeso, quale avvocato, i prigionieri politici. Una missione pericolosa: l’attuale relatore speciale dell’ONU si è ritrovato a sua volta in prigione ed è stato sottoposto a torture. Un’esperienza che lo ha portato in seguito a proseguire la sua lotta contro le ingiustizie e in favore dei diritti umani a livello internazionale. Swissinfo.ch lo ha avvicinato al Palazzo Wilson di Ginevra, sede dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani.
swissinfo.ch: Le violazioni dei diritti umani in Siria figurano attualmente al centro dell’attenzione internazionale. Come vede la situazione?
Juan E. Méndez: La situazione è molto grave: assistiamo a esecuzioni senza procedimenti giudiziari, sparizioni e torture sistematiche. Il governo siriano si rifiuta di rispondere ai nostri appelli. Nonostante i nostri sforzi, non riusciamo ad ottenere progressi, anche perché il Consiglio di sicurezza si è mostrato totalmente indeciso sulla crisi siriana.
swissinfo.ch: Quali sviluppi vi sono invece negli altri paesi della Primavera araba?
J.E.M: La Libia mi preoccupa molto, perché ci sono numerose milizie non subordinate allo Stato e sospettate di praticare regolarmente la tortura in carceri segrete. Penso che la comunità internazionale debba essere ferma con il governo libico ed esigere che intervenga. Per quanto riguarda l’Egitto, ho chiesto alle autorità di essere invitato a visitare il paese, ma ancora non mi hanno risposto. La situazione dei diritti umani sembra migliorare, ma rimane ancora molto insicura. Spero che la resistenza delle masse egiziane possa ora canalizzarsi nelle istituzioni dello Stato di diritto.
swissinfo.ch: I cambiamenti in questi paesi aprono nuove speranze di poter porre fine alla pratica endemica della tortura?
J.E.M: I cambiamenti sono lenti, ma sicuri in Tunisia. Il nuovo governo emerso dalla rivoluzione manifesta buone intenzioni, ma non può eliminare la tortura con un semplice ordine. Continua ad essere praticata, anche se non a livelli così gravi come in passato. Le forze di sicurezza incontrano difficoltà ad adeguarsi alla nuova realtà. Ora occorre perseguire e punire i responsabili dei crimini commessi dal vecchio regime e bisogna risarcire le vittime, anche per le violenze che risalgono a molti anni fa. La torture praticate in Tunisia dal regime di Ben Ali sono state atroci. Superano addirittura quasi tutto ciò che abbiamo visto finora.
swissinfo.ch: Cosa aspira a raggiungere nel corso del suo mandato?
J.E.M: Vogliamo che tutti questi paesi rispettino i diritti universali. Tutti gli arresti devono essere registrati. Tutti i centri di detenzione devono essere conosciuti ed venir sottoposti a controlli periodici. Sono misure realizzabili.
swissinfo.ch: Quali sono le maggiori difficoltà?
J.E.M: La tortura è resistente e tende a ritornare. Quando le forze di sicurezza si accorgono che la società civile non vigila, ritornano facilmente alle loro vecchie abitudini, perché danno risultati più rapidi. Lo vediamo in America Latina. La democrazia non è stata in grado di sradicare la tortura. La polizia è ancora autonoma e si attiene ad un suo spirito di corpo: se un agente pratica la tortura, gli altri lo coprono invece di denunciarlo.
swissinfo.ch: La situazione rimane particolarmente precaria nelle prigioni.
J.E.M: Vi sono ancora gravi problemi. Perfino nella maggior parte dei paesi democratici d’America le condizioni di detenzione sono spaventose. Le carceri sono sovraffollate e la violenza è spesso favorita dalle stesse guardie. Ma la popolazione è così spaventata dalla criminalità, che preferisce chiudere gli occhi su questa realtà e non affrontare questo tema.
swissinfo.ch: A livello mondiale, quali sono i paesi che destano maggiori preoccupazioni?
J.E.M: I paesi che mi preoccupano maggiormente sono spesso quelli che non vogliono invitarmi a visitarli oppure cancellano all’ultimo minuto l’invito, come ha fatto il Bahrain. Stiamo aspettando già da 18 anni un permesso di visita da parte delle autorità di alcuni paesi.
swissinfo.ch: Quali sono gli scopi di queste visite?
J.E.M: Dipende dall’invito, ma generalmente dispongo del diritto di muovermi in modo autonomo e di accedere a tutti i centri di detenzione. Solo io posso inoltre decidere quando e dove compiere delle visite. Le autorità comunicano che il relatore speciale dell’ONU si trova nel paese e deve poter accedere a tutto, nessuna porta deve rimanere chiusa. Devo inoltre poter discutere con qualsiasi detenuto e qualsiasi membro della società civile, senza controlli e senza che nessuno debba temere di essere poi perseguito.
swissinfo.ch: Si tende ad associare la tortura ai paesi in via di sviluppo. Ci sono delle infrazioni anche nei paesi industrializzati dell’Occidente?
J.E.M: Da quando, dopo l’11 settembre 2001, gli Stati uniti hanno lanciato la guerra al terrorismo, registriamo una recrudescenza di torture anche da parte americana. Tra queste anche torture pesanti, come il waterboarding (annegamento simulato). La gente lo prende a volte alla leggera, ma si tratta di una pratica molto grave. In questa guerra non bisogna poi dimenticare la tortura psicologica, in cui non viene toccato un capello a nessuno, ma che lascia profonde sequele. Trascorrere 23 ore al giorno in una cella di quattro metri quadrati, è una tortura reale. Dobbiamo lottare contro la tortura, sia fisica che mentale.
swissinfo.ch: Suppongo che si riferisce a Guantánamo e all’era del presidente americano Bush. È cambiato qualcosa dalla sua partenza?
J.E.M: Il giorno dopo il suo insediamento alla presidenza, Obama ha emesso delle ordinanze che vietano la tortura e applicano le disposizioni vigenti della giustizia militare. È interessante notare che negli ultimi tre anni non ci sono stati nuovi rapporti di tortura degli Stati Uniti. Tutti i casi noti al Consiglio dei diritti umani dell’ONU risalgono al precedente governo.
swissinfo.ch: Gli Stati Uniti sono quindi ora in regola in quest’ambito con la Convenzione dell’ONU contro la tortura?
J.E.M: Non del tutto, perché non si tratta soltanto di vietare la tortura, ma di perseguire, processare e punire i casi avvenuti sotto il precedente governo. Purtroppo, l’amministrazione Obama ha impedito a sua volta qualsiasi indagine sull’uso della tortura durante la presidenza Bush. Washington ha risposto con il silenzio totale alle nostre sollecitazioni, facendo valere il dovere di segreto per la sicurezza dello Stato.
swissinfo.ch: Lei è stato vittima di torture durante la dittatura in Argentina. Come riesce ora a sopportare le descrizioni di torture subite dalle persone che incontra nel quadro della sua missione??
J.E.M: Faccio questo lavoro da molti anni, ma ancora oggi vi sono delle testimonianze che mi colpiscono più di altre. Posso immaginare il dolore e la sofferenza di queste persone. Ma credo che a cosa più grave, e spesso dimenticata, sia la sofferenza dei familiari.
Nato nel 1944 a Mar del Plata, in Argentina, Juan E. Méndez, si è diplomato come avvocato nel 1970. Dopo i suoi studi ha assunto per alcuni anni la difesa di prigionieri politici nel paese sudamericano.
Arrestato a sua volta, è stato imprigionato per 18 mesi all’inizio della dittatura militare in Argentina (1976 -83) e sottoposto a torture. Rilasciato grazie alle pressioni di Amnesty International, è riuscito espatriare nel 1977 negli Stati uniti.
Negli Stati uniti ha proseguito la sua attività in difesa dei diritti civili e dei lavoratori migranti, lavorando tra l’altro per l’ong Human Rights Watch. È stato inoltre professore di diritto e direttore del Centro per i diritti civili e umani presso l’Università di Notre Dame, nell’Indiana.
L’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan lo ha nominato consigliere speciale per la prevenzione del genocidio, una posizione che ha ricoperto tra il 2004 e il 2007.
Juan E. Méndez ha ripreso in seguito l’attività di docente presso diverse altre università americane e, nel 2010, è stato nominato relatore speciale dell’ONU sulla tortura.
L’incarico di relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura è stato creato dal Consiglio dei diritti umani, la cui sede è a Ginevra.
Il relatore compie delle visite nei paesi dell’ONU, ispeziona le prigioni e altri luoghi, s’intrattiene con le autorità e la società civile, denuncia pubblicamente eventuali casi di tortura e propone modifiche legislative.
Secondo Juan E. Méndez, si può parlare di tortura quando vi l’intenzione esplicita di provocare sofferenza e dolore acuto, compresi i trattamenti disumani , come condizioni di detenzione degradanti.
Traduzione di Armando Mombelli

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