Il maestro svizzero degli impressionisti

Il pittore svizzero Charles Gleyre (1806-1874) godeva di un notevole prestigio nel XIX secolo. È nel suo atelier parigino che pittori molto diversi tra loro come Albert Anker e Auguste Renoir impararono la loro arte. Lo stesso Gleyre si collocava al confine tra Romanticismo e Impressionismo.
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Chi si ricorda ancora dell’eroe romantico Manfred? Nel XIX secolo incarnava una sorta di stella che, come il Faust di Goethe, aspirava disperatamente alla conoscenza.
Manfred apparve nel 1817, frutto dell’immaginazione del poeta e dandy Lord Byron, nel suo “poema drammatico”. La sua storia è a dir poco strana al giorno d’oggi: Manfred invoca gli spiriti e li prega di concedergli l’oblio. Non ottenendo ciò che desidera, crolla. La storia prende una svolta singolare quando il giorno dopo, si sveglia in cima alla Jungfrau, da dove vuole gettarsi nel vuoto. Un cacciatore di camosci lo ferma in extremis. Dopo un episodio in cui Manfred apprende le ragioni del silenzio degli spiriti, ritorna sulla Jungfrau. Nuova invocazione, nuovo fallimento.
È proprio questa la scena che Charles Gleyre, tra gli altri, ha dipinto.

L’opera produce su di noi un effetto almeno altrettanto strano quanto il racconto di Byron: con dei pantaloni a righe, Manfred assomiglia un po’ a una guardia svizzera in escursione, calza delle scarpe alla polacca, non proprio adatte alla montagna e assume una ridicola posa teatrale sull’orlo del precipizio, come se stesse per scattare un selfie. Resta il fatto che l’atmosfera spettrale è particolarmente riuscita grazie alla padronanza degli effetti di luce: questo, al giorno d’oggi, dovrebbe piacere anche agli appassionati di fantasy.
Naturalmente, essendo Gleyre originario di Chevilly, nel canton Vaud, aveva visto la Jungfrau solo da lontano. Anche Lord Byron, durante il suo soggiorno in Svizzera nell’estate del 1816, aveva sentito parlare della prima scalata di questa vetta nel 1811.
Questa è un’opera giovanile del pittore, realizzata intorno al 1825. Gleyre fu consacrato solo molto più tardi, inizialmente con il quadro grande formato Le Soir.

Nel 1843, questa scena di deliziosa malinconia fece di Gleyre la star del “Salon de peinture et de sculpture”, una mostra artistica annuale a Parigi, allora metropoli delle arti per eccellenza.
Questo dipinto di una barca magica al crepuscolo, su cui muse vestite alla moda antica si dedicano alle loro attività mentre un vecchio malinconico medita ai margini della scena, tocca una corda sensibile. Rappresenta infatti alla perfezione il “male del secolo”, questo stato di malinconia diagnosticato da poeti come Alfred de Musset.
Durante la Monarchia di Luglio di re Luigi Filippo, questo male si era impadronito di un’intera generazione che si considerava priva di prospettive e rimpiangeva gli ideali di un’altra epoca, che spesso risalivano all’antichità. Le guerre napoleoniche erano perdute, la rivoluzione di luglio era fallita e i conservatori regnavano sovrani. Il dipinto di Gleyre venne immediatamente interpretato come una sorta di simmetria del famoso romanzo di Balzac Le illusioni perdute. Il Louvre lo acquisì..
Gleyre si era faticosamente fatto strada fino alla vetta del mondo artistico. Poiché l’arte non era sufficientemente apprezzata in Svizzera a quel tempo e il suo insegnamento era inesistente, si era formato inizialmente a Lione e a Parigi, imparando in particolare l’acquerello.
Come molti dei suoi coetanei, si recò poi in Italia per riempire di schizzi i suoi quaderni. Tuttavia, a partire dal 1828, fece fatica a finanziare i suoi lunghi soggiorni a Roma e Venezia. La sua nazionalità svizzera lo escludeva da borse di studio ambite come il “Prix de Rome”, che consentiva ai francesi di risiedere a Villa Medici. Fu quindi una fortuna che il pittore Horace Vernet, all’epoca ben disposto nei suoi confronti e direttore di Villa Medici, mettesse Gleyre in contatto con l’industriale John Lowell di Boston.
Quest’ultimo era alla ricerca di un disegnatore e di un acquerellista che lo accompagnassero durante il suo viaggio in Oriente che, a partire dal 1834, lo avrebbe portato in Egitto passando per la Grecia e infine in India. All’epoca era una pratica comune documentare visivamente i viaggi, poco prima dell’invenzione della fotografia.
Se Lowell e Gleyre finirono per separarsi in Egitto a causa di disaccordi (entrambi soffrivano sempre più del clima e delle malattie), l’artista svizzero realizzò comunque acquerelli impressionanti che, oltre ai monumenti dell’era faraonica conosciuti all’epoca, immortalarono anche la popolazione locale.
Le potenti atmosfere eteree a cui assistette durante il suo lungo viaggio in Oriente ebbero un’influenza decisiva sul suo lavoro. Le Soir, ad esempio, evoca una battuta di pesca sul Nilo, un’attività alla moda. Audaci nastri rosa in stile impero sembrano essere stati posati da una modista parigina.
In occasione della grande mostra dedicata a Gleyre al Museo d’Orsay nel 2016, lo storico dell’arte svizzero Michel Thévoz ha ritenuto che Le Soir rappresentasse una manifestazione precoce dell’approccio artistico di Gleyre, segnato dal dubbio di sé. Il vecchio uomo avvilito in piedi sulla riva è quindi l’incarnazione dell’artista alle prese con lo stile accademico neoclassico. Senza riuscire a staccarsene, doveva sentire quanto questo stile fosse sterile e logoro, dal momento che spingeva il pittore nel ruolo dubbioso di scenografo teatrale. Ricorreva a degli accessori il più credibili possibile per rendere attraenti vecchie storie agli occhi di un pubblico contemporaneo.
Secondo questa interpretazione, l’artista era fissato con gli ideali artistici del passato, il che lo rendeva cieco nei confronti di una società sempre più preoccupata e turbata dagli sconvolgimenti causati dagli inizi dell’industrializzazione e della modernizzazione. In effetti, Gleyre non divenne in seguito un “pittore della vita moderna”, come il poeta Charles Baudelaire lo dipinse nel suo famoso saggio del 1863. Tuttavia, artisti come lui, che sapevano come far scintillare un’estetica che cominciava ad essere superata, erano molto apprezzati dal pubblico. Infatti, a differenza dei sostenitori della modernità come Baudelaire, il pubblico preferiva generalmente le variazioni su temi familiari all’esplorazione, a volte inquietante, di nuovi orizzonti.
Gleyre, che soffriva delle conseguenze di un’infezione agli occhi contratta in Egitto e che lavorava lentamente, non fu in grado di dare seguito immediato al successo parigino di Le Soir. In ogni caso, finì per farsi notare a Losanna, dove gli vennero affidate commesse pubbliche. Gleyre iniziò dipingendo un episodio del XVIII secolo, l’esecuzione del maggiore Davel, un ribelle durante la battaglia dei vodesi per liberare la loro patria dal dominio bernese. Completato nel 1850, il dipinto ricevette un’accoglienza entusiasta. Venne però distrutto nel 1980 da un piromane al Museo cantonale delle belle arti di Losanna e oggi ne rimane solo un frammento.

La fibra repubblicana di Gleyre si manifesta in un altro dipinto storico che contribuisce a forgiare l’identità nazionale: Les Romains sous le joug, realizzato nel 1858. Illustrando la sconfitta degli invasori romani da parte degli Elvezi, anche questo dipinto riscosse un grande successo.

Nella Svizzera tedesca, solo a Basilea il talento di Gleyre è riconosciuto. Realizzato per il Kunstmuseum di Basilea, il grande formato Penthée poursuivi par les Ménades dimostra ancora una volta il senso della messa in scena e la padronanza della luce del vodese.

Sebbene Gleyre non partecipasse più ai “Salon” per protestare contro Napoleone III e fosse in preda al dubbio, l’artista era più che mai presente a Parigi. Il successo di Le Soir gli permise infatti di fare del suo atelier parigino, che aveva rilevato dal pittore Paul Delaroche, un luogo di formazione. In un’epoca in cui l’istruzione accademica ufficiale non era accessibile a tutti e veniva sempre più considerata come paralizzata, gli atelier di artisti rinomati nella capitale francese svolgevano un ruolo di primo piano in termini di formazione, scambi e creazione di reti.
Gleyre godeva di una buona reputazione come insegnante, soprattutto perché aveva sviluppato un programma di studi. Eccellente disegnatore, attribuiva grande importanza all’insegnamento del disegno. Spesso al verde, chiedeva tuttavia solo un compenso modesto e si dimostrava generoso sul piano artistico non imponendo alcuno stile ai suoi allievi. Si capisce così perché temperamenti così diversi come quelli di Albert Anker e Auguste Renoir, Jean-Léon Gérôme e Alfred Sisley, James Whistler e Frédéric Bazille fossero tra i suoi oltre 500 studenti.

Gleyre era un precursore e un pioniere che percepiva gli sconvolgimenti a venire nel mondo dell’arte, anche se non vi partecipò più. L’impressionismo sostituì sempre più la pittura accademica e da salotto dal classicismo austero, che ormai si accontentava di declinare e riprodurre i propri codici. Lo stesso Gleyre si impegnò timidamente, ma con originalità, sulla via della modernità, in particolare nel Le Deluge, quando immaginò un paesaggio apocalittico che, visto oggi, sembra attuale. Uno squadrone di angeli preraffaelliti, che dà l’impressione di un collage, sembra anticipare il Surrealismo.

Nel 1884, diversi ex studenti di Gleyre parteciparono al “Salon des indépendants” di Parigi, che contribuì alla svolta dell’impressionismo. Già nel 1863, il “Salon des refusés” aveva posto fine all’egemonia dell’Accademia di Belle Arti in Francia. Tuttavia, una riforma adottata nel 1873 indebolì anche gli istituti di insegnamento liberi. Lo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870 costrinse Gleyre a chiudere il suo atelier parigino e a tornare in Svizzera.
Lì continuò a dipingere ritratti su commissione e lavorò quasi fino alla sua morte nel 1874 su grandi progetti come Le paradis terrestre. Nel frattempo, la sua reputazione raggiunse gli Stati Uniti. Magnate delle ferrovie e collezionista d’arte, l’americano John Taylor Johnson (anche presidente fondatore del Metropolitan Museum of Art di New York) acquistò il dipinto Le Bain. Si trattava della prima opera dell’artista ad entrare in una collezione americana.

Nonostante il suo successo come ritrattista, Gleyre beneficiò poco del libero mercato dell’arte che stava emergendo. Gran parte della sua opera si trova quindi nei musei pubblici, e principalmente nel Museo delle Belle Arti di Losanna. Essa affronta le sfide artistiche in un’epoca di disordini e transizioni, ma anche la nostalgia malinconica dei valori estetici consolidati.
Barbara Basting è stata giornalista culturale. Attualmente dirige il settore Arti Plastiche del dicastero della cultura della città di Zurigo.
L’articolo originale sul blog del Museo nazionale svizzeroCollegamento esterno

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