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Care svizzere e cari svizzeri all’estero,

Due delle notizie della nostra selezione odierna riguardano da vicino il portafoglio di chi vive nella Confederazione, con il temuto annuncio sull'aumento dei premi dell'assicurazione sanitaria e i dibattiti parlamentari sul canone radiotelevisivo.

Guarderemo poi dall'altra parte dell'Atlantico. La Svizzera a New York ha firmato una dichiarazione sugli aiuti umanitari a Gaza, mentre sono in stallo le discussioni sull'eventuale abbassamento del prezzo dei farmaci esportati negli Stati Uniti.

 Buona lettura!

Tessere assicurazione malattia
L’85% delle persone interpellate da Comparis sarebbe disposto a cambiare assicurazione, modello o franchigia qualora l’aumento dei premi superasse i 50 franchi al mese. Keystone / Christian Beutler

La ministra della sanità Elisabeth Baume-Schneider ha comunicato che nel 2026 la popolazione dovrà sborsare il 4,4% in media in più per l’assicurazione malattia obbligatoria, con forti differenze tra un cantone e l’altro.

L’aumento percentuale maggiore riguarda il Ticino (7,1%), quello minore Ginevra (3%). Il Canton Zugo è l’unico invece in cui si registra un calo, di ben il 14,7%. 

Secondo un sondaggio della Società svizzera di radiotelevisione (SSR), l’aumento dei costi dell’assicurazione sanitaria è l’argomento che più inquieta la popolazione, con il 50% che si dice “molto preoccupato” e il 34% “abbastanza preoccupato”.

Nonostante il malcontento, dal sondaggio emerge la volontà della maggioranza di mantenere il principio della solidarietà su cui il sistema elvetico si basa (i premi non sono proporzionali al rischio di ammalarsi di ciascuno), così da garantire che in caso di malattia ogni persona possa essere aiutata.

Stando a un altro sondaggio condotto da Comparis, la metà di coloro che abitano nella Confederazione ritiene di non potersi permettere una crescita dei premi superiore al 4%. Attualmente, in media, una persona in Svizzera spende 378 franchi al mese per l’assicurazione sanitaria.

Studio televisivo
Il canone che finanzia la Società svizzera di radiotelevisione (SSR) attualmente ammonta a 335 franchi all’anno per economia domestica. Keystone / Peter Schneider

Dopo il Consiglio nazionale, anche il Consiglio degli Stati ha respinto l’iniziativa che chiede di abbassare il canone radiotelevisivo a 200 franchi all’anno e di esonerarne le imprese.

Il Consiglio degli Stati preferisce il controprogetto a livello di ordinanza proposto dal Consiglio federale. Questo prevede che il canone che finanzia principalmente la SSR, ma anche diversi media privati, passi dai 335 franchi attuali a 312 nel 2027, poi a 300 nel 2029. Anche il fatturato al di sotto del quale è possibile l’esenzione per le imprese è rivisto al rialzo, da 500’000 franchi a 1,2 milioni.

Chi ha difeso l’iniziativa in Parlamento ha sottolineato che quello svizzero è uno dei canoni più cari in Europa e che, pagando sia come privati cittadini sia per l’azienda che dirigono, gli imprenditori sono ingiustamente tassati due volte.

Le voci contrarie hanno invece sottolineato l’importanza di un servizio pubblico forte per la democrazia e la coesione nazionale.

Sempre a proposito di canone, la Camera del popolo ha deciso martedì che una percentuale maggiore di esso dovrà essere destinato a finanziare le radio e le televisioni private locali, dal 4-6% attuale, al 6-8% futuro.

Ignazio Cassis con bandiera svizzera sullo sfondo
Il consigliere federale Ignazio Cassis Keystone / Peter Klaunzer

In occasione di una conferenza a New York sul Medio Oriente e la soluzione dei due Stati, il ministro degli esteri svizzero Ignazio Cassis ha sottoscritto una dichiarazione congiunta con altri Paesi che chiede a Israele di revocare le restrizioni sui farmaci e sulle apparecchiature mediche a Gaza

 Il testo chiede inoltre di riaprire il corridoio di evacuazione medica da Gaza alla Cisgiordania. In un comunicato, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ribadisce che la soluzione dei due Stati rimane “l’unica possibilità per israeliani e palestinesi di vivere fianco a fianco in pace, sicurezza e dignità all’interno di confini sicuri e riconosciuti, in conformità con il diritto internazionale”.

La Svizzera respinge con fermezza l’occupazione israeliana del territorio palestinese, gli insediamenti, le annessioni e le espulsioni, e invita tutte le parti a rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario”, prosegue la nota.

Mentre diversi Paesi, Francia in testa, hanno annunciato il riconoscimento dello Stato di Palestina, la posizione della Confederazione resta per ora invariata: “Il riconoscimento potrà essere preso in considerazione quando saranno state avviate misure concrete che garantiscano sia l’autodeterminazione del popolo palestinese sia la sicurezza di Israele”.

Croce svizzera formata da confezioni di farmaci
L’industria farmaceutica rappresenta tra il 50% e il 60% delle esportazioni elvetiche verso gli Stati Uniti Keystone / Til Buergy

Lo spettro dei dazi USA continua a tenere con il fiato sospeso l’economia elvetica. I negoziati tra il Consiglio federale e il settore farmaceutico, finora esentato dalle tariffe statunitensi, sono attualmente in stallo.

Il presidente americano Donald Trump ha dato tempo all’industria farmaceutica svizzera fino alla fine di settembre per abbassare il prezzo dei farmaci esportati negli Stati Uniti, altrimenti i prodotti del settore rischiano di essere tassati a loro volta. Al momento, il resto dell’export elvetico verso gli USA è sottoposto a tariffe del 39%.

I colloqui di lunedì sera tra il settore farmaceutico, i Cantoni e il Consiglio federale non hanno prodotto soluzioni concrete e il ministro dell’economia Guy Parmelin, pur parlando di un incontro “costruttivo”, ha comunicato solo che le discussioni proseguiranno in un secondo momento.

La partita, in ogni caso, non si gioca solo in Svizzera. “Tutto dipenderà da cosa emergerà dalle decisioni americane“, ha affermato ancora Parmelin, ricordando che negli Stati Uniti “sono coscienti degli investimenti dei grandi gruppi farmaceutici nel Paese. Vogliono evitare di distruggere questo valore aggiunto”.

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