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Scienza in Svizzera: le donne che guidano il cambiamento

Nel sottosuolo alla ricerca delle origini della vita

Donna con elmetto e tuta catarifrangente
Cara Magnabosco preleva un campione d'acqua nel tunnel che porta al "BedrettoLab". swissinfo.ch / Michele Andina

Cara Magnabosco voleva diventare calciatrice professionista. Poi però la sua curiosità ha avuto la meglio: alla fine, infatti, la giovane ha optato per la ricerca. La professoressa del Politecnico federale di Zurigo (ETH) indaga sulle origini della vita nelle profondità della superficie terrestre.

Se partendo dal Vallese si scende il Passo della Novena in direzione del Cantone Ticino, nella Svizzera meridionale, è impossibile non passarci davanti. Tuttavia, sono pochissimi coloro che scorgono la “Finestra di BedrettoCollegamento esterno”, l’ingresso nella montagna.

In principio, questa galleria era stata scavata nella roccia come cunicolo di accesso al tunnel di base del Furka, che è lungo 15,38 km e che permette, tra le varie cose, di trasportare veicoli da est a ovest. Proprio lì, 1’500 m sotto la superficie terrestre, Cara MagnaboscoCollegamento esterno vuole esplorare a fondo – nel vero senso della parola – le origini della vita nell’universo.

Perciò, ogni due mesi circa, la giovane geobiologa (33 anni) si reca in Ticino. Quando entra nella galleria sembra un’operaia che lavora sui cantieri stradali: divisa arancione con strisce catarifrangenti, elmetto protettivo e autorespiratore autonomo – una maschera munita di riserva di ossigeno con una pesante tracolla.

Ogni volta che Magnabosco si addentra nella montagna per due chilometri in orizzontale per raggiungere il “BedrettoLab”, un laboratorio sotterraneo del Politecnico federale di Zurigo (ETH), può contare su questo apparecchio per uscire di nuovo dal tunnel in caso di emergenza.

>> Abbiamo accompagnato Cara Magnabosco nelle profondità del ventre della Terra e nei laboratori del Politecnico federale di Zurigo (ETH).

La galleria è umida e al suo interno fa freddo. Non è stata rivestita di intonaco. Nel mezzo del Massiccio del San Gottardo, la superficie superiore e le pareti sono formate da roccia scura, il suolo è irregolare. La buona ventilazione impedisce che si formi quell’odore di muffa che ci si sarebbe potuti aspettare in un luogo simile. In questo lunedì di maggio la galleria è tranquilla; solo alle nostre spalle, molto più lontano da noi, sprizzano alcune scintille: una squadra sta saldando qualcosa. E quindi qui sotto dovrebbe esserci vita? Non c’è altro che acqua e roccia.

Mappa del Bedrettolab
Il “BedrettoLab” si estende per due chilometri nella roccia, sollo il Pizzo Rotondo, la cui vetta è 1’500 metri al di sopra della galleria. swissinfo.ch / Michele Andina

Dalle profondità della Terra

A un chilometro e mezzo sotto il Massiccio del San Gottardo, Magnabosco cerca le più antiche testimonianze di forme di vita sul nostro pianeta. E non si limita a calarsi nelle profondità più remote della Terra: spesso, infatti, trascorre ore e ore al microscopio in locali oscurati oppure prepara i campioni in laboratorio.

Ora però nella galleria sta maneggiando un rubinetto, installato in un punto ben preciso dove sgorga una vena d’acqua: stiamo parlando d’acqua filtrata per decine di migliaia di anni attraverso la roccia. Magnabosco ne spilla un po’ per prelevarne alcuni campioni e poi, servendosi di un tubicino di plastica, gratta la roccia umida per raccogliere microbi.

“In questo campione potrebbero esserci migliaia di microrganismi che non hanno mai visto la luce del giorno”, afferma la geobiologa. “È un ambiente affascinante”: qui, infatti, queste forme di vita risalenti ai tempi remoti della Terra sono al riparo da tutti i processi che si sviluppano in superficie. Ed è proprio questo aspetto che rende tale ambiente interessante per la ricerca delle origini della vita nell’universo.

Donna in un esposizione di cristalli
È qui che si svolge la maggior parte della sua ricerca: Cara Magnabosco presso il Dipartimento di Scienze della Terra del Politecnico di Zurigo, che è anche un museo. swissinfo.ch / Christian Raaflaub

Acqua e roccia – non serve altro

Due mesi prima avevo incontrato per la prima volta Magnabosco a Zurigo, nel suo ufficio presso il Dipartimento di scienze della Terra dell’ETH. Da una scatola di cartone, decorata in maniera estremamente minuziosa, aveva estratto con molta cautela una pietra di colore ocra proveniente dalle montagne omanite, ricevuta in premio come stella nascente nel panorama dei giovani ricercatori e delle giovani ricercatrici: “Se la immergessi in acqua avremmo gli ingredienti principali per la vita: acqua e roccia”.

Donna usa un microscopio
Cara Magnabosco osserva i batteri al microscopio. swissinfo.ch / Michele Andina

Ma quando inizia esattamente la vita? I ricercatori non sono d’accordo tra loro. A quanto pare, infatti, la vita è una questione di definizione, e la risposta dipende dalla persona a cui si pone la domanda: biologi, chimici, filosofi.

Nel ruolo di professoressa assistente di geobiologia, Magnabosco studia il confine tra la materia morta e quella viva. “Stiamo cercando di capire dove la vita può sopravvivere e dove invece non è più in grado di farlo”, aveva affermato in occasione di una visita presso il laboratorio due piani sopra il suo ufficio. Qui, con i suoi studenti analizza i campioni d’acqua raccolti nel “BedrettoLab”.

Nel team per un nuovo centro di ricerca

Magnabosco racconta delle varie attività di ricerca che ha svolto sull’isola norvegese di Spitsbergen, nella Death Valley e nelle sorgenti idrotermali portoghesi.

Quando era dottoranda (dal 2011 al 2016) a Princeton, una delle università più prestigiose e ricche del mondo, ha esplorato, tra le varie cose, le profondità delle miniere d’oro in Sudafrica, dove enormi ascensori scendono in profondità a velocità vertiginose. “Tss, tss, tss”, fa lei, per descrivere il rumore degli ascensori. A volte capitava persino che nello stesso ascensore venisse trasportato un camion gigantesco.

Poi, nel 2019 Magnabosco ha fatto domanda per ottenere il posto di professoressa assistente (Tenure Track) di geobiologia presso l’ETH. Il suo ambito di ricerca si sposa perfettamente con il nuovo Istituto di studi sull’origine e la prevalenza della vita (Center for the Origin and Prevalence of Life), che verrà inaugurato a settembre presso l’ETHCollegamento esterno (v. riquadro).

Il nuovo Istituto di studi sull’origine e la prevalenza della vita (Centre for the Origin and Prevalence of Life) verrà inaugurato il 2 settembre 2022 presso il Politecnico federale di Zurigo (ETH), in occasione del Latsis-Symposiums 2022Collegamento esterno.

Sarà il primo istituto europeo interdisciplinare e interuniversitario per gli studi sull’origine della vita. Nel progetto verrà coinvolta anche l’Università di Cambridge.

A dirigere l’istituto sarà l’astronomo e premio Nobel Didier Queloz. Nel 1995 lo svizzero scoprì, assieme al connazionale Michel Mayor, il primo pianeta che gira attorno a una stella simile al sole. I pianeti simili alla Terra vengono chiamati esopianeti. Queloz continuerà a fare ricerca anche presso l’Università di Cambridge.

Magnabosco lavorerà, tra gli altri, assieme al premio Nobel svizzero Didier Queloz, che dirigerà l’istituto di ricerca presso le due sedi (una a Zurigo e una nei sobborghi della città elvetica). L’istituto è pensato come polo multidisciplinare che include chimica, biologia, scienze della Terra, astrofisica e altre discipline interessate.

>> L’anno scorso abbiamo fatto quattro chiacchiere con Didier Queloz e Sascha Quanz, i fondatori del progetto dell’ETH “Istituto di studi sull’origine e la prevalenza della vita”. Ecco l’intervista:

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Una bocca vulcanica sottomarina

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“C’è vita altrove nell’universo”

Questo contenuto è stato pubblicato al Il Nobel svizzero Didier Queloz e l’astrofisico Sascha Quanz studieranno le origini della vita in un nuovo istituto di ricerca a Zurigo.

Di più “C’è vita altrove nell’universo”

Concretamente, Magnabosco cerca quei microbi che sono all’origine della nascita della vita, evento che risale a circa due miliardi di anni fa. “È come fare la detective”, risponde la giovane ricercatrice quando le chiediamo come questi microbi abbiano potuto continuare a svilupparsi durante i quattro miliardi e mezzo di anni della storia della Terra e come si siano influenzati tra loro.

Al riparo nel sottosuolo

Perché Magnabosco nel tentativo di scoprire le origini della vita si concentra sulle profondità della Terra e non sulla superficie di altri pianeti dove splende il sole? Per parlarne saliamo sul tetto del dipartimento di scienze della Terra di Zurigo per dare uno sguardo al cielo.

“Almeno per quanto riguarda il nostro sistema solare sappiamo che la gran parte della superficie dei pianeti non è abitabile”, afferma la ricercatrice e aggiunge che nel sottosuolo, però, le forme di vita sono ben riparate dall’instabilità che potrebbe regnare sulla superficie di un pianeta.

Magnabosco ritiene molto probabile che ci sia vita anche altrove, e non solo sulla Terra. “Può essere che gli ingredienti generali per ciò che consideriamo vita – acqua e roccia – siano presenti anche su altri pianeti”, afferma.

Dobbiamo però dire addio all’idea che esistano creature complesse come ET o Alien. Secondo Magnabosco è più probabile che su altri pianeti vi siano forme di vita più simili a microrganismi. E dalla Terra sappiamo già che nel sottosuolo si trova un numero maggiore di microrganismi che in superficie o negli oceani.

Giovane donna davanti a PC
Cara Magnabosco controlla alcune impostazioni dei diversi pozzi del “BedrettoLab”, da cui lei e la sua squadra prelevano dei campioni. swissinfo.ch / Michele Andina

Nel frattempo, tramite la galleria nella Val Bedretto siamo giunti all’interno del laboratorio sotterraneo. Non è una stanza, bensì un semplice spazio, leggermente più ampio, all’interno del cunicolo. Su un lato vi sono alcuni tavoli con strumenti per la misurazione e computer, e in una pozza d’acqua più grande scompaiono alcuni tubi, grossi come il pugno di una mano.

Magnabosco controlla alcune impostazioni su uno schermo. La quasi totalità dei valori necessari per la ricerca può essere consultata anche da Zurigo. “Tuttavia, non possiamo né aprire né chiudere i fori di trivellazione, e nemmeno prelevare campioni”, afferma Magnabosco. Per questo motivo, circa ogni due mesi la ricercatrice si reca in Ticino.

Laboratorio
Cara Magnabosco nel laboratorio di Zurigo prepara la pellicola su cui si sono attaccati batteri e virus. swissinfo.ch / Michele Andina

Al microscopio

Finito il sequenziamento in un macchinario speciale nel laboratorio di Zurigo, Magnabosco tiene in mano una bottiglietta di plastica contenente un campione d’acqua. In un millilitro d’acqua prelevato presso il “BedrettoLab” possono esserci centinaia, persino migliaia di cellule microbiche.

Magnabosco accende una pompa, le cellule restano attaccate a un filtro. Non appena il filtro è asciutto, la ricercatrice versa una sostanza fluorescente che forma un legame con il DNA, che diventa visibile se esposto alla giusta illuminazione.

Il viaggio dei microbi si conclude presto, nella camera oscurata, sui vetrini di un microscopio. Sullo schermo è possibile riconoscere piccoli punti verdastri. Si tratta di batteri e virus. “Contare i punti è un compito estremamente semplice, che però ci permette di ricavare informazioni importantissime”, afferma Magnabosco mentre mette a fuoco il microscopio.

Puntini verdi su uno schermo
I piccoli punti verdi sullo schermo sono batteri e virus. Anche solo contarli fornisce informazioni importanti, dice Cara Magnabosco. swissinfo.ch / Michele Andina

Sviluppo continuo grazie agli errori

Il DNA contiene gli elementi costitutivi in grado di programmare le informazioni in un genoma; questi elementi costitutivi sono anche capaci di copiare sé stessi per generare altri simili della stessa specie.

Durante questo processo di duplicazione, però, possono anche verificarsi alcuni errori. E per Magnabosco è questo il punto saliente: proprio questi errori nella procedura di duplicazione fanno sì che un organismo continui a svilupparsi. E solo le mutazioni capaci di resistere alle circostanze più avverse alla fine riescono a imporsi.

Per la ricercatrice, un aspetto importante è costituito dalle interazioni reciproche che vengono a crearsi tra gli esseri viventi e un pianeta non appena c’è vita su quest’ultimo. La scienza parla di coevoluzione. “Se consideriamo la storia della Terra vediamo che l’evoluzione del pianeta si compie in maniera molto diversa da quella dei suoi vicini. Ciò è dovuto a queste interazioni reciproche tra gli esseri viventi e la Terra”, afferma Magnabosco.

Come esempio di un’interazione di questo tipo, la ricercatrice cita l’ossigeno. Nella prima metà della storia della Terra il tenore di ossigeno era al di sotto della soglia rilevabile, quindi praticamente inesistente, come dimostrano leCollegamento esterno ricerche effettuate sulle rocce. Solamente la fotosintesi ha consentito alla Terra di creare un’atmosfera, grazie alla quale a loro volta si sono create forme di vita più complesse.

Percorriamo il cunicolo in fretta e ci viene il fiatone: dobbiamo darci una mossa per prendere l’AutoPostale. Quello dopo infatti passerebbe solo fra tre ore. Magnabosco ripone la divisa nella baracca davanti alla galleria in una cassetta di plastica per gli indumenti sporchi, e poi chiude a chiave. Mentre aspettiamo l’AutoPostale comincia a piovere: acqua su roccia.

Persone con tuta da cantiere
L’autore con Cara Magnabosco e Michele Andina, che ha realizzato il video-ritratto. swissinfo.ch / Christian Raaflaub

Traduzione dal tedesco: Stafano Zeni

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