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Un mondo in movimento sulla porta di casa

Integrazione e migrazioni: un passaggio obbligato e una sfida sempre più impegnativa swissinfo.ch

Sono milioni. Lasciano il loro paese in cerca di un destino migliore. Il viaggio li porta ovunque: in America, in Italia, in Svizzera, dentro le nostre realtà. L'integrazione degli stranieri diventa per tutti un passaggio irrinunciabile.

Nel mondo ci sono attualmente più di 200 milioni di migranti, che rappresentano il 3% della popolazione mondiale. La popolazione mondiale dei migranti, se fosse riunita, si collocherebbe al quinto posto dei paesi più popolati del mondo.

Sono le cifre dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni che illustrano con eloquenza la portata dei flussi migratori, accentuati dal processo di globalizzazione.

L’umanità è da sempre un sistema complesso di persone in movimento. Tanto complesso che la tradizionale classificazione tra migrazioni volontarie e migrazioni forzate, è messa in discussione.

Anche il concetto di integrazione, di cui non si contesta il principio, è al centro di ripensamenti. In Svizzera, dove il 20% della popolazione è di origine straniera, la nuova Legge federale sugli stranieri stabilisce che l’integrazione non è solo un percorso da incoraggiare, ma un dovere dello straniero. I contratti di integrazione sono, per esempio, l’espressione di questo nuovo orientamento.

Come porsi di fronte al crescente fenomeno delle migrazioni? Un convegno organizzato recentemente in Ticino dal delegato e dalla commissione cantonale per l’integrazione degli stranieri e la lotta al razzismo, ha cercato di andare oltre le cifre.

“Impedire alle persone di spostarsi? Impossibile”

Riflettere, dunque, su fatti che riguardano l’immigrazione cercando di andare oltre i pregiudizi o le informazioni distorte. “Per evitare derive politiche – afferma il presidente della commissione cantonale Fulvio Pezzati – è importante capire come vanno le cose, affinché si possano sviluppare strategie di integrazione che siano adatte al contesto in cui viviamo”.

Il sociologo Marco Lombardi, professore dell’Università Cattolica di Milano e responsabile del settore internazionale della Fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità, non usa perifrasi: i flussi migratori mondiali – che nella misura del 30/40% avvengono attraverso canali illegali, sono una realtà di cui bisogna prendere atto. “Non possono essere eliminati perché, semplicemente, non è possibile impedire alle persone di spostarsi”.

“L”immigrazione – aggiunge il sociologo – è sempre stata caratterizzata da generalizzazioni errate, come se esistesse solo un tipo di immigrante. E le cose sono peggiorate ancor di più nel momento in cui si è cominciato a guardare a tutta l’immigrazione come a un rischio, governabile solo attraverso politiche di sicurezza”.

E se la sicurezza è una preoccupazione legittima degli Stati e un bisogno sempre più avvertito da parte della popolazione, secondo Lombardo “i governi si illudono di risolvere i problemi esistenti abbassando, semplicemente, la saracinesca o presidiando i confini”.

Il ruolo dell’integrazione

In un mondo in continuo movimento, che i paesi cercano di controllare con legislazioni sempre più restrittive, l’integrazione dei migranti diventa, come in Svizzera, un criterio vincolante o, perlomeno, una condizione per ottenere un permesso di soggiorno permanente o la nazionalità elvetica.

Ma che senso ha forzare un processo di integrazione? Lo chiediamo a Claudio Bolzman, professore all’Istituto di studi sociali di Ginevra e docente al Dipartimento di sociologia dell’Università di Ginevra.

“Dobbiamo renderci conto che viviamo un momento complesso dove l’integrazione risponde ad un modello ibrido: incoraggiare e allo stesso tempo costringere. La società e l’economia – spiega a swissinfo Claudio Bolzman – spingono i migranti ad essere utilizzabili, dunque meglio formati e con buone conoscenze linguistiche. Le autorità sono convinte che in assenza di un obbligo, i migranti non raggiungono questi obiettivi”.

Questo modello comporta però dei rischi. “Alcuni docenti di lingue, per esempio, mi hanno detto che prima le donne straniere seguivano volentieri i corsi di francese, ma adesso sono angosciate, hanno paura di non riuscire a raggiungere un determinato livello e dunque di non adempiere i requisiti per ottenere un permesso. Sono totalmente bloccate e quindi il processo di integrazione è parzialmente compromesso”.

In questo modo cresce il sentimento di inadeguatezza che in molti casi si traduce in emarginazione, favorendo un ripiegamento su se stessi e aumentando le distanze verso il percorso di integrazione.

Non solo gli stranieri

L’integrazione non è però solo un compito dello straniero. La legge parla infatti di un processo bilaterale: se lo straniero deve compiere ogni sforzo per inserirsi nella società di accoglienza, anche gli svizzeri devono imparare ad andare verso l’altro. “Per ora tutta la responsabilità dell’integrazione – osserva Bolzman – grava sulle spalle dei migranti. Credo che sia importante lavorare anche sulla società di accoglienza. Ci sono ancora moltissimi pregiudizi”.

In una società sempre più individualista, che integra meno bene l’insieme dei suoi cittadini – svizzeri compresi – una politica di integrazione volontarista è destinata inevitabilmente, secondo il professore, a mostrare i suoi limiti.

Come fare allora? “Pensare a misure differenziate secondo i profili dei migranti, tra i quali c’è una varietà molto grande di situazioni. Ma bisogna anche adottare delle misure che mostrino che la Svizzera sia realmente pronta ad accoglierli”.

Cioè con i fatti. Perché le parole, come aveva detto Georg Kreis nel presentare il “Manifesto della Svizzera pluralista”, hanno spesso meno valore dei fatti. La promozione dell’integrazione, dell’accettazione e del rispetto si realizza solo con gesti concreti.

Françoise Gehring, Lugano, swissinfo.ch

Alla fine del 2008, la Confederazione contava 7’701’900 abitanti (+108’400 rispetto al 2007; tasso di crescita: 1,4%). La percentuale degli stranieri è del 21,7%.

L’aumento della popolazione – dovuto in larga misura all’immigrazione – risulta essere il più elevato dagli anni Sessanta, e fa della Svizzera uno dei paesi europei più dinamici dal profilo demografico.

L’86,5% della popolazione residente permanente in Svizzera è di nazionalità europea e pressappoco due terzi (62,1%) provengono da un Paese dell’UE o dell’AELS.

La popolazione straniera più importante rimane quella degli italiani (17,5%), seguita dai tedeschi (14,1%), dai portoghesi (11,8%), dai serbi e montenegrini (11,1%). Sempre più persone provengono da Paesi lontani.

A partire dal 1980, la proporzione di stranieri provenienti da un Paese extra europeo é aumentata di 7 punti percentuali per arrivare all’attuale 13,5%.

Lo scorso mese di agosto la Commissione federale contro il razzismo (CFR) ha presentato il “Manifesto della Svizzera pluralista”. Il documento intende promuovere progetti a sostegno dell’integrazione, dell’accettazione e del rispetto.

Il manifesto può essere firmato dalle amministrazioni pubbliche, dalle autorità, dalle aziende e dai sindacati, dai partiti, dalle scuole, dalle associazioni, dalle organizzazioni culturali e da altri enti pubblici o privati.

I firmatari si impegnano a realizzare nei prossimi due anni progetti in due settori di loro scelta, finalizzati alla promozione e all’accettazione della diversità.

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