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Il brigatista Nicola Bortone resta in carcere

In Italia Bortone è accusato di far parte del nucleo storico delle BR-Partito combattente comunista Keystone Archive

Nicola Bortone, arrestato a Zurigo il 10 marzo scorso, resta in detenzione. Il Tribunale federale si oppone alla sua domanda di scarcerazione.

In un ricorso alla Corte suprema, l’avvocato zurighese Bernard Rambert aveva contestato il rischio di tale pericolo, invocando motivi familiari. In particolare il difensore aveva ricordato la presenza dei due figli a Zurigo e la grave malattia della compagna del suo assistito. Quest’ultima è deceduta giovedì scorso, ha precisato martedì Rambert.

I giudici federali considerano che un rischio di fuga non possa essere completamente escluso, tanto più che Nicola Bortone è senza lavoro, senza domicilio fisso e che corre comunque il rischio di essere separato dalla famiglia, nel caso in cui la domanda di estradizione di Roma fosse definitivamente accolta. Il versamento di una cauzione, a loro avviso, non cambierebbe nulla.

Pesanti accuse da parte italiana

Arrestato sulla base di un mandato di cattura emesso dall’Interpol di Roma, il 45enne si è opposto a un’estradizione semplificata. Il procedimento è ancora pendente e le autorità italiane attendono il nullaosta del Tribunale federale di Losanna. Bernard Rambert pensa che la Corte suprema emetta la decisione il mese prossimo.

Il 12 settembre 1989 Nicola Bortone è stato condannato in contumacia da un tribunale di Roma a cinque anni e mezzo di reclusione per i reati di promozione, costituzione ed organizzazione di associazione eversiva dell’ordine costituzionale e di banda armata.

Secondo le autorità italiane, fa parte del nucleo storico delle Br-Pcc (Brigate rosse-Partito combattente comunista), che hanno rivendicato tra l’altro l’assassinio, nel maggio 1999 a Roma, del sottosegretario al Ministero del lavoro Massimo D’Antona.

Le Br-Pcc hanno rivendicato anche l’uccisione, il 19 marzo scorso a Bologna, del consulente del Ministero italiano del lavoro Marco Biagi. Gli investigatori italiani hanno stabilito che D’Antona e Biagi sono stati ammazzati con la stessa pistola.

swissinfo e agenzie

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