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L’ONU chiede aiuto per le vittime dello tsunami

Walter Kälin sottolinea la necessità di soccorrere anche chi vive nelle regioni difficilmente accessibili Keystone Archive

Il membro del comitato per i diritti umani dell’ONU, lo svizzero Walter Kälin, esorta i governi ad intervenire in aiuto delle vittime dello tsunami, nel sud-est dell’Asia.

Ma, il conflitto politico che devasta la provincia indonesiana di Aceh, rende difficoltoso soccorrere le vittime della regione.

Dal 2003, Kälin è membro del comitato per i diritti umani dell’ONU.

Dall’inizio di quest’anno, il professore elvetico è stato nominato rappresentante del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, con il compito di occuparsi dei problemi dei profughi interni.

swissinfo: L’Onu ha lanciato numerosi appelli alla comunità internazionale in aiuto delle vittime dello tsunami, nel sud dell’Asia. Come hanno risposto gli Stati a questa richiesta?

Walter Kälin: Se ci riferiamo agli Stati colpiti direttamente dalla tragedia, ci rendiamo conto che alcuni sono preparati abbastanza bene a reagire ad avvenimenti di questo tipo. Altri meno.

In India, ad esempio, le autorità hanno reagito immediatamente: è stato creato un piano d’emergenza per coordinare le azioni di soccorso con l’aiuto delle forze armate e paramilitari.

In altri Stati, la situazione è invece differente. Il governo delle Maldive, ad esempio, dimostra una capacità di reagire piuttosto lacunosa, non riesce a gestire la situazione in modo sistematico.

Per quanto riguarda i Paesi donatori, gli aiuti offerti sono numerosi e sono destinati a continuare. Anche il coordinatore dell’ONU per le situazioni d’emergenza, Jan Egeland, è molto attivo. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha invitato degli esperti per determinare l’ampiezza degli aiuti necessari e presenterà un rapporto in merito a breve termine.

swissinfo: L’ONU afferma che, per soccorrere le vittime dello tsunami, è indispensabile uno sforzo senza precedenti. Cosa differenzia questa tragedia da altri disastri naturali?

W.K.: I disastri naturali non sono nel mio settore di competenza. Tuttavia, ritengo che la differenza stia nel fatto che, nel caso dello tsunami, ad essere colpita è un’intera regione. Altri disastri naturali toccano invece solo due o tre Stati confinanti.

Credo che sia una grande sfida per il sistema dell’ONU coordinare gli sforzi in maniera efficace.

Un altro compito dell’organizzazione sarà quello di assicurarsi che sia fatto il possibile per mitigare tali disastri nel futuro. Non ho delle basi per puntare il dito su questo o quello Stato attualmente.

Tuttavia, ritengo che ogni governo debba garantire la sicurezza della propria popolazione. Si tratta infatti di rispettare i diritti fondamentali dell’uomo. La comunità internazionale ha il dovere di aiutarli in questo compito.

swissinfo: La situazione attuale nella provincia indonesiana di Aceh, una delle regioni maggiormente colpite dal maremoto, la coinvolge in modo particolare. La guerra civile che devasta la zona rende infatti il soccorso della popolazione alquanto difficile. Accade lo stesso anche nello Sri Lanka? Cosa si può fare in questi casi?

W.K.: In passato, i problemi nella provincia di Aceh erano dovuti al fatto che il governo indonesiano si dimostrava estremamente restrittivo nel garantire l’accesso alle organizzazioni internazionali che volevano soccorrere i profughi interni.

Auspichiamo caldamente che i problemi politici regionali, non impediscano l’accesso agli aiuti umanitari.

Malgrado la crisi politica interna, la situazione nello Sri Lanka è differente: il Paese è molto più aperto agli aiuti umanitari. Lunedì, l’ufficio presidenziale ha infatti chiesto l’assistenza della comunità internazionale.

Prima che accadesse il maremoto, nello Sri Lanka, i profughi interni erano già centinaia di migliaia a causa della guerra civile che vi imperversa. Per molti di loro, lo tsunami è un ennesimo colpo subito.

swissinfo: Si può presupporre che, non appena i media allenteranno un po’ la presa e non copriranno più la zona colpita dal maremoto, il pubblico e il mondo politico perderanno interesse nella situazione del sud-est asiatico. Questa possibilità la concerne?

W.K.: È importante non dimenticare quanto sta accadendo e continuare a seguire gli avvenimenti nella regione.

Per quanto riguarda il mio mandato, esperienze precedenti mi hanno insegnato che i disastri naturali provocano un gran numero di profughi interni. Alcuni possono tornare a casa abbastanza presto. Altri invece ne sono impossibilitati poiché mancano le infrastrutture e non esiste un sistema d’aiuti alla ricostruzione.

La mia paura è che coloro che sono costretti ad abbandonare la propria regione e che non possono tornarvi a corto termine siano dimenticati.

Un ruolo che può essere assunto dall’ONU è quello di continuare ad informare sulla situazione in queste aree e ad attirare l’attenzione sulle persone che necessitano di assistenza e di protezione. Farò sicuramente il possibile, affinché ciò sia fatto.

Intervista swissinfo: Jonas Hughes
(traduzione: Anna Passera)

Walter Kälin è il rappresentante del segretario generale dell’ONU per i diritti umani dei profughi interni.

Professore universitario, Kälin è conosciuto internazionalmente quale esperto in diritto internazionale e in diritti dell’uomo.

Dal 1991 al 1992 è stato incaricato dall’ONU per i diritti umani in Kuwait.

Dal 2003, Kälin è membro del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite.

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