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«Una guerra che non sorprende»

I bombardamenti a Gaza sono costati la vita negli ultimi giorni a centinaia di palestinesi Keystone

Il sociologo svizzero Ernest Goldberger vive da anni in Israele. Guarda alle operazioni nella Striscia di Gaza come ad un atto di violenza senza senso. Intervista.

Nel 2004, Ernest Goldberger ha pubblicato un libro intitolato «L’anima d’Israele – un popolo tra sogni, realtà e speranza». Oggi la realtà è quella di una guerra che per il sociologo svizzero non si preoccupa delle conseguenze che avrà e alla quale gli israeliani reagiscono con preoccupante apatia.

swissinfo: Stando ai media, la grande maggioranza della popolazione israeliana approva l’offensiva nella Striscia di Gaza. Le cose stanno effettivamente così?

Ernest Goldberger: Purtroppo sì. Il sostegno della popolazione è tangibile. La gente ama i dirigenti politici che si mostrano forti e agiscono con decisione. Basta guardare ciò che succede al Partito laburista, di cui è membro il ministro della difesa Barak: dall’inizio delle operazioni a Gaza, i sondaggi lo danno in forte progressione.

swissinfo: Significa che la guerra è parte della campagna elettorale?

E. G.: Sì. Guadagnare punti sul piano elettorale è sicuramente uno degli obiettivi di questa offensiva. Ma ce ne sono degli altri. Si vuole ad esempio impartire una lezione al nemico e facilitare il ritorno al potere dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

Soprattutto, però, si vogliono cancellare gli errori commessi nel 2006 in Libano e dimostrare la forza dell’esercito israeliano.

swissinfo: Lei vive a Tel Aviv. Che aria si respira per le strade? Come reagisce la gente agli eventi di questi giorni?

E. G.: Con un’incredibile apatia. Non si parla di quanto sta avvenendo, ci si limita a prendere atto di quello che passa nei media. La guerra non è un tema di discussione, non smuove la massa. Per me si tratta di una constatazione molto dolorosa.

Addirittura la Borsa non risente della guerra. Dall’inizio dell’offensiva ha guadagnato il 10%; un chiaro segno del fatto che gli attacchi a Gaza non vengono percepiti come qualcosa di sostanziale.

swissinfo: Come reagisce la popolazione ad immagini come quelle di una scuola bombardata, che testimoniano tutta la tragica miseria in cui si trova la Striscia di Gaza?

E. G.: Il governo ha imparato la lezione della guerra in Libano e controlla in modo deciso il flusso di informazioni. Questo tipo di immagini non vengono diffuse; al massimo passano in secondo piano. I giornalisti stranieri non hanno accesso a Gaza e sottostanno ad una rigida censura militare.

Certo, attraverso la CNN e internet è possibile vederle. Ma la realtà è che molti preferiscono ignorarle e allinearsi alle dichiarazioni ufficiali del governo: “Non facciamo altro che difenderci, combattiamo il terrorismo, non abbiamo altra scelta”. È un ritornello che viene ripetuto in continuazione e che piace alla gente per il suo tono rassicurante.

swissinfo: D’altro canto, da Gaza vengono lanciati dei razzi in direzione d’Israele. Come dovrebbe reagire lo stato ebraico per difendere i suoi cittadini?

E. G.: Ciò che fa Hamas è inaccettabile. Non c’è modo di giustificare il bombardamento indiscriminato di obiettivi civili. Hamas vuole ottenere la fine del blocco a cui è sottoposta la Striscia di Gaza e, nella prospettiva della creazione di uno stato palestinese, utilizza la lotta contro Israele per garantirsi il primato politico.

Il bene della popolazione civile non è la prima delle preoccupazioni né a Gaza, né in Israele. C’è stata una tregua di sei mesi, finita perché Israele non ha voluto allentare la morsa soffocante in cui ha stretto la Striscia e non era disposto a discutere con Hamas.

Sull’altro fronte, Hamas ha utilizzato i sei mesi di tregua per migliorare la rete di tunnel [attraverso i quali si rifornisce di armi in Egitto, ndt.]. Con queste premesse, la guerra non sorprende.

swissinfo: La popolazione d’Israele pensa che sia possibile annientare Hamas, un movimento radicato nella società palestinese?

E. G.: La maggioranza degli israeliani non lo crede veramente, ma non gli dà nemmeno molta importanza. Fondamentale è dare una lezione al nemico, colpirlo duramente.

Lo spirito di Hamas non potrà certo essere eliminato. E anche se ciò dovesse succedere non passerà molto tempo prima che vengano trovati altri mezzi per continuare la lotta. La storia delle guerre ce lo ha insegnato fin troppo bene.

swissinfo: C’è il pericolo che il radicalismo diventi ancora più forte portando nuova acqua al mulino di Hamas?

E. G.: Sì, è un pericolo reale. In realtà, Hamas non è un movimento amato, nemmeno dai palestinesi. A Gaza vige una specie di regime del terrore; ogni tipo di opposizione al governo di Hamas viene repressa con violenza. Ma attraverso questa guerra con Israele si è instaurato un processo di rivalutazione e si tende a dimenticare ciò che Hamas infligge al suo stesso popolo

swissinfo: Al momento, le probabilità che si giunga ad una soluzione duratura del conflitto sembrano praticamente nulle. Come bisogna procedere, secondo lei?

E. G.: Se non ci sarà una pressione forte, anzi fortissima, dall’esterno non ci sono speranze. La soluzione deve venire da fuori, penso in particolare agli Stati uniti. Si spera nel nuovo presidente. E si spera che l’Unione europea si profili maggiormente e faccia pressione con più forza.

swissinfo: È possibile che le parti in conflitto si rendano conto che in questo caso le armi non portano ad una soluzione?

E. G.: Attualmente, tonnellate di bombe mettono fuori gioco la capacità e la volontà di capire qual è la propria parte di responsabilità in questa tragedia; una tragedia cominciata con la Nabka nel 1948 e proseguita con gli insediamenti delle colonie in Cisgiordania e la messa sotto tutela esterna del popolo palestinese. Tutto queste deve assolutamente finire.

swissinfo: Come ha vissuto gli ultimi giorni?

E. G.: Vivo la guerra come qualcosa d’insensato. È una spirale di violenza che mi lascia un profondo e doloroso senso d’impotenza; è la rinnovata espressione di un ormai cementata cultura sociale che pensa di risolvere i problemi con la violenza.

Tutto ciò influisce sui rapporti con gli arabi israeliani che rappresentano pur sempre il 20% della popolazione e che ogni giorno sono costretti a confrontarsi con la morte di qualche parente a Gaza. Inoltre, la guerra ha delle conseguenze sulla reputazione d’Israele nel mondo civilizzato.

swissinfo: Lei si definisce come un ebreo svizzero atipico. È atipico anche nel contesto israeliano in cui vive?

E. G.: Non mi spingerei fino a questo punto. Il movimento di pace non è morto. Sono in contatto con molti amici che condividono i miei punti di vista. È vero però che siamo una minoranza.

intervista swissinfo, Gaby Ochsenbein
(Traduzione, Doris Lucini)

Nasce nel 1931 a Basilea.

Studia economia politica e sociologia.

Nel 1991 emigra in Israele, a Tel Aviv, dove vive con la moglie (un’israeliana di origini yemenite) e due figlie gemelle.

Nel 2004 pubblica presso la NZZ Buchverlag il libro «Die Seele Israels – Ein Volk zwischen Traum, Wirklichkeit und Hoffnung».

25 gennaio 2006: Hamas vince le elezioni nei Territori palestinesi, conquistando 76 seggi contro 43 assegnati a al-Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas).

8 febbraio 2007: Hamas e al-Fatah raggiungono un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale.

14 giugno 2007: Abu Mazen destituisce il governo diretto da Ismail Haniyehl, leader di Hamas, e proclama lo stato d’emergenza nella Striscia di Gaza.

15 giugno 2007: le forze di Hamas sconfiggono i fedeli di Abu Mazen e assumono il controllo di tutte le istituzioni a Gaza.

28 ottobre 2007: dopo aver dichiarato la Striscia di Gaza “entità ostile”, Israele impone sanzioni economiche contro il Territorio palestinese.

27 novembre 2007: ad Annapolis, negli Stati Uniti, rappresentanti dello Stato ebraico e dell’Autorità palestinese si impegnano ad avviare trattative per risolvere il conflitto entro la fine del 2008. I negoziati si insabbiano nuovamente.

27 febbraio – 3 marzo 2008: oltre 120 palestinesi perdono la vita nel corso dell’operazione “Inverno caldo”, condotta dalle forze armate israeliane a Gaza.

27 dicembre 2008: in seguito a nuovi lanci di razzi e colpi di mortaio sparati da militanti di Hamas verso Israele, l’esercito israeliano dà avvio ad un intenso bombardamento aereo nella Striscia di Gaza.

3 gennaio 2009: le forze armate dello Stato ebraico lanciano un’offensiva terrestre nel Territorio palestinese.

Dall’inizio dell’operazione «Piombo fuso», condotta da Israele, oltre 500 palestinesi sono rimasti uccisi e più di 3’000 sono stati feriti. Secondo fonti palestinesi, il bilancio dei morti è di almeno 700 persone.

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