Nuovo ambasciatore della cultura svizzera a Roma

Dieter Bachmann, ex-giornalista e scrittore, assume lunedì la funzione di nuovo direttore dell'istituto svizzero a Roma. E nel cassetto ha molti progetti per rinnovarne l'immagine.
L’Istituto svizzero di Roma, fondato alla fine degli anni Quaranta, è soprattutto un luogo di accoglienza per i giovani svizzeri beneficiari di una borsa di studio. Ogni anno ospita otto-nove persone tra studiosi, scienziati e artisti.
Ma l’istituto è anche, se non proprio una vetrina della Svizzera, perlomeno un luogo di scambio culturale con l’Italia. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che Dieter Bachman vorrebbe sviluppare maggiormente. Prima di tutto a corto termine con una settimana d’inaugurazione tra l’11 e il 18 novembre, in cui alla musica si accosteranno il teatro, la letteratura, le esposizioni, le proiezioni video. Manifestazioni “per rendersi visibili, a Roma e fuori”, spiega il nuovo direttore.
A medio termine, Bachman intende dar vita a degli appuntamenti regolari, che prevedano l’intervento di musicisti, la proiezione di film, letture d’autore… Infine, a lungo termine, l’interesse dell’ex-caporedattore della rivista culturale “Du” si appunta sulla fotografia e in particolare su un progetto di esposizione dedicata all’emigrazione italiana in Svizzera. “Potrebbe essere la maniera di esprimere una certa gratitudine all’Italia, che ha contribuito ad arrichhire la Svizzera. E’ in questo senso che vorrei documentare quasi un secolo di emigrazione italiana in Svizzera.”
Dieter Bachman è nato a Basilea nel 1940, ha studiato germanistica e filosofia a Zurigo, poi ha seguito una carriera giornalistica e letteraria nella Svizzera tedesca. Che rapporto ha con l’Italia? “Potrei dire che ho una nonna italiana, ma sarebbe troppo semplice. Già negli anni 50, quand’ero un bambino, trascorrevo spesso le vacanze in Italia. Poi ho continuato a farlo. In seguito ho soggiornato a lungo a Roma, a volte per dei mesi. Direi che conosco piuttosto bene l’Italia e che, è questa la cosa più importante, l’amo.
Bernard Léchot

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