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Proteggere i beni culturali anche su internet

Un archeologo egiziano mostra la statua del dio dei cimiteri, Petah Sakar. Un tesoro da proteggere Keystone

Per lottare contro il furto e il traffico illecito dei beni culturali, la Svizzera moltiplica gli accordi bilaterali. L'ultimo è stato firmato proprio di recente con l'Egitto.

Ma il problema si intensifica con le aste su internet. Lo scorso mese di dicembre, le autorità svizzere sono riuscite a bloccare la vendita in rete di un bene culturale iracheno protetto.

Secondo un elenco allestito dal Consiglio internazionale dei musei (ICOM), le tavole con la scrittura cuneiforme figurano chiaramente sulla lista rossa delle antichità irachene in pericolo. Eppure una di queste preziose testimonianze, risalente a 2000 anni avanti Gesù Cristo, è stata messa all’asta su internet in Svizzera, alla fine del mese di dicembre dell’anno scorso.

La vendita di questa rarità ha potuto essere bloccata grazie all’inedita collaborazione tra le autorità federali, la polizia zurighese e la piattaforma delle vendite in rete “e-Bay”.

L’operazione è stata comunque resa possibile grazie alla segnalazione di uno specialista dei beni culturali iracheni. L’esperto aveva messo in allerta l’ufficio tedesco degli affari criminali poiché, in base alle sue informazioni, la tavola proveniva probabilmente da scavi clandestini.

In seguito alla guerra, a livello internazionale – Svizzera compresa – è vietato il commercio dei beni culturali iracheni esportati dal 1990. Se l’Iraq è l’unico paese a sottostare ad una specifica ordinanza, Berna promuove attivamente una politica contro il traffico illegale di beni culturali.

Un mercato notevole

Dal 2005, infatti, una legge permette alla Svizzera di firmare degli accordi bilaterali con i paesi il cui patrimonio culturale è minacciato. In occasione del suo viaggio in Egitto, il consigliere federale Pascal Couchepin – ministro della cultura e presidente della Confederazione – ha raggiunto un accordo con il suo omologo egiziano Farouk Hosni. La firma è prevista alla fine del mese di aprile.

Accordi simili, volti cioè a regolamentare l’importazione e la restituzione dei beni culturali, sono già stati firmati con l’Italia, il Perù e la Grecia. Sono in corso trattative con Messico, Turchia e Algeria. Ovvero paesi di cui il ricco patrimonio è al centro di scavi sconsiderati e traffici illeciti.

Considerato che la Svizzera – dove gli scambi raggiungono circa 1,5 miliardi di franchi – è uno dei cinque più grandi mercati mondiali dell’arte, i paesi citati hanno tutto l’interesse a raggiungere un accordo con il nostro.

“In un primo tempo – spiega Yves Fischer, responsabile del servizio Trasferimento dei beni culturali presso l’Ufficio federale della cultura – questi accordi riguardano esclusivamente i reperti archeologici. I principi guida sono gli stessi per tutti, con qualche aggiustamento”.

Offerte poco chiare su internet

Riconoscendo che “la probabilità di imbattersi in un bene culturale svizzero esportato illegalmente in Perù o in Grecia è di gran lunga inferiore al caso opposto”, Fischer assicura che la Svizzera trae vantaggio da questa logica bilaterale.

“Questi accordi – puntualizza il funzionario – corroborano la sicurezza giuridica degli attori del mercato dell’arte in Svizzera. Evitano che la Svizzera sia, come è successo in passato, additata come una piattaforma del commercio illegale. Questi accordi creano le basi per un giro di vite: i commercianti sanno con quali paesi occorre essere particolarmente vigili”.

Nell’era delle vendite su internet, il commercio illecito ha tuttavia le mani abbastanza libere. Preoccupati da questo scenario, l’Unesco, l’Interpol e il Consiglio internazionale dei musei hanno stilato un catalogo di misure per lottare contro il fenomeno della dispersione illegale, la cui ampiezza è in espansione.

In Svizzera il caso della tavola irachena ha mostrato che è possibile intervenire. È tuttavia stata determinante la segnalazione di un internauta in Germania, specializzato in questo tipo di reperti antichi.

“Abbiamo degli elementi che ci permettono di affermare che su internet ci sono delle offerte dubbiose. Questa constatazione ci ha spinto ad avviare una collaborazione con “e-Bay” e “Ricardo.ch”. In Svizzera – aggiunge Yves Fischer – stiamo definendo delle misure che prevedono di limitare, e persino di vietare, la vendita di reperti archeologici sulle piattaforme virtuali”.

Una cooperazione indispensabile

Del resto “e-Bay” e “Ricardo.ch”, due siti di vendita sul web, sono pronti a collaborare con le autorità. Stanno pertanto valutando come vietare la vendita di reperti archeologici.

“Il nostro portale “e-Bay” – spiega la portavoce per la Svizzera Sabine Schneider – parte dal principio che tutto quanto è legalmente vendibile, deve poter essere venduto sul nostro sito”.

Ammette tuttavia che la piattaforma non dispone né di specialisti in grado di identificare offerte potenzialmente illecite, né di mezzi per controllare la validità dei certificati che attestano la legalità dei pezzi venduti. Ragion per cui “e-Bay” gli altri portali s affidano allo Stato.

Secondo Yves Fischer non è nel loro interesse – in termini di immagine – assistere all’intervento dello Stato in caso di sospetti di illegalità negli scambi commerciali che avvengono sui rispettivi portali. Il funzionario raccomanda, come l’ICOM, una chiara divisione delle responsabilità.

“Possiamo contare sui periti cantonali nel campo dell’archeologia. Spetta a loro il compito di reagire. Anche queste piattaforme sono comunque tenute ad agire rapidamente in caso di sospetti, affinché si possa avviare un’azione penale nel caso in cui fosse necessario”.

swissinfo, Carole Wälti
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)

In Svizzera il dibattito sul traffico illecito delle opere d’arte è stato rilanciato negli anni Novanta, in piena tormenta degli averi ebraici in giacenza.

A causa delle lacune nella propria legislazione in materia di regolamentazione del commercio dei beni culturali, la Svizzera ha costituito per anni un caso a parte.

Nel mese di ottobre del 2003 ha ratificato la Convenzione UNESCO del 1970, concernente le misure da adottare per vietare e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali.

Nel 2005 è entrata in vigore la legge federale sul trasferimento dei beni culturali, che mira a contrastare il traffico illegale. La legge pone fine al commercio anonimo.

Mercanti d’arte e case d’aste devono dichiarare con chi commerciano e hanno l’obbligo di tenere un registro che permetta di risalire esattamente all’origine del bene culturale e al suo percorso.

Il proprietario di un bene culturale rubato può esigere la restituzione per un periodo di 30 anni contro i 5 anni previsti dalla legislazione precedente.

Il Consiglio internazionale dei musei (ICOM) ha stabilità delle liste rosse nelle quali figurano i beni culturali più colpiti dal saccheggio e dal furto.

Questi oggetti sono protetti dalle leggi dei rispettivi paesi. È vietata la loro esportazione e non possono essere in alcun caso proposti per la vendita.

La liste rosse costituiscono un appello ai musei, alle case d’aste, ai mercanti d’arte e ai collezionisti per incitarli a prendere tutte le dovute garanzie prima di acquistare oggetti provenienti dai paesi in cui sono protetti. Le liste vogliono inoltre essere d’aiuto ai servizi doganali e alla polizia, che possono così identificare i beni.

L’ICOM ha allestito quattro liste rosse che interessano Africa, America Latina, Iraq e Afghanistan. L’Interpol dispone di una lista in cui figurano i beni trafugati.

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