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Dopoguerra: numero figli stagionali molto più alto delle stime, FNS

Stagionali italiani in partenza dalla stazione di Zurigo il 12 dicembre 1964 KEYSTONE/PHOTOPRESS-ARCHIV/STR sda-ats

(Keystone-ATS) Il numero di figli di lavoratori stagionali che vivevano nascosti in Svizzera durante il boom economico del dopoguerra è molto più alto di quanto stimato finora.

Gli ultimi dati calcolati dal Fondo nazionale svizzero (FNS), e pubblicati oggi dalla NZZ am Sonntag, affermano che sono 50’000 i bambini che hanno vissuto illegalmente nella Confederazione dal 1949 al 1975.

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“L’impatto della migrazione nella realtà costitutiva della Svizzera è spesso sottovalutato, in realtà è superiore a quello di un Paese come gli Stati Uniti”, ha detto oggi a Keystone-ATS Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra. Il ricercatore è l’autore dello studio del FNS sul collocamento dei minori durante il forte aumento dei lavoratori stagionali nella seconda metà del secolo scorso.

Lo statuto dello stagionale in Svizzera è stato introdotto nel 1934 e abolito nel 2002. Consentiva ai lavoratori interessati – di cui circa il 90% italiani – di rimanere nove mesi all’anno in Svizzera e autorizzava il raggruppamento famigliare solo per tre – sei mesi, a dipendenza del cantone. Ciò ha portato a separazioni spesso dolorose, con i minori costretti a rimanere nel Paese d’origine o a vivere nascosti in Svizzera.

Cifre ufficiali sull’ampiezza del fenomeno non ne esistono. Lo stesso Ricciardi si è detto sorpreso che un Paese come la Svizzera abbia così poche statistiche utilizzabili sul numero esatto di lavoratori stagionali. Anche per questo motivo, il numero dei bambini clandestini è difficile da stabilire.

Finora, gli storici avevano stimato in 10’000 – 15’000 il numero di questi fanciulli. Ora lo studio di Ricciardi ritiene che siano in realtà ben 50’000, su un periodo di circa 25 anni.

Questi sono però solo una parte dei bambini toccati. Se si considerano anche quelli che non hanno seguito i genitori ma che sono rimasti nel loro Paese (leggi: Italia, ndr.), spesso dai nonni, il numero di bimbi interessati sale a mezzo milione.

Vivere in clandestinità significava non andare a scuola, anche se la società civile si è mobilitata, in particolare a Neuchâtel, per offrire istruzione e cure mediche ai minori coinvolti, precisa Ricciardi. A volte con la complicità delle autorità, che chiudevano un occhio. Ma la paura restava.

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