Il franco forte fa passare in secondo piano i timori per i bilaterali
Un anno fa il mondo economico svizzero reagiva con preoccupazione dopo il sì all’iniziativa «contro l’immigrazione di massa». Finora il voto ha avuto effetti limitati sull’andamento dell’economia. Il massiccio rafforzamento del franco ha per contro peggiorato bruscamente le condizioni quadro.
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Andreas Keiser, swissinfo.ch
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Schweizer Wirtschaft: Starker Franken verdrängt Sorgen um Bilaterale
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«Ci troviamo in un contesto di maggiore incertezza, soprattutto per quanto riguarda le decisioni di investimento», afferma Klaus Abberger, responsabile delle questioni congiunturali presso il centro di ricerche KOF del Politecnico di Zurigo, riferendosi agli effetti dell’accettazione dell’iniziativa «contro l’immigrazione di massa».
L’economia svizzera sta bene, soprattutto in paragone internazionale, continua Abberger. Tuttavia l’iniziativa è un «fattore percepibile» poiché «le aziende hanno in parte differito gli investimenti». Sulla base del suo sondaggio periodico, il KOF ritiene «che senza l’iniziativa gli investimenti sarebbero stati più alti dello 0,5-1%». Circa il 15% delle aziende ha cambiato comportamento in materia di investimenti in seguito alla decisione del popolo, stando a quanto emerge da un altro studio del KOF.
La revoca degli accordi bilaterali con l’Unione Europea – in particolare quello relativo alla libera circolazione delle persone – danneggerebbe l’economia svizzera. È la conclusione a cui è giunto uno studio del centro di ricerche congiunturali KOF del Politecnico federale di Zurigo, pubblicato il 3 febbraio.
Il prodotto interno lordo diminuirebbe dello 0,2% all’anno. A patirne maggiormente sarebbero gli investimenti, in particolare nel settore dell’edilizia, rileva il KOF.
Per le aziende svizzere, la libera circolazione delle persone ha comportato benefici, come l’aumento della popolazione attiva e la crescita dei consumi e della produttività.
«Le relazioni bilaterali tra Svizzera e Unione Europea hanno preso un brutto colpo. Bruxelles ha perso fiducia», afferma Jan Atteslander, responsabile della politica estera presso economiesuisse. «Fondamentalmente non bisogna però esagerare. Le multinazionali e gli investitori europei sono diventati più cauti, ma circa l’80% delle aziende parte dal presupposto che gli accordi bilaterali con l’UE saranno mantenuti. Per questo gli effetti non sono ancora così forti».
In effetti l’annata 2014 è stata fasta per l’economia d’esportazione svizzera. L’export è cresciuto del 3,5% a 208 miliardi di franchi, superando il precedente record del 2008. Le importazioni hanno invece registrato un aumento dello 0,4% a 178 miliardi di franchi. La bilancia commerciale si è così chiusa con un saldo positivo di 30 miliardi, un altro nuovo record. Mancano per contro ancora le cifre definitive relative al prodotto interno lordo e al tasso di crescita nel 2014.
Per ora non cambia nulla
«Nessun grande effetto» è il bilancio stilato da Daniel Lampart, capo economista dell’Unione sindacale svizzera. «Fino a quando nulla sarà deciso, non cambierà fondamentalmente niente».
La Svizzera ha ancora due anni di tempo per applicare il nuovo articolo costituzionale – che prevede la reintroduzione di contingenti per i lavoratori provenienti dall’UE e la priorità ai lavoratori residenti – e per trovare una soluzione con l’UE. Bruxelles ha finora sempre respinto seccamente l’idea di reintrodurre dei contingenti. Nel caso estremo, gli accordi bilaterali con l’UE potrebbero cadere e la Svizzera perdere l’accesso al suo mercato.
Le conseguenze per l’economia elvetica sarebbero gravi. Tuttavia non si è ancora giunti a questo punto. Il governo svizzero presenterà presto il mandato relativo alle trattative per la rinegoziazione dell’accordo di libera circolazione con l’UE.
Partiamo dal presupposto che con l’Europa si riuscirà a trovare una soluzione ragionevole. Jan Atteslander
«Partiamo dal presupposto che con l’Europa si riuscirà a trovare una soluzione ragionevole», sottolinea Jan Atteslander, auspicando che l’articolo costituzionale sia applicato tenendo conto degli interessi economici di tutto il paese.
Preoccupa di più il franco
La decisione della Banca nazionale svizzera di porre fine alla politica del tasso minimo di cambio franco-euro ha relegato in secondo piano le preoccupazioni relative all’avvenire degli accordi bilaterali. «Il corso del franco può portare a una svolta economica importante. L’insicurezza circa il futuro dei bilaterali passa un po’ in secondo piano», rileva Klaus Abberger del KOF.
Tenuto conto «dello choc del franco» e visti i bassi prezzi del petrolio, il KOF ha rivisto le sue previsioni congiunturali. Partendo dal presupposto che nei prossimi due anni il franco si scambierà più o meno alla pari con l’euro, l’economia svizzera dovrebbe attraversare un breve periodo di recessione nel semestre estivo 2015. Sull’insieme dell’anno, il prodotto interno lordo dovrebbe regredire dello 0,5%, mentre nel 2016 è prevista una stagnazione.
Ancora alcune settimane fa, i toni erano più ottimistici. Il 17 dicembre, un mese prima della decisione a sorpresa della BNS, il KOF prevedeva una crescita economica dell’1,9% per il 2015 e del 2,1% per il 2016.
(traduzione di Daniele Mariani)
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Svizzera ed Ue continuano a giocare a nascondino
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Bruxelles è certo disposta a «discutere» della questione della libera circolazione, sollevata dalla decisione del popolo svizzero di porre un freno all’immigrazione. Ma discutere non significa «negoziare» un compromesso che metterebbe a repentaglio i principi fondamentali dell’UE. Un anno dopo il voto del 9 febbraio sull’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”, le posizioni di Berna e Bruxelles sembrano inconciliabili.
Ci sono questioni di forma e di fondo. È con un bacio stampato sulla guancia - davanti alle telecamere, evidentemente – che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha accolto a Bruxelles la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga. Ma l’affetto sincero che il lussemburghese prova nei confronti della Svizzera è lungi dall’essere smisurato.
A un anno dall'accettazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, promossa dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), Jean-Claude Juncker ha ribadito fermamente la sua posizione: in quanto amici, la Svizzera e l’UE devono poter discutere di tutto, nella speranza di aiutare la Confederazione ad uscire da una brutta situazione.
In nessun caso, però, Bruxelles rinegozierà il principio della libera circolazione delle persone, rimesso in questione dal popolo elvetico. A stretta maggioranza, l’elettorato ha infatti deciso che la Svizzera dovrà reintrodurre contingenti sui lavoratori stranieri, fissare dei tetti massimi all’immigrazione e dare la priorità ai residenti sul mercato del lavoro.
Certo, Svizzera ed Unione europea «non sono in guerra» dal 9 febbraio 2014, ha sottolineato il presidente della Commissione. Juncker si è impegnato a proseguire «un confronto di opinioni» ai più alti livelli in modo da sciogliere la matassa della libera circolazione. Un confronto che spera «fruttuoso» anche se ammette di non essere «oltremodo ottimista».
Ma le cose devono essere chiare: «Per ora, i nostri punti di vista rimangono divergenti». Il tema sarà discusso a «scadenze regolari», ma la Commissione non si impegna a portare avanti «veri e propri negoziati». In caso contrario rischierebbe di riaprire il vaso di Pandora scoperchiato dal Regno Unito, dove il dibattito sulla libera circolazione delle persone è più acceso.
L’intero edificio in pericolo
L’esecutivo dell’UE mantiene dunque la linea tracciata lo scorso dicembre dai ministri degli affari esteri dei Ventotto. I capi della diplomazia avevano ribadito che la «libera circolazione non è negoziabile» e avevano poi sottolineato che l’applicazione dell’iniziativa minaccerebbe «il cuore delle relazioni tra Svizzera ed UE», ossia tutto il pacchetto di Bilaterali I legati tramite la cosiddetta «clausola ghigliottina». Se una delle due parti denunciasse la libera circolazione, anche gli altri accordi decadrebbero automaticamente dopo sei mesi.
Atteso al banco di prova, il governo svizzero comunicherà probabilmente la sua strategia l’11 o il 18 febbraio. Il margine di manovra a sua disposizione è però «estremamente ridotto», ha affermato Simonetta Sommaruga dopo l’incontro a Bruxelles. E alla tensioni con Bruxelles si aggiungono le pressioni interne, amplificate dalle scadenze elettorali di ottobre, con il rinnovo del Parlamento federale, e l’ombra del franco forte che sembra minacciare la prosperità della Svizzera.
Un rompicapo istituzionale
Oltre al dossier migratorio, un'altra spina nel fianco è l'accordo istituzionale che Svizzera e Unione europea stanno negoziando da tempo. Per Bruxelles, si tratta di rafforzare la coesione del mercato interno europeo, attraverso un adeguamento quasi automatico dei Bilaterali allo sviluppo del diritto comunitario e attraverso un controllo giudiziario indipendente per la risoluzione di possibili controversie. Condizioni che Berna finora non si è detta disposta ad accettare.
I Ventotto l’hanno però ribadito chiaramente, nel dicembre 2014: «In assenza di un quadro istituzionale comune, non sarà concluso nessun nuovo accordo sulla partecipazione della Svizzera al mercato interno».
Per incitare Berna a fare delle concessioni, il commissario europeo per la politica energetica, Miguel Arias Cañete, ha usato il bastone e la carota durante un incontro con la ministra svizzera dell’energia Doris Leuthard, il 29 gennaio. Lo spagnolo ha infatti ventilato la possibilità di «un accordo provvisorio» nel settore dell’elettricità, che permetterebbe alla Svizzera di accedere al mercato europeo dal primo luglio.
Cañete ha però posto come condizione la risoluzione di quei problemi istituzionali legati al dossier dell’elettricità, come la questione degli aiuti statali e della giurisdizione di sorveglianza. Ora spetta alla Svizzera fare il proprio passo. La ministra Doris Leuthard ha dichiarato che «non sarà facile», pur salutando questa «piccola apertura» nel muro dei bilaterali.
Questa via potrebbe però essere interrotta nuovamente se la Svizzera non riuscirà a trovare una soluzione euro-compatibile al grattacapo del 9 febbraio. In dicembre, infatti i Ventotto si sono riservati esplicitamente «il diritto di porre fine ai negoziati istituzionali e ad altri negoziati legati al mercato interno», nel caso in cui Berna violasse il sacrosanto principio della libera circolazione delle persone. Un vero e proprio rompicapo.
Le reazioni della stampa svizzera
La stampa svizzera non si mostra sorpresa dall’esito dell’incontro tra Sommaruga e Juncker a Bruxelles. La Neue Zürcher Zeitung (NZZ) constata che non vi è stato alcun riavvicinamento. Tra il Consiglio federale, costretto a rispettare il più possibile la volontà del popolo di porre un freno all’immigrazione e la Commissione europea, attaccata al principio fondamentale della libera circolazione, «le posizioni sono troppo distanti per intravvedere anche una minima possibilità di negoziazione», rileva dal canto suo Le Temps.
Malgrado l’accoglienza calorosa che Juncker ha riservato a Sommaruga, i quotidiani elvetici ritengono che le posizioni restano inconciliabili. La Liberté di Friburgo parla di un «bacio ingannevole degli europei alla Svizzera», mentre il Corriere del Ticino sottolinea la difficoltà di «negoziare ciò che non è negoziabile» e solleva qualche dubbio sulla strategia dell’Unione democratica di centro che dopo aver chiesto un’applicazione alla lettera del testo, ora accusa il governo di essere troppo rigido.
Un anno dopo il voto sulla cosiddetta “immigrazione di massa”, è giunto il momento di «seppellire le illusioni», commenta dal canto suo Der Bund. «Le due parti non hanno praticamente alcun margine di manovra (...). È raro vedere dei politici dichiarare in modo così poco diplomatico che le divergenze sono inconciliabili», conclude il quotidiano bernese.
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