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Il Governo svizzero può costringere l’industria a evitare il greenwashing?

gente che manifesta a favore del clima
Il greenwashing è molto pericoloso per gli investitori, sostiene Vincent Kaufmann di Ethos. © Keystone / Peter Klaunzer

L'azione del Governo svizzero per prevenire il greenwashing dovrebbe concentrarsi su una maggiore trasparenza, al fine di distinguere le reali azioni a favore del clima dalle relazioni pubbliche, afferma Vincent Kaufmann, direttore della fondazione per gli investimenti sostenibili Ethos, con sede a Ginevra.

La scorsa settimana il Governo svizzero ha annunciato che il Dipartimento federale delle finanze elaborerà un progetto di legge volto a prevenire il greenwashing, dato che nel settore finanziario proliferano espressioni quali “verde” e “neutrale dal punto di vista climatico”. La decisione è giunta in seguito a una serie di accuse contro aziende e banche che hanno dichiarato in modo esagerato le loro credenziali di sostenibilità.

Negli ultimi anni, anche l’Unione europea (UE) ha adottato misure per limitare il greenwashing. SWI swissinfo.ch ha parlato con l’esperto di investimenti sostenibili Vincent Kaufmann del perché il disegno di legge è importante e se sarà sufficiente per riconquistare la fiducia di consumatrici e investitori.

vincent Kaufmann
Vincent Kaufmann è il direttore di Ethos, la Fondazione svizzera per lo sviluppo sostenibile. È stata creata nel 1997 da due fondi pensione ginevrini e attualmente è composta da oltre 250 investitori istituzionali che hanno l’obiettivo di incorporare i principi dello sviluppo sostenibile negli investimenti. Merlin Photography Ltd.

SWI swissinfo.ch: Quanto è grande il problema del greenwashing?

Vincent Kaufmann: Il greenwashing è molto pericoloso per gli investitori. È un rischio enorme quando le associazioni a protezione dei consumatori attaccano le aziende sostenendo che stanno esagerando i loro risultati climatici o ingannando chi acquista i loro prodotti.

Credo che il caso della Deutsche BankCollegamento esterno, in cui un whistleblower ha rivelato che la banca aveva ingigantito le proprie credenziali di sostenibilità, sia stato un campanello d’allarme. C’è stata molta incoerenza da parte degli investitori e ci sono numerose aziende che hanno fissato obiettivi di neutralità climatica, senza però sapere come raggiungerli.

Non credo però che il greenwashing si basi sempre sulla volontà di mentire o su una pubblicità ingannevole. A volte è anche una questione di definizioni sbagliate. Ci sono investitori e aziende che vogliono essere verdi ma che, a causa della mancanza di una definizione comune e di una regolamentazione in materia, potrebbero definire verde qualcosa che in realtà non lo è.

Quando un investimento può essere definito “sostenibile”?

È una domanda difficile. Da un lato si guarda all’impatto che la compagnia in cui si investe ha sulla società e sull’ambiente, dall’altro si guarda a come gestisce i rischi ESG [Environmental, Social, Governance], ossia i fattori ambientali, sociali e di governance che possono danneggiare l’azienda dal punto di vista finanziario.

Credo che quando si definisce cosa è verde e cosa no non ci si debba concentrare solo sul modo in cui si selezionano le aziende del portafoglio. Si tratta anche di capire come utilizzare i propri diritti di voto in qualità di azionista per favorire un cambiamento. Un investitore potrebbe escludere dal proprio portafoglio una società di carburanti fossili per essere più sostenibile, ma in questo modo perderebbe il diritto di voto per influenzare la politica aziendale di quella società durante l’assemblea generale, dove possono essere presentate risoluzioni per modificare il modello di business.

>> Guarda il filmato per capire cosa sono e come vengono usate le obbligazioni ESG:

C’è il rischio che ricercando la perfezione si ottenga il risultato opposto quando si tratta di definire ciò che è sostenibile?

Credo che l’UE abbia fatto un buon lavoro nel definire ciò che è o non è sostenibile nella tassonomia che ha lanciato un paio di anni fa. Ci sono ancora molte aziende svizzere che dichiarano di svolgere attività ecologiche senza che ci sia una comprensione comune di cosa comprenda tale definizione.

L’UE sta inoltre richiedendo alle aziende di dichiarare qual è la parte del loro fatturato o dei loro flussi di cassa in uscita che costituisce ciò che definiscono “sostenibile”. Indicare quanto un’azienda sia realmente sostenibile è un’informazione molto importante per chi investe.

Prendiamo l’esempio di TotalEnergies: l’azienda afferma di investire in tecnologie a basse emissioni di carbonio, ma se guardiamo alle sue spese di capitale previste per il 2030, solo il 30% circa è destinato a tali tecnologie, mentre il 60% circa è destinato a investimenti in nuovi giacimenti di petrolio e gas. Questo è l’esempio di un’azienda che ha un obiettivo di emissioni nette pari a zero, ma non ha un percorso per raggiungerlo.

Pensa che la soluzione sia nella regolamentazione?

Dobbiamo riorientare i flussi finanziari in linea con l’Accordo di Parigi sul clima. È impossibile aspettarsi che i mercati finanziari lo facciano senza normative e definizioni chiare. Il mercato finanziario cercherà sempre di massimizzare i rendimenti.

Pensa che la normativa svizzera sarà sufficiente?

Credo che la normativa contribuirà a chiarire cosa si intende per greenwashing, ma dovrebbe anche favorire una maggiore divulgazione delle informazioni, analogamente a quanto sta facendo l’UE. Dobbiamo definire fino a che punto possiamo accettare che un’azienda si definisca “sostenibile” se investe in tal senso solo il 30%.

“Dobbiamo riorientare i flussi finanziari in linea con l’Accordo di Parigi sul clima.”

L’anno prossimo entrerà in vigore il controprogetto all’iniziativa per un’economia responsabile, respinta dal popolo svizzero nel 2020. È un buon inizio, ma non spinge le aziende a riferire la percentuale di vendite in attività verdi o responsabili. Il primo obiettivo del regolatore dovrebbe essere aumentare la trasparenza delle aziende per aiutare gli investitori a prendere decisioni.

Il Governo svizzero per ora tiene aperta la possibilità dell’autoregolamentazione del settore finanziario. C’è ancora speranza per un’autodisciplina volontaria?

Sono scettico riguardo all’autoregolamentazione. La sua attuazione è complicata. Non è sufficiente che l’Associazione svizzera dei banchieri regolamenti i propri membri.

La Svizzera ha firmato l’Accordo di Parigi e abbiamo votato a favore della legge sul clima [in giugno]. Non possiamo lasciare che sia l’associazione settoriale ad attuarla.

I titoli dei giornali parlano continuamente di investitori scettici nei confronti degli ESG e di quelli che sempre di più si ritirano dai cosiddetti prodotti sostenibili, come le obbligazioni verdi [green bonds]. Il contraccolpo degli ESG è sempre più marcato?

Non si può chiedere all’economia di fare la transizione da sola se non c’è la volontà democratica e politica di farlo.

Questo contraccolpo degli ESG non è dovuto al fatto che gli investitori non vogliono investire secondo tali criteri, ma al fatto che i partiti politici, come quello repubblicano negli Stati Uniti, lo considerano una minaccia alla loro agenda politica. Anche in Svizzera, i risultati delle elezioni di un paio di settimane fa hanno mostrato che il partito che ha fatto campagna contro la legge sul clima ha ottenuto il maggior numero di voti. Il Partito ecologista, invece, ha perso consenso (-3,4%).

“Nestlé e Holcim non sono perfette, ma le abbiamo spinte a pubblicare rapporti sul clima e a migliorare la loro strategia climatica.”

Oggigiorno, prendere in considerazione i fattori ESG significa gestire il rischio finanziario. Come investitori, bisogna sapere se un’azienda è potenzialmente soggetta ad accuse di corruzione, se ha un alto tasso di ricambio del personale o se sta inquinando il pianeta. La gestione del rischio, compresi i rischi ESG, rientra tra gli obblighi fiduciari degli investitori.

Ma la domanda è: vogliamo concentrarci maggiormente sulle aziende che innescano il cambiamento? Avranno successo se c’è la volontà politica di procedere alla transizione climatica.

Un paio di anni fa Ethos è stata presa di mira dal movimento per il clima Extinction Rebellion per i suoi investimenti in grandi aziende quali Nestlé e Holcim. Come risponde alle loro critiche e come vede il ruolo della sua fondazione nei confronti degli attivisti per il clima?

Penso che le nostre attività siano molto complementari. Quello che loro [Extinction Rebellion] non avevano capito all’epoca era l’influenza che possiamo avere come azionisti rimanendo investitori in un’azienda. Fortunatamente siamo riusciti a discutere e a spiegare loro come usiamo il nostro potere di voto per influenzare le aziende.

Certo, Nestlé e Holcim non sono perfette, ma le abbiamo spinte a pubblicare rapporti sul clima e a migliorare la loro strategia climatica. Holcim ha ora l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 più ambizioso del settore del cemento. Purtroppo, non riusciremo a liberare le economie dal cemento da un giorno all’altro.

A cura di Samuel Jaberg

Traduzione di Luigi Jorio

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