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Il Kazakistan e la dicotomia della politica estera svizzera

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Il presidente della Confederazione Guy Parmelin, a sinistra, e il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev, a destra, durante una visita ufficiale a Ginevra, lunedì 29 novembre 2021. Keystone / Salvatore Di Nolfi

L'esempio kazako dimostra che, nelle relazioni internazionali della Svizzera, gli interessi economici talvolta si scontrano con l'impegno del Paese nel promuovere la democrazia e far rispettare i diritti umani.

La promozione della democrazia e del rispetto dei diritti umani è un obbligo sancito espressamente dalla Costituzione svizzera. E il Paese prende questo compito sul serio. Ma, soprattutto negli Stati economicamente importanti, la politica estera ogni tanto si trova di fronte a una dicotomia. Da un lato, dovrebbe parlare di democrazia e diritti umani con regimi discutibili. Dall’altra, conclude con loro accordi lucrativi.

Il rischio è di un conflitto di interessi e obiettivi: stringere stretti legami con la Svizzera, Paese modello della democrazia, non solo può aiutare le dittature e le autocrazie ad arricchirsi. A volte, aiuta anche a legittimarle.

Kazakistan, Asia centrale: quasi 19 milioni di persone vivono nel secondo Paese più esteso dell’ex Unione Sovietica. Decine di migliaia di persone hanno partecipato alle proteste antigovernative all’inizio dell’anno. L’agitazione sociale è sorta dal malcontento per la disparità nella distribuzione dei beni pubblici. Per soffocare le proteste, il governo, sostenuto da altri Stati ex sovietici ha violato i diritti umani, secondo osservatori e osservatrici.

“La gente è stanca delle bugie di chi è al potere”, dice a SWI swissinfo.ch Gazinur Gizdatov, professore all’Università kazaka di relazioni internazionali Abylai Khan. “Tuttavia”, aggiunge, “resta da vedere se, dopotutto, un cambiamento è possibile nel nostro Paese”.

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Nurlan Sauranbayev (a sinistra, in primo piano), presidente della compagnia ferroviaria statale del Kazakistan (Kazakhstan Temir Zholy, KTZ), e Peter Spuhler (a destra, in primo piano) presidente di Stadler Rail, posano dopo aver firmato un accordo di cooperazione strategica alla Fondazione Zoubov a Ginevra, Svizzera, lunedì 29 novembre 2021, in presenza del presidente del Kazakistan Qasym-Jomart Toqaev (a sinistra, dietro) e del presidente della Confederazione Guy Parmelin (a destra, dietro). Keystone / Salvatore Di Nolfi

Il dubbio è giustificato, perché l’autocrazia centrasiatica, sotto il presidente Qasym-Jomart Toqaev, non solo ha potenti alleati nella vicina Russia, ma anche partner affidabili: per esempio la Svizzera.

L’associazione economica elvetica economiesuisse scrive: “Il Kazakistan è la porta dell’Asia centrale per molte aziende svizzere. Il Paese ha migliorato significativamente le condizioni di accesso al mercato per le aziende straniere negli ultimi anni. Tra il 2005 e il 2018, le imprese svizzere hanno investito 23,2 miliardi di dollari nell’ex repubblica sovietica”.

La Svizzera è il terzo investitore estero

Questo fa della Confederazione il terzo investitore diretto in Kazakistan, dopo Paesi Bassi e Stati Uniti. Le esportazioni svizzere verso il Kazakistan sono aumentate del 16,2% nel solo 2018. Alla fine di novembre dello scorso anno, i due Paesi hanno firmato a Ginevra una serie di protocolli di intesa e accordi preliminari. Tra questi si trovano progetti nei settori dello sviluppo sostenibile, dei trasporti pubblici, dell’infrastruttura stradale, dell’ingegneria genetica, della farmaceutica, dei servizi finanziari, dell’allevamento o della plastica. Un pacchetto completo.

Tra gli altri, il fabbricante svizzero di treni Stadler Rail è interessato a una stretta cooperazione con la compagnia ferroviaria statale kazaka KTZ.

Legami politici controversi

Parallelamente alle relazioni economiche, si rafforzano anche i legami bilaterali tra i due paesi. Nel quadro degli incontri organizzati in novembre a Ginevra, i presidenti dei due Paesi, Guy Parmelin e Toqaev, hanno firmato due accordi sullo sviluppo commerciale.

Per Toqaev, è stata una gradita apparizione sulla scena internazionale in cui si è potuto discutere di argomenti “nobili” come il divieto delle munizioni a grappolo, la lotta alla pandemia, l’Afghanistan e la diplomazia dell’acqua.

Per la Svizzera, si è trattato perlopiù di affari: il Kazakistan occupa una posizione strategica tra la Russia e la Cina. Pechino sta costruendo strade, ferrovie e oleodotti nel Paese come parte della sua iniziativa globale “Nuova via della seta”. E le autorità kazake stanno progettando di privatizzare alcune imprese statali. Le aziende svizzere fiutano quindi interessanti affari.

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Dinara Kulibaeva, figlia dell’ex presidente kazako Nursultan Nazarbaev, secondo una ricerca del Tages Anzeiger ha comprato il castello di Bellerive sul lago di Ginevra per più di cento milioni di franchi alla fine del 2021. DR

Berna sa bene che il governo del Kazakistan è un regime autoritario post-sovietico che – come è stato appena detto – è capace di intraprendere azioni dure e senza compromessi contro la sua stessa popolazione.

Nel 2015, ha fatto molto discutere in Svizzera un fatto che ha persino messo in discussione l’indipendenza del parlamento elvetico. Al centro della polemica si trovava un’interpellanza parlamentare della deputata liberale Christa Markwalder che riguardava le relazioni tra i due Paesi.

Le indagini dei media avevano rivelato che il governo kazako, attraverso un’agenzia di pubbliche relazioni attiva a livello internazionale, era responsabile sia della proposta che della formulazione dei singoli passaggi, all’insaputa di Christa Markwalder, come lei stessa ha poi assicurato. Il cosiddetto affare kazako è diventato un esempio da manuale di come uno Stato straniero ha cercato di influenzare la politica svizzera.

Vitol, una delle più grandi società in Svizzera attiva nel commercio di materie prime, è un’ulteriore prova degli stretti legami tra i due Stati. L’organizzazione non governativa svizzera Public Eye considera la joint venture Vitol Central Asia come un costrutto che serve, da un lato, a nascondere i legami della compagnia con le élite in Kazakistan e, dall’altro, a ottenere contratti lucrativi.

Secondo la ricerca di Public Eye, Vitol Central Asia è una filiale di Ingma Holding, una società registrata a Rotterdam con appena undici dipendenti che ha fatturato ben 93,3 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2016.

Il Ministero degli esteri svizzero sottolinea che Berna è in costante contatto con le autorità kazake e con la società civile locale sulle questioni della democratizzazione e dei diritti umani. Sta anche seguendo da vicino i processi in corso nei confronti di membri dell’opposizione kazaka.

Sostiene anche progetti di ONG locali nel campo della libertà di espressione e della migrazione. Durante le visite ufficiali delle delegazioni svizzere, i rappresentanti della società civile sono solitamente invitati a una tavola rotonda sulla democrazia e i diritti umani.

Nursultan
La nuova capitale del Kazakistan ha cambiato nome diverse volte negli ultimi anni. Copyright 2022 The Associated Press. All Rights Reserved

Stando al politologo kazako Gaziz Abishev, è piuttosto improbabile che in seguito ai recenti eventi il Kazakistan perda molta della sua attrattiva. “La diplomazia è al lavoro, quindi non dovrebbe accadere nulla di male tra il Kazakistan e la Svizzera”, ritiene.

Il fatto che il governo del Kazakistan abbia resistito alle proteste, è la prova della solidità del sistema politico del Paese, dice. “Da entrambe le parti, prevale il pragmatismo”, conclude Abishev.

Questo articolo è stato modificato il 1.3.2022. Le informazioni di Public Eye a proposito della connessione di Vitol Central Asia con le élite in Kazakistan non hanno potuto essere confermate da una seconda fonte.

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