Gli italiani che ogni giorno varcano il confine per venire a lavorare in Ticino non aumentano il rischio di disoccupazione per i residenti. È la conclusione a cui giunge uno studio dell’Istituto di ricerche economiche (IRE) dell’Università della Svizzera italiana. Uno studio che sta sollevando numerose polemiche.
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swissinfo.ch e tvsvizzera.it (RSI Il Quotidiano del 20.10.2015)
Oltre 60’000 frontalieri lavorano attualmente in Ticino, quasi il doppio rispetto al 2002. Nel cantone a sud delle Alpi, questa manodopera è spesso accusata di sostituire quella locale, facendo così aumentare il tasso di disoccupazione e spingendo inoltre i salari verso il basso.
Falso, afferma lo studio dell’IRECollegamento esterno. «Anche se i nostri risultati indicano che questo rischio di disoccupazione indotta in Ticino ha avuto la tendenza ad essere leggermente superiore rispetto al resto della Svizzera non si identifica un effetto reale di sostituzione», si legge nella ricerca.
Tuttavia, l’eccesso di offerta di lavoratori stranieri nel mercato del lavoro ticinese provoca un effetto di concorrenza. «È quindi del tutto possibile che il vero problema non sia lo spostamento della manodopera attiva in disoccupazione, ma piuttosto l’entrata nel mercato del lavoro dei residenti», in particolare i giovani senza esperienza professionale.
Lo studio, commissionato dalla Segreteria di Stato dell’economia, è stato svolto sottoponendo un sondaggio a 328 aziende in tutto il Ticino.
La ricerca ha sollevato un polverone. Critiche sono piovute da più parti. Il parlamentare cantonale dei Verdi Sergio Savoia ha presentato un’interrogazione al governo ticinese, firmata anche dal neo deputato a Berna Marco Chiesa (Unione democratica di centro), nella quale chiede se il governo condivide il metodo usato per raccogliere i dati. «Intervistare chi si avvantaggia del lavoro frontaliero — scrive Savoia — costituisce una base scientifica sufficiente per avvalorare questa tesi?».
La Lega dei Ticinesi ha pure inoltrato una mozione, che chiede addirittura la chiusura dell’istituto.
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Strategia per gestire i quasi 65mila frontalieri in Ticino
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Metà di tutto il traffico in Ticino è dovuto ai frontalieri. Per il consigliere di stato Claudio Zali, ci vuole una strategia globale per ridurre i disagi. Ad esempio potenziando i mezzi pubblici, favorendo il "car pooling" e tassando i posteggi.
Il traffico di transito ai valichi doganali italo-svizzeri aumenta di anno in anno. La situazione si sta ulteriormente peggiorando a causa della crisi economica che ha spinto sempre più lavoratori italiani, soprattutto lombardi, a cercare lavoro in Ticino. Ora i frontalieri sono quasi 65mila e le strade ticinesi possono sopportare l'entrata di circa 40mila lavoratori, afferma Claudio Zali, membro del governo del canton Ticino.
Per cercare di risolvere il problema del traffico, il cantone ha deciso di avere dei dati concreti per cercare di reagire nel modo più adeguato. Recentemente ha così promosso un censimento per capire meglio questo transito transfrontaliero.
I dati sono chiari. La maggior parte delle persone che entrano in Ticino sono lavoratori. E quasi tutti viaggiano da soli (88% delle vetture era infatti occupata dal solo guidatore) e dispongono di un posteggio gratuito sul posto di lavoro.
Per cercare di trovare le soluzioni giuste per ridurre il traffico di transito dei lavoratori transfrontalieri, Claudio Zali intende elaborare una strategia complessiva che si riassume in due frasi: potenziare il servizio pubblico e disincentivare il traffico privato.
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