La Nobel per la Pace Narges Mohammadi arrestata in Iran
Si riaprono le porte del carcere per l'attivista iraniana Narges Mohammadi, vincitrice del premio Nobel per la pace nel 2023.
(Keystone-ATS) Con la sua inconfondibile chioma nera in bella vista a sfidare il regime degli ayatollah, la 53enne è tornata ad arringare la folla nel corso di una cerimonia dedicata a un avvocato per i diritti umani, morto in circostanze non chiare. La polizia non ha gradito, e l’ha arrestata dopo averla percossa.
Il legale, Khosrow Alikordi, era un importante difensore degli attivisti incarcerati e delle famiglie degli uccisi e arrestati durante la rivolta del 2022, scoppiata dopo la morte in custodia di Mahsa Amini, fermata per aver indossato l’hijab in maniera ritenuta sbagliata dalla polizia morale.
L’avvocato 45enne è stato trovato morto nel suo ufficio nella città nordorientale di Mashhad, ufficialmente per un infarto ma in circostanze che hanno spinto 81 avvocati tra i quali Nasrin Sotoudeh a chiedere alle autorità di fare chiarezza.
L’Ong Iran Human Rights, basata in Norvegia, afferma di avere “seri sospetti” che si tratti di un “omicidio di Stato”. Del resto, Alikordi era stato arrestato diverse volte e condannato al carcere, all’interdizione dall’esercizio della professione forense e anche all’esilio, con l’accusa di “propaganda contro lo Stato”.
A Mashhad, nella commemorazione dell’avvocato a 7 giorni dalla morte, Mohammadi ha preso il microfono e ha iniziato a scandire il nome di Majidreza Rahnavard, il 23enne dimostrante antigovernativo messo a morte pubblicamente per impiccagione il 12 dicembre di 3 anni fa, sempre a Mashhad, dopo un controverso processo in cui era stato condannato con l’accusa di aver ucciso nel corso delle manifestazioni due agenti dei Basij, la forza paramilitare iraniana in prima linea nella repressione delle proteste.
I manifestanti hanno poi iniziato a intonare lo slogan “morte al dittatore”, ovvero l’ayatollah Ali Khamenei, e nella piazza è scoppiato il parapiglia: le forze speciali della polizia in tenuta antisommossa, a bordo delle tipiche e minacciose motociclette nere, hanno attaccato i dimostranti, facendosi largo tra la folla e arrestando “violentemente” la premio Nobel.
“È stata colpita alle gambe, tenuta per i capelli e trascinata a terra”, ha denunciato uno dei suoi fratelli, Hamid. In manette sono finiti in altri otto: tra loro Sepideh Gholian, la giornalista che ha sbeffeggiato il regime con il suo libro “Il club dei fornai di Evin” – ricette culinarie per “sopravvivere in prigione” – e denunciato torture e abusi nelle carceri iraniane, e anche Hasti Amiri, Pouran Nazemi, Alieh Motalebzadeh. Tutti sarebbero ora rinchiusi in un centro di detenzione collegato al servizio di intelligence dei Pasdaran a Mashhad.
Mohammadi, vincitrice del Nobel per la Pace nel 2023 che venne ritirato dalle figlie gemelle 17enni perché all’epoca lei era nel famigerato carcere di Evin, ha rivelato lo scorso luglio di aver ricevuto minacce di morte da “agenti del regime”. Ma questo non l’ha fermata: da ultimo, proprio il 5 dicembre giorno dell’annuncio della morte di Alikordi, l’attivista ha scritto un infuocato articolo pubblicato da Time.
Ricordando i quattro decenni di proteste antigovernative represse col sangue di migliaia di manifestanti, da quelle studentesche del 1999 passando per il Movimento Verde del 2009 fino alla rivolta del 2022, l’attivista ha scritto che “il popolo iraniano ha dimostrato il suo coraggio, sopportando prigioni, censura, sorveglianza, proiettili e la perdita dei propri figli, eppure continua a combattere”.
Il regime “è in guerra contro il suo popolo”, ma non riuscirà neppure con la forza a fermare la lotta per “porre fine al dispotismo religioso e per contribuire a guidare la transizione dall’autoritarismo alla democrazia”, tuonava Mohammadi.