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La Terra taglia il traguardo dei 7 miliardi

La crescita del tasso di fecondità registrata nei paesi occidentali non è che un fenomeno passeggero. Keystone

I flussi migratori da Nord verso Sud continueranno a crescere? E il tasso di fecondità dei paesi occidentali conoscerà un nuovo picco? L'analisi del demografo svizzero Philippe Wanner in occasione del passaggio ufficiale del pianeta a 7 miliardi di abitanti.

Ci sono voluti appena dodici anni per aggiungere un miliardo in più agli abitanti della Terra. Eravamo soltanto un miliardo nel 1800, sei nel 1999 e oggi, 31 ottobre del 2011, abbiamo raggiunto i sette miliardi con la nascita simbolica di una bimba in Asia.

Questa crescita demografica è destinata a proseguire: secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, entro la fine di questo secolo il pianeta raggiungerà infatti i 10 miliardi di abitanti. Swissinfo.ch ne ha discusso con il demografo Philippe Wanner, professore all’università di Ginevra.

swissinfo.ch: Nei prossimi anni assisteremo a un’accelerazione importante dei flussi migratori dai paesi con un forte tasso di fecondità verso quelli con un tasso più ridotto?

Philippe Wanner: L’Europa chiude le proprie frontiere ma la pressione migratoria sul continente rimane. Per il momento, questa migrazione non risponde a logiche demografiche, ma piuttosto politiche o economiche. In Svizzera c’è una carenza di infermiere; così vengono reclutate in Canada che a sua volta le recluta in Marocco, che le recluta in Mauritania e così via. Non ci sono flussi migratori unici da Sud a Nord, ma una migrazione che si fa per tappe. Più che un flusso migratorio, si tratta di una specie di riequilibrio tra domanda e offerta di manodopera.

swissinfo.ch: I paesi occidentali dovranno obbligatoriamente fare una scelta tra una politica di sostegno alla natalità e una crescita dell’immigrazione per far fronte alla difficoltà di un rinnovamento naturale delle popolazioni?

P.W.: Non si tratta di una vera scelta, perché di fatto le politiche di sostegno alla natalità hanno un effetto limitato. Bisogna investire molto per ottenere dei risultati significativi. I paesi europei, tra cui la Svizzera, hanno bisogno di sostenere le famiglie e allo stesso tempo di poter contare su un saldo migratorio positivo.

swissinfo.ch: L’esempio francese dimostra però che le politiche famigliari hanno un impatto positivo sul tasso di fecondità.

P.W.: Le politiche demografiche non coercitive, dunque umanamente accettabili, permettono di raggiungere un tasso di fecondità che corrisponde generalmente al desiderio delle coppie. Nel caso della Svizzera, le coppie dicono di volere in media due bambini, mentre la fecondità reale si situa a 1,5 figli per donna.

Se lo Stato dovesse puntare davvero sulla politica famigliare, si arriverebbe forse a 1,8 o 1,9 bambini per donna, dunque in linea con le aspettative delle coppie svizzere. Ma indipendentemente dalle politiche messe in atto, non si supererà comunque la soglia dei due bambini per donna.

swissinfo.ch: In altre parole, secondo lei esiste soltanto un modo per garantire un movimento naturale delle popolazioni: la migrazione.

P.W.: Effettivamente, la migrazione è indispensabile per frenare lo spopolamento dei paesi ricchi.

swissinfo.ch: Negli ultimi anni sembra però che il tasso di fecondità nei paesi industrializzati stia tornando a crescere. Un’inversione di tendenza?

P.W.: Negli Stati Uniti e in Francia, ad esempio, si assiste a un leggero aumento del tasso di natalità.  Ma questo fenomeno non è duraturo. Questi movimenti sono dovuti principalmente a un tasso di fecondità più alto tra le popolazioni migranti. Ma anche nei loro paesi di origine la mentalità sta cambiando.

Quest’aumento passeggero si spiega anche con una pianificazione diversa del calendario delle nascite per le donne nate negli anni Settanta e che oggi hanno tra i 35 e i 40 anni. Alcune di loro non hanno avuto figli per ragioni professionali e oggi approfittano di questi ultimi anni di fecondità per colmare il loro desiderio. È una specie di “baby-boom”, un fenomeno puramente congiunturale di recupero. Al contrario, direi dunque che siamo entrati in un periodo di maggiore stabilità della fecondità.

swissinfo.ch: Il fossato tra i paesi ricchi e quelli poveri – per quanto riguarda la fecondità – si sta riducendo?

P.W.: Sta diminuendo su scala nazionale, ma a livello regionale le differenze restano palpabili. Nelle regioni urbane del continente africano, il tasso di fecondità è calato negli ultimi anni. In Costa d’Avorio e in Senegal, le donne fanno in media 2,5 – 3 bambini. Nelle zone rurali invece c’è un tasso di fecondità di 6 – 7 bambini per donna.

swissinfo.ch: Si guarda spesso con timore alla sovrappopolazione… ma non è forse l’invecchiamento della popolazione la sfida maggiore del XXI secolo?

P.W.: La “transizione demografica” (calo congiunto di mortalità e natalità, ndr) porta automaticamente a un invecchiamento della piramide delle età. È una trasformazione totalmente inedita su scala planetaria. In Europa è in corso ormai da un secolo, mentre in Cina o in India questo fenomeno si manifesterà soltanto tra dieci o quindici anni. L’Europa ha il tempo e i mezzi per prepararsi. Negli altri paesi porterà con sé dei vincoli economici considerevoli.

swissinfo.ch: Siamo davvero consapevoli delle conseguenze di un invecchiamento della popolazione?

P.W.: Non credo proprio, perché in fondo continuiamo a reagire di fronte a una situazione di emergenza. L’invecchiamento porta con sé un aumento del numero di pensionati ma anche un’evoluzione della società. È spesso percepito come un problema, perché ci si riferisce alle strutture attuali. Facciamo astrazione della nozione di opportunità legata all’invecchiamento, la possibilità individuale di vivere più a lungo ma anche di organizzare in modo diverso la società.

swissinfo.ch: Come si presenterà questa umanità composta per lo più di persone anziane?

P.W.: Si lavorerà più a lungo, perché la gente ne avrà i mezzi e le possibilità fisiche. Le strutture famigliari cambieranno e la società sarà più centrata su aspetti pratici legati a una popolazione maggiormente dipendente. I marciapiedi saranno più larghi e i supporti tecnologici saranno destinati a una popolazione che invecchia. La società funzionerà secondo ritmi diversi, il mercato del lavoro impiegherà più persone anziane a tempo parziale. Il confort sarà maggiore, anche se bisognerà affrontare nuove sfide soprattutto nel settore delle assicurazioni sociali.

swissinfo.ch: È quindi ottimista sulle capacità dell’umanità di adattarsi a questa nuova realtà?

P.W.: Sì, sono piuttosto ottimista. La diminuzione delle nascite rispondeva anch’essa a una logica specifica, legata all’esodo rurale: allora non c’era più spazio per così tanti bambini nelle città. Lo stesso vale per l’invecchiamento della popolazione. È un’evoluzione sistemica, la società imparerà a funzionare diversamente, tenendo conto della presenza di individui mediamente più anziani.

Crescita. Dall’inizio del XX secolo, la popolazione svizzera è più che raddoppiata, passando dai 3,3 milioni del 1900 ai 7,8 milioni del 2009.
 
Nel 2009, la popolazione svizzera ha registrato un aumento di 83’950 individui, soprattutto a causa di una forte immigrazione. L’aumento dello 0,7% del numero di cittadini elvetici (6’071’802) è dovuto principalmente alle naturalizzazioni (43’440) e a una leggera crescita naturale (669).
 
Inversione. La piramide della popolazione si è profondamente modificata nel corso del XX secolo. La proporzione dei giovani (meno di 20 anni) è regredita dal 40,7% nel 1900 al 21% nel 2009. Quella degli anziani (oltre 64 anni) è salita dal 5,8% al 16,8%. L’aumento è stato particolarmente marcato per le persone della terza età (oltre 80 anni): dallo 0,5% al 4,8%.
 
Disuguaglianze. Le donne vivono più a lungo rispetto agli uomini. La loro speranza di vita si è però stabilizzata a 84,4 anni, mentre quella degli uomini è leggermente cresciuta (79,8).
 
Stabilizzazione. Dai 2,5 bambini per donna negli anni ’60, il tasso di fecondità è diminuito fino all’inizio degli anni 2000 (1,4). Negli ultimi anni è leggermente risalito (1,5) e, secondo le previsioni dell’Ufficio federale di statistica, dovrebbe stabilizzarsi entro il 2050.

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

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