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La Svizzera è un inferno per le tate

illustrazione di una ragazza seduta su una sedia, una tazza di caffé e un carrello della spesa
Birgit Lang

Tante giovani albanesi arrivano in Svizzera pensando di doversi occupare di adorabili bambini e bambine, nella speranza di guadagnarsi da vivere facendo un bel lavoro in un Paese sicuro. Invece finiscono nella morsa del traffico di esseri umani.

La nostra indagine è iniziata più di dieci mesi fa da un articolo apparso su un giornale regionale svizzero: una giovane albanese citava a processo i suoi ex datori di lavoro. La diciannovenne aveva lavorato illegalmente come tata per una coppia svizzera con tre figli, in condizioni di semi-schiavitù. Oltre a occuparsi dei bambini doveva fare il bucato, cucinare e pulire ventiquattr’ore su ventiquattro. La sua paga? 300 franchi al mese, botte incluse. Le avevano tolto il passaporto per evitare che scappasse, ma alla fine ci è riuscita lo stesso.

La coppia è stata giudicata colpevole di coercizione, reati contro la Legge federale sugli stranieri e la loro integrazioneCollegamento esterno e traffico di esseri umani. L’ultima condanna è particolarmente rara in Svizzera, dove i tribunali vedono una media di 80 casi del genere l’anno. Cerchiamo di saperne di più sulla giovane che, dopo vari tentativi, accetta di incontrarci.

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Conosciamo Lirije – come la chiameremo in questo reportage – nello studio del suo avvocato. Ha 23 anni e vive ancora nella città in cui ha sofferto tanto. Tornare in Albania non è un’opzione: “Ho il permesso di rimanere in Svizzera, per cui sto cercando un appartamento”, dice, sorridendo timidamente. Presto potrà iniziare un apprendistato.

Lirije ha un viso infantile, ma non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparenza: è più agguerrita di quanto sembri. Anche se spesso, quando parla della sua giovinezza, si guarda imbarazzata le mani.

Le Nazioni Unite definiscono la tratta di esseri umaniCollegamento esterno come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento o la ricezione di persone attraverso la forza, la frode o l’inganno, allo scopo di sfruttarle a scopo di lucro”. Uomini, donne e bambini di ogni età e provenienza possono diventare vittime di questo crimine, che è diffuso in ogni regione del mondo. I trafficanti spesso ricorrono alla violenza o ad agenzie di collocamento fraudolente e false promesse di istruzione e opportunità lavorative per ingannare e costringere le loro vittime a fare ciò che vogliono”.

La stragrande maggioranza dei trafficanti sono uominiCollegamento esterno. Le donne che contribuiscono a perpetrare questo crimine in genere ne sono state vittime a loro volta.

La fuga di Lirije dall’Albania

Lirije è cresciuta in una piccola cittadina rurale dell’Albania. Dopo essersi diplomata alla scuola locale, ha iniziato ad aiutare il padre nella sua attività e la madre nelle faccende domestiche. Nei fine settimana vedeva amici, amiche, cugini e cugine per un caffè o un succo di frutta fresco nella viuzza in cui si concentrava la vita notturna del luogo. Tutti sognavano una vita più emozionante, lontano dall’instabilità del villaggio.

La mancanza di prospettive è molto comune tra la gioventù albanese. L’economia deboleCollegamento esterno e la disillusione nei confronti della politica ogni anno spingono decine di migliaia di giovaniCollegamento esterno verso l’Europa occidentale, dove spesso finiscono per svolgere lavori mal retribuiti, in ambiti quali l’infermieristica, la ristorazione o i servizi per l’infanzia. In molti casi si tratta di lavori regolari ma, come abbiamo scoperto, non è sempre così, soprattutto per le tate.

Per la famiglia di Lirije, il futuro della figlia non era all’estero, ma con un marito. Quello che interessava a lei – un’istruzione, magari una carriera – ai suoi genitori importava ben poco. Così, a 18 anni si è trovata a sposare un uomo scelto dai familiari. “Non era cattivo, ma non lo amavo”, racconta.

Trovarsi intrappolata in un matrimonio senza amore, totalmente dipendente dal reddito del marito, la inquietava. È stato allora che ha sentito parlare della possibilità di fare la bambinaia all’estero: tre mesi di lavoro, soldi facili, vitto e alloggio inclusi.

Una prospettiva allettante. Lirije ha cercato “babysitter” e “Svizzera” su Instagram e in pochi clic ha trovato un profilo albanese pieno di annunci di lavoro, che promettevano un inserimento rapido nelle famiglie e un ottimo stipendio. Così ha elaborato un piano: scappare dall’Albania.

Non sapeva nulla della Svizzera, ma sperava di potervi ricevere un’istruzione, di trovare un appartamento tutto suo e un compagno da amare. Quel che non poteva immaginare era che il suo presunto biglietto per la libertà si sarebbe trasformato in un incubo, facendola cadere preda del traffico di esseri umani.

“La tratta di esseri umani è una forma moderna di schiavitù”, scrive l’Ufficio federale di polizia (fedpol) sul suo sito web. E Lirije ha il profilo ideale della tipica vittimaCollegamento esterno.

La finta agenzia di collocamento

La maggior parte delle donne sa che non si tratta di lavoro legale, afferma la giornalista Iris Luarasi, esperta di diritti delle donne in Albania. “Ma piuttosto che starsene a casa con le mani in mano, l’idea di lavorare come tata in Svizzera è piuttosto allettante”. In Albania è comune dover ricorrere al lavoro in nero per sbarcare il lunario, spiega. “Solo perché qualcosa non sembra del tutto legale, non è detto che [queste donne] si facciano scoraggiare o abbiano dei sospetti”.

illustrazione di una ragazza che serve da bere, una culla con un neonato e due poliziotti
Birgit Lang

Lirije è stata reclutata tramite i social media. Qualche minuto su Facebook e Instagram e troviamo quello che stavamo cercando: il nome della pagina è “Babysitter in Svizzera”, un tripudio di post con immagini di teneri bimbetti e bimbette, orsacchiotti e palloncini. Un annuncio cerca qualcuno che si prenda cura di due bambini a Soletta. Paga: 600 franchi al mese.

Gli account come questo sono decine, ognuno con migliaia di follower e nuovi post ogni giorno. Nessuna delle pagine da noi consultate è registrata come agenzia di collocamento professionale in Svizzera. Sotto i post, tanti commenti femminili: “Mi piacciono i bambini e ho qualche esperienza come babysitter. Dove posso candidarmi?”.

Ci rendiamo conto che Lirije non può essere l’unica vittima.

Cominciamo a chiedere in giro. Indaghiamo sui social media e tra i fascicoli dei tribunali. Nel giro di qualche mese riusciamo a rintracciare diverse donne che hanno avuto esperienze simili.

Alcune vogliono raccontarci la loro storia, ma hanno paura. A distanza di tempo, temono ancora possibili rappresaglie. La tratta di esseri umani è una complessa rete di dipendenze psicologiche, fisiche e finanziarie. Le vittime si vergognano di essere state ingannate e di ciò che hanno dovuto subire. Per questo abbiamo scelto di renderle anonime. Le loro storie hanno portato a galla il sistema utilizzato dai trafficanti di babysitter che operano in Svizzera.

Shpresa non sa niente

In un pomeriggio soleggiato a Tirana, capitale dell’Albania, incontriamo Klaudia per un caffè in riva al lago. Indossa un’elegante giacca di pelle con le maniche arrotolate e ci accoglie con un gran sorriso. “Mi piace venire qui quando lavoro da casa”, dice. Adesso fa un lavoro d’ufficio che le piace molto. Sette o otto anni fa, però, ha fatto la babysitter in Svizzera. Ed è stata fortunata. È l’unica donna che, nei tanti mesi delle nostre indagini, ha avuto qualcosa di buono da dire.

Dopo aver terminato gli studi a Tirana, era in attesa di trovare un lavoro che facesse per lei. Per puro caso ha visto l’annuncio di una famiglia nella regione dell’altopiano centrale. “Mi ha incuriosito, anche perché volevo andare un po’ all’estero. Ho risposto e due settimane dopo ero in partenza”. È rimasta in Svizzera tre mesi. “La famiglia mi ha portato in giro, mostrandomi il Paese”, ricorda. Si è trovata bene con la signora, tanto che spesso andavano a bere un caffè insieme o cucinavano piatti albanesi.

“Quello della ballerina è il classico lavoro di transizione verso il mercato del sesso”

Stephan Fuchs, Trafficking.ch

Oggi però non si lascerebbe più coinvolgere in una cosa del genere: “Anche se a quei tempi, con i soldi che ho guadagnato, ho potuto comprarmi un’auto”, specifica. Poi prende il cellulare e ci mostra le foto di una bambina. “Questa è la piccola. Non è carina?”.

La famiglia che ha ospitato Klaudia aveva pubblicato un annuncio privato. Negli ultimi anni, invece, le pagine sono diventate “professionali”, non appena si è capito che ci si poteva guadagnare su. All’inizio, alle donne interessate veniva chiesto di pagare una commissione, che la falsa agenzia dichiarava di usare per vagliare le famiglie. Oggi invece si chiede di pagare un anticipo per il viaggio, per i documenti e per i contratti. Anche nei traffici illeciti ci sono attività da subappaltare: la falsificazione dei passaporti, le guide lungo l’itinerario. Nel frattempo, spuntano anche annunci per cameriere e ballerine: “Posso portare donne bulgare”, si legge in un commento.

“Quello della ballerina è il classico lavoro di transizione verso il mercato del sesso”, dice Stephan Fuchs, il quale insieme a Thomas Roth gestisce Trafficking.ch, un’organizzazione che offre rifugio alle vittime. “Spesso, le aspiranti babysitter vengono costrette a prostituirsi”.

In Svizzera esistono diversi gruppi che fanno entrare delle donne nel Paese con la scusa di badare a bambini e bambine. Sembra che l’attività non sia ancora nelle mani di un’unica organizzazione mafiosa, cosa che nel mondo della criminalità organizzata costituisce il passo successivo.

Shpresa, però, non sapeva nulla di tutto questo. Veniamo a sapere di lei da una collega a cui avevamo accennato del nostro progetto: “Ciao, voi state indagando sul traffico di esseri umani che coinvolge le tate albanesi, vero? Oggi c’è una causa in tribunale che potrebbe interessarvi”, ci ha scritto una mattina su WhatsApp.

Perché Shpresa non può testimoniare in un tribunale svizzero? E cosa succederà ai responsabili della sua situazione? Scopritelo nel secondo episodio.

Questa inchiesta è apparsa per la prima volta sulla rivista svizzera “Beobachter”, grazie al sostegno di JournaFONDS e del fondo Real 21 media.

Una versione albanese è disponibile sulla piattaforma investigativa “Reporter.alCollegamento esterno“.

La versione tedesca è disponibile su “Beobachter.chCollegamento esterno“.

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