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Riforma LPP: è normale che un quesito referendario sia tanto complesso?

Due anzini mentre fanno esercizi di ginnastica a terra.
KEYSTONE/Christof Schuerpf

La riforma LPP, in votazione il 22 settembre, è più spinosa di quanto sembri. Che fare, quando l'elettorato è chiamato a giudicare questioni considerate complicate persino da chi se ne intende? Vademecum in sei punti.

La riforma della legge sulla previdenza professionale (LPP) è troppo complessa per il popolo? Non ha dubbi il Tages-AnzeigerCollegamento esterno: “La votazione, in tutta la sua complicata ambiguità, evidenzia i limiti della democrazia diretta. E finisce per indebolirla”, ha scritto il quotidiano zurighese, sotto il titolo “Un quesito da incubo”. Giudizio condiviso del portale WatsonCollegamento esterno, che chiosa: “Persino la terminologia specifica del settore mette in difficoltà un elettore o un’elettrice media”.

Perché la Svizzera pretende così tanto dall’elettorato? Ve lo spieghiamo in sei punti.

1. È necessario comprendere un quesito, per poterlo votare?

No. Il politologo Nenad Stojanović lancia una domanda retorica: “Pensate forse che quando sono chiamate a decidere su un progetto del genere, tutte le persone che ci rappresentano in Parlamento ne sappiano abbastanza sul tema?”. E fornisce la sua risposta: “È escluso”.

I e le parlamentari, dice Stojanović, seguono piuttosto le raccomandazioni delle commissioni, della frazione di cui fanno parte, o magari di una lobby. Pertanto, dice l’esperto, anche l’elettorato può fare lo stesso e affidarsi dunque alle raccomandazioni di voto. Non mancano certo le fonti di informazione per chi voglia saperne di più.



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La scienza politica li chiama shortcut, ovvero scorciatoie. “Significa andare a vedere cosa consigliano di votare i partiti, ma anche quale posizione prendano personalità pubbliche e i media”, spiega Stojanovic.

Aggiunge il sondaggista Urs Bieri di gfs.bern: “Persino nella vita quotidiana sono poche le decisioni che prendiamo con piena coscienza di causa”. Bieri si dice però fiducioso che “grazie a cent’anni di democrazia diretta, la Svizzera è organizzata in modo che l’elettorato è in grado di prendere decisioni fedeli ai propri principi persino su questioni estremamente complesse”.

2. Cosa rende il quesito referendario tanto complicato?

Per dirla con parole semplici: è il dossier, a essere complesso. E questo, per due ragioni.

La prima è che la previdenza professionale in Svizzera ha preso forma a tappe, nell’arco di decenni. La relativa Legge federale sulla previdenza professionale (LPP) tiene conto quindi di impulsi provenienti da epoche e fronti diversi.

In secondo luogo, l’ambito di applicazione della legge riguarda oltre mille istituti di previdenza, ognuno dei quali funziona a modo suo. Il risultato è un’accozzaglia di cifre che rende impossibile formulare osservazioni generali.

Si aggiunge infine un terzo fattore: si tratta di un referendum. Mentre le iniziative popolari tendono a portare alle urne proposte comprensibili, le cose funzionano diversamente con i referendum. Spesso, infatti, i referendum nascono dalla difficoltà di un gremio professionale legislativo del Parlamento a trovare una via d’uscita o raggiungere un compromesso. Ogni tanto il popolo è dunque chiamato a esprimersi su quesiti che erano troppo difficili da sciogliere persino per commissioni altamente specializzate dei due rami del Parlamento.

Martina Bircher.
Keystone / Alessandro Della Valle

3. Cosa dice chi ha preparato la riforma LPP?

I lavori per la riforma LPP sono considerati fra i più complicati portati avanti negli ultimi anni a Palazzo federale. Una battaglia andata avanti per un anno e mezzo.

“In questo caso, il Parlamento ha senz’altro fatto i compiti”, commenta la Consigliera nazionale dell’Unione democratica di centro (UDC) Martina Bircher, specializzata in politica sociale. Bircher ha partecipato ai lavori e spiega: “La LPP è costruita in questo modo. È impossibile semplificarla”. La riforma, secondo la parlamentare, comprende però tutti gli aspetti messi giustamente in discussione negli ultimi anni. Per questo, sostiene Bircher, il quesito rappresenta un buon compromesso.

Samira Marti.
Keystone / Alessandro Della Valle

La presidente del gruppo parlamentare socialista Samira Marti si colloca all’altro estremo dello spettro politico. Ma anche lei ritiene che “il quesito non sia di per sé particolarmente complicato. È la previdenza professionale ad esserlo”. Marti pensa che il secondo pilastro sia non per un caso divenuto oggetto di una sorta di “scienza oscura”, poiché in questa maniera banche e compagnie di assicurazioni possono difendere meglio i propri interessi. “Meno persone ci capiscono qualcosa, più un sistema si presta ad abusi di potere e imbrogli. E questo lo si vede anche nella riforma sulla quale siamo adesso chiamati a votare”. 

4. Il quesito sulla riforma della LPP è il più ostico della storia?

No, capita regolarmente che l’elettorato svizzero sia chiamato a esprimersi su quesiti estremamente complessi. Di solito si tratta di votazioni che riguardano la fiscalità, come di recente è stato il caso per le due riforme sull’imposizione delle imprese o per quella sulla riforma dell’imposta preventiva.

La riforma della LPP è tuttavia la più complessa, fra i temi che – in determinate circostanze – incidono direttamente sui portafogli dell’elettorato. Perché non avrà conseguenze solo sul sistema pensionistico, ma probabilmente anche sull’ammontare delle rendite. “La democrazia diretta ha una grande influenza sul nostro sistema previdenziale”, sottolinea Samira Marti, “è il settore che più di tutti è determinato dalle votazioni popolari”. Marti porta ad esempio il caso della tredicesima AVS, decisa alle urne nella scorsa primavera.

5. Andrebbe messo un limite alla complessità?

No, dice Nenad Stojanovic. “Non esiste una questione politica tanto complessa, da risultare incomprensibile per la cittadinanza”, sintetizza il ricercatore dell’Università di Ginevra. Stojanovic conosce bene la questione, essendo lo studio della democrazia la sua materia di specializzazione. Il docente ha dato vita a diversi “panel” di iniziativa cittadina, nei quali a un gruppo di persone estratte a sorte viene assegnato il compito di trovare soluzioni a problemi complessi. La sua esperienza: “Bastano un paio di fine settimana, ad un gruppo di persone assolutamente ordinarie, per arrivare a comprendere i punti salienti di questioni molto complesse e per elaborare argomentazioni comprensibili”. Questo genere di panel è un modello interessante, che potrebbe contribuire ad alleggerire il compito dell’elettorato.

Ma non sarebbe opportuno semplificare l’opera per chi è chiamato a votare? Le consigliere nazionali Samira Marti e Martina Bircher fanno entrambe parte sia della Commissione della sicurezza sociale, che di quella delle istituzioni politiche. Sarebbero, almeno in linea teorica, a favore di una semplificazione? La politica di destra Bircher: “No, non credo sarebbe saggio introdurre un limite alla complessità dei quesiti”. Da sinistra, Marti la vede nello stesso modo: “No, non sarei favorevole”.

6. Che succede, quando le cose si fanno troppo complicate?

Sostiene la scienza, che la specie umana abbia un debole per la semplificazione. E che si sia dotata degli strumenti del caso. Le scienze politiche le chiamano “parole chiave” e “slogan”. Suggerisce il sondaggista Urs Bieri: “Ci si può concentrare sulle parole chiave e far dipendere da quelle la propria decisione”. Ovvero: distillare aspetti specifici che siano particolarmente fastidiosi o che percepiamo al contrario positivamente, e farne la base del nostro processo decisionale.

Allo stesso modo ci si può appoggiare agli slogan, le già citate scorciatoie. Perché: “quando un partito arriva a sintetizzare i miei valori in una parola chiave, bene, questo mi mette in grado di prendere una decisione”, spiega Bieri.

Nel caso della riforma LPP, un esempio di un’indicazione di questo genere si ritrova nella formula proposta da chi si oppone alla riforma: “Pagare di più per ricevere di meno”. Commenta l’UDC Martina Bircher, che propone di votare no al quesito, che in questi casi alla fine non contano tanto i contenuti, quanto il marketing.

Un ciclista guarda manifesti elettorali.
Keystone / Peter Klaunzer

Ma: “Le cose si fanno complicate quando ci ritroviamo in una totale cacofonia”, lancia Urs Bieri. E con questo intende: quando troppi comitati, ognuno con un messaggio diverso, si affacciano sulla scena pubblica, ai quali si aggiungono studi contradditori, pareri differenti all’interno di uno stesso partito, e organi di informazione che abdicano di fronte alla complessità. “Se troppe scorciatoie per me significative si rivelano un buco nell’acqua, come elettore finisco per gettare la spugna e non mi sento coinvolto dal problema”, conclude Bieri.

7. . Quali sono gli effetti della complessità alle urne?

Il problema è che l’elettorato è fatto di persone in carne ed ossa, che pertanto cercano di evitare la complessità. “Se chi è chiamato a votare non comprende quale sia il problema, il quesito è quasi sempre destinato alla disfatta alle urne”, spiega il politologo Urs Bieri. Perché in tali condizioni, tendiamo a rimanere ancorati allo status quo e dunque, votiamo No. In alcuni casi, poi, l’eccessiva pretesa può portare ad astenersi, e dunque produrre come risultato che partecipi al voto un numero minore di persone.

Nel caso della riforma LPP, un ulteriore aspetto gioca un ruolo non indifferente. Si tratta di un cosiddetto “quesito posto dalle autorità” – formulato dal Parlamento e accompagnato dalla raccomandazione dell’esecutivo. Una costellazione che la maggioranza in Svizzera tende, secondo Bieri, a percepire come una sorta di marchio di qualità.

A prescindere da slogan, argomentazioni e contenuti il pendolo allora può finire per spostarsi sia nell’una, che nell’altra direzione. La cittadinanza si fida delle autorità e allora vota Si. Oppure respinge l’eccessiva complessità al mittente, e vota No.

A cura di Samuel Jaberg

Traduzione dal tedesco di Serena Tinari

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