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“L’inflazione spinge le famiglie a basso reddito verso la precarietà”

La povertà è sempre più visibile nella ricca Svizzera. Le testimonianze di famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese si moltiplicano in questo periodo di aumenti generalizzati dei prezzi. Una situazione che fatica però a riflettersi nelle statistiche, come spiegano nel nostro dibattito Let's talk la direttrice dell'Osservatorio delle precarietà, Emilie Rosenstein, e il direttore di Pro Familia, Philippe Gnaegi.

“I dati per valutare la povertà e la precarietà in Svizzera sono lacunosi”, deplora Emilie Rosenstein, direttrice del nuovo Osservatorio sulla precarietà presso la Scuola professionale universitaria di lavoro sociale e della sanità di Losanna (HETSL). Accoglie quindi con favore l’istituzione da parte della Confederazione di un monitoraggio nazionale della povertà, che dovrebbe contribuire a colmare questa lacuna in futuro. “Le statistiche attuali ci mostrano solo delle istantanee della povertà. Ma non ci dicono quali persone si trovano in dinamiche sistematiche di precarizzazione”, afferma la professoressa dell’HETSL.

Secondo l’ultimo rapportoCollegamento esterno dell’Ufficio federale di statistica (UST), l’8,7% della popolazione svizzera vive al di sotto della soglia di povertà. Si tratta di circa 745’000 persone. Questo tasso è stato poco influenzato dalla pandemia di coronavirus, poiché era dell’8,5% nel 2020 e dell’8,7% nel 2019. In un comunicato stampa, l’UST si rallegra del fatto che la Svizzera “ha un tenore di vita più elevato rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea”.

Emilie Rosenstein è però meno ottimista: “Possiamo rallegrarci del fatto che i dati sulla povertà non siano esplosi dopo la pandemia. Tuttavia, c’è un lento aumento che non si riflette ancora nelle statistiche”. In particolare, sottolinea che i dati non evidenziano le crescenti disuguaglianze tra i redditi più bassi e quelli più alti, “un fenomeno problematico a lungo termine”.

Le famiglie svizzere soffrono

Il primo Barometro delle famiglieCollegamento esterno, pubblicato in aprile dall’associazione Pro Familia Svizzera e da Pax, una compagnia di assicurazione pensionistica rivolta alle famiglie, rivela un quadro meno roseo. il 41% delle famiglie svizzere ha appena il necessario per soddisfare le proprie esigenze e il 28% non riesce a risparmiare nulla alla fine del mese. Più della metà dichiara inoltre di aver già rinunciato a cure mediche o terapeutiche per motivi finanziari. “L’aumento del prezzo dei beni di prima necessità colpisce in particolare le famiglie a basso reddito, che sono spinte verso la precarietà”, commenta il direttore di Pro Familia, Philippe Gnaegi.

Questa tendenza si riflette anche nell’andamento dei salari reali svizzeri, che tra il 2021 e il 2022 sono diminuiti di quasi il 2%, secondo l’UST. Anche se i salari nominali sono leggermente aumentati, l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici. Anche in questo caso, le cifre non fanno piena luce sulle difficoltà delle famiglie, afferma Philippe Gnaegi, poiché non tengono conto dei premi dell’assicurazione sanitaria, in continuo aumento.

Certo, l’inflazione è più bassa in Svizzera (2,8%) rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania (7,9%) o il Regno Unito (oltre il 10%). “Forse abbiamo meno di cui lamentarci rispetto agli altri, ma dobbiamo fare attenzione quando facciamo dei paragoni”, sottolinea Emilie Rosenstein. L’esperta rammenta che quando i redditi disponibili iniziano a diminuire, sono soprattutto le persone con i redditi più bassi a subirne le conseguenze.

Azione preventiva

La direttrice dell’Osservatorio delle precarietà ritiene che lo Stato non debba limitarsi ad aiutare le persone indigenti, ma debba anche agire preventivamente per aiutare la classe media inferiore che fatica a sbarcare il lunario, prima che scivoli nella povertà.

“La politica familiare è il parente povero del nostro sistema sociale”, critica Philippe Gnaegi. Il direttore di Pro Familia raccomanda di estendere le prestazioni complementari per le famiglie, già in vigore in quattro cantoni. Si tratta di una forma di sostegno finanziario destinato alle famiglie che lavorano e che non sono in grado di coprire i bisogni primari dell’economia domestica, tra cui le spese di malattia.

Occorre inoltre adottare misure per conciliare meglio vita privata e lavoro, sostiene Philippe Gnaegi, sottolineando che in Svizzera sei donne su dieci lavorano a tempo parziale, un tasso che non si ritrova quasi da nessuna parte in Europa. “Dobbiamo creare più strutture per la custodia dei bambini, contenere i loro costi e garantire la qualità dell’assistenza”, afferma.

Per questo motivo, ritiene che la legge relativa alla custodia dei bambini approvata dal Consiglio nazionale (camera bassa del Parlamento) nel mese di marzo sia un passo nella giusta direzione. Essa prevede la concessione di aiuti per ogni bambino accudito da terzi dalla nascita alla fine della scuola primaria.

Il grattacapo dei costi sanitari

“Ci sono due voci che pesano molto sui bilanci familiari: l’affitto e l’assicurazione sanitaria. Sono le principali cause di indebitamento”, analizza Emilie Rosenstein. L’esperta osserva che oggi quasi un terzo dei costi sanitari è a carico dei singoli individui. “Questa situazione è problematica, perché il tasso è quasi doppio rispetto alla media dei Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e continuerà a crescere”, afferma.

Philippe Gnaegi sostiene la necessità di limitare i premi dell’assicurazione sanitaria al 10% del reddito familiare. Un sistema del genere è già in vigore nel Cantone di Vaud. Il Partito socialista ha depositato un’iniziativa per estendere questo sistema a tutto il Paese. Per il momento, tuttavia, né il Governo né il Parlamento sono convinti dell’iniziativa e vorrebbero formulare una controproposta.

Secondo Emilie Rosenstein, si dovrebbe anche affrontare il problema del mancato utilizzo delle prestazioni sociali. Molte persone che avrebbero diritto a prestazioni complementari all’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS) o all’Assicurazione invalidità (AI) non le richiedono, spesso perché non hanno familiarità con il sistema. “Dobbiamo indirizzare queste persone verso le soluzioni esistenti”, afferma Rosenstein.

L’espatrio come ultima spiaggia?

Quando raggiungono l’età della pensione, sempre più svizzeri e svizzere scelgono di trasferirsi all’estero. Le persone di oltre 65 anni rappresentano circa il 10% di tutte coloro che hanno deciso di emigrare. Anche se le ragioni per cui emigrano non sono ben note, molti lo fanno per motivi finanziari, come abbiamo raccontato in questo articolo.

“Con il nostro sistema pensionistico, che si basa molto sulla previdenza individuale, alcune persone si trovano in situazioni difficili dopo aver lavorato tutta la vita”, spiega Emilie Rosenstein. “L’espatrio può quindi essere un modo per preservare una forma di dignità ed evitare di dover chiedere degli aiuti”, afferma.

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