Il 2000 anno cruciale per la politica di integrazione degli stranieri
L’integrazione degli immigrati deve diventare un obiettivo prioritario delle autorità, perché la Svizzera è diventata un paese d'immigrazione. È quanto scrive la Commissione federale degli stranieri nel suo ultimo rapporto.
I principi di fondo della politica di integrazione sono ancorati in un rapporto presentato lunedì a Berna dalla Commissione federale degli stranieri (CFS). Nonostante le autorità continuino a ripetere che la Svizzera non è un paese d’immigrazione nel documento intitolato «L’integrazione dei migranti in Svizzera» si sostiene che lo sia divenuto de facto. La maggioranza degli immigrati sono oggi divenuti parte integrante della società e dell’economia, trasformando l’integrazione in un problema che riguarda tutti.
Secondo la CFS l’uguaglianza delle opportunità, la partecipazione e la sicurezza del permesso di soggiorno rappresentano le forze motrici di una politica di integrazione. Ma questa si fonda anche sul principio di aiutare l’immigrato affinchè questi possa essere in grado di aiutarsi da solo. A proposito delle misure da adottare per migliorare l’integrazione, la nuova presidente della commissione, Rosemarie Simmen (nella foto, durante la conferenza stampa), ha sottolineato l’importanza che riveste l’apprendimento delle lingue nazionali, nonché la formazione scolastica e professionale.
Il vicepresidente della CFS, Walter Schmid, ha dal canto suo ribadito che il 2000 è un anno centrale per la politica d’integrazione. Il prossimo 12 maggio è infatti in programma la votazione sugli accordi bilaterali con l’Unione Europea, con il delicato dossier sulla libera circolazione delle persone, mentre probabilmente a novembre si andrà a votare sull’iniziativa popolare «Per una regolamentazione dell’immigrazione». Iniziativa che si prefigge di limitare il numero di stranieri residenti al 18 percento della popolazione. Inoltre è in programma la revisione della Legge federale sugli stranieri, attualmente in procedura di consultazione, mentre tra i vari progetti legislativi in fase di preparazione spicca quello sulla naturalizzazione dei giovani stranieri.
Un anno importante cominciato però nel peggiore dei modi. Dopo che lo scorso gennaio l’allora presidente della commissione Fulvio Caccia ed altri 14 membri hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro la decisione di trasferirla alle dipendenze dell’Ufficio federale degli stranieri, ufficio che ha compiti di polizia, la CFS dovrà lavorare con solo la metà dei suoi 27 collaboratori. Visto che il loro mandato scade a fine anno non sono infatti previste nuove nomine. Problemi di effettivi ai quali si aggiungono problemi di bilancio. Dal prossimo anno la CFS sarà infatti abilitata a finanziare dei progetti destinati a promuovere l’integrazione ma, come denunciato ancora da Walter Schmid, difficilmente sarà possibile raggiungere gli obiettivi prefissati della politica di integrazione con un budget che lo scorso gennaio è stato portato da 15 a soli 5 milioni di franchi.
La ministra di giustizia e polizia Ruth Metzler aveva giustificato questa drastica riduzione dei sussidi federali con una popolazione svizzera sempre meno disponibile e tollerante nei confronti degli stranieri. Se l’analisi è corretta tale riduzione rappresenta probabilmente una risposta inadeguata, una concessione agli umori di un elettorato che crede di poter risolvere il problema dell’integrazione degli stranieri con misure di polizia.
Stefano Castagno
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