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“Con questa riforma, la Svizzera si sottrae alle proprie responsabilità”

Fabian Molina
Fabian Molina è membro del Partito socialista svizzero ed è deputato del Consiglio nazionale (camera bassa del Parlamento) dal 2018. Keystone / Alessandro Della Valle

Un no all'imposizione minima dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico permetterebbe di elaborare un progetto di legge più equo. È quanto sostiene chi si oppone all'oggetto in votazione il 18 giugno. Fabian Molina, consigliere nazionale socialista, illustra gli argomenti contrari al progetto dell'OCSE.

SWI swissinfo.ch: L’OCSE tassa le multinazionali e la Svizzera adotta gli standard internazionali. Come membro del Partito socialista dovrebbe essere contento. Cosa non le va?

Fabian Molina: Il fatto che ci si sia accordati internazionalmente su un’imposizione minima è un successo. Il problema è che l’applicazione della riforma dell’OCSE da parte della Svizzera favorisce di nuovo alcune poche grandi imprese.

Cosa intende esattamente?

Con l’ultima riforma fiscale, la Svizzera ha creato delle scappatoie, tra cui ricordo il cosiddetto step up, introdotto nel 2019, che permette le riserve occulte e un’imposizione minore degli utili. L’altra è il principio dell’apporto di capitale, entrato in vigore nel 2011, che dà la possibilità all’impresa di distribuire esentasse gli utili a chi detiene azioni. Stando alle stime, tra il 2011 e il 2018 questo strumento è costato allo Stato tra 3,6 e 4,8 miliardi di franchi. L’imposizione minima dell’OCSE non elimina queste scappatoie fiscali. Se le grandi imprese devono pagare più imposte, compenseranno le maggiori uscite con questi due strumenti.

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Le entrate fiscali supplementari ammonterebbero a un miliardo di franchi.

È solo una stima. Sappiamo però che buona parte di queste entrate andrebbero a favore dei Cantoni di Zugo e Basilea-Città. Il Canton Zugo ha già indicato che impiegherà questi soldi per ridurre le imposte delle persone più abbienti. Anche le imprese approfittano delle cosiddette promozioni volte a migliorare l’attrattiva dei Cantoni. Ma l’aspetto più preoccupante è che si registrerà un aumento della concorrenza tra i Cantoni dove le multinazionali hanno la loro sede. Sono quei Cantoni che approfittano maggiormente delle ulteriori entrate fiscali. È assolutamente ingiusto se sono soltanto due Cantoni a beneficiare del nuovo regime fiscale.

Ma almeno i soldi rimangono in Svizzera. Non è ciò che vuole la sinistra?

Le entrate devono essere distribuite alla popolazione e ai Paesi dove vengono generate. Di solito, le imprese interessate hanno solo la loro sede in Svizzera, ma non generano i loro redditi qui. Sono multinazionali del settore delle materie prime che spostano i loro profitti dal Sud globale verso la Confederazione. Questo stato di cose non viene cambiato. È stata creata un’aliquota del 15%, una base però troppo bassa.

immagine che illustra la distribuzione delle entrate fiscali supplementari
Kai Reusser / swissinfo.ch

Durante il dibattito in Parlamento si è battuto affinché una parte dei profitti ritornasse nei Paesi del Sud globale. È un obiettivo che perseguirà ancora se l’elettorato dovesse respingere l’imposizione minima dell’OCSE?

Certo. Come ho ricordato, non siamo contrari al fatto che la Confederazione si adegui agli standard dell’OCSE. Ci battiamo per un’imposizione minima uguale a livello globale. Ma vogliamo anche che ci sia giustizia tra il Sud e il Nord del pianeta. L’applicazione attuale manca però questi obiettivi.

Quali aspetti modificherebbe nel caso in cui l’oggetto venisse respinto alle urne?

Prima di tutto vanno eliminate le scappatoie fiscali. Non può più succedere che le imprese paghino meno imposte grazie a strumenti che mettiamo loro a disposizione. Inoltre, le entrate supplementari vanno ripartite in maniera equa in Svizzera. Ciò significa che la percentuale spettante alla Confederazione va decisamente aumentata. E infine, una parte della quota nazionale deve essere devoluta al Sud globale.

Un “no” alle urne metterebbe però in difficoltà la Svizzera e la isolerebbe a livello internazionale. Ce lo possiamo permettere?

Stando allo scadenzario attuale, la Svizzera avrebbe almeno ancora un anno di tempo per approvare l’imposizione minima dell’OCSE. Inoltre, la Confederazione non soddisferebbe i principi di conformità internazionali. Ma già oggi fa solo il minimo richiestole. Con l’attuale applicazione, la Svizzera non rispetta lo spirito della riforma che persegue la giustizia fiscale internazionale.

E poi la Svizzera si è già comportata in maniera poco solidale. Insieme ad altri Stati, quali Lussemburgo o Irlanda, si è adoperata affinché l’aliquota dell’OCSE fosse fissata al 15%. All’inizio si parlava di un’imposizione minima del 21%. E ora, con un’applicazione insufficiente, la Svizzera vuole far credere di rispettare gli standard internazionali. In questo modo tenta di conservare il suo marchio distintivo: la più bassa imposizione fiscale delle imprese a livello internazionale.

Quale sarebbe un’aliquota fiscale equa?

Dovrebbe essere almeno del 30% o superiore.

La strategia fiscale volta ad attirare imprese internazionali in Svizzera ha però promosso il benessere e la giustizia sociale. Non è forse così?

A lungo, la Svizzera ha puntato su pratiche commerciali immorali. Prima sul segreto bancario, che è stato abbandonato quando non funzionava più. Per attirare capitali ci si è affidati poi all’imposizione fiscale e a leggi lassiste che permettevano il riciclaggio di denaro sporco. La guerra in Ucraina ha rilevato quanto denaro sporco dell’oligarchia russa è depositato nelle banche elvetiche. Questo atteggiamento non viene più tollerato a livello internazionale. È in favore della giustizia globale che la Svizzera deve cambiare le sue pratiche, ma è anche un modo di agire lungimirante.

Traduzione di Luca Beti

Monika Rühl, direttrice di economiesuisse, ci spiega perché è favorevole all’imposizione minima dell’OCSE:

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