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L’Ue propone adattamenti a Schengen

La commissaria europea Cecilia Malmström si batte per «una politica comune forte in materia di asilo e migrazione». Keystone

Parigi e Roma reclamano delle riforme per «rendere ai cittadini la fiducia nella libera circolazione». La Commissione europea propone una deroga che consentirebbe di ristabilire «controlli limitati» alle frontiere. Ma aggiunge: è solo per «casi eccezionali».

La Commissione europea vuole una «migliore gestione della migrazione». Per raggiungere l’obiettivo ha elaborato una serie di proposte che ha presentato il 4 maggio 2011. I destinatari sono i ministri degli interni dei paesi UE e degli altri tre stati che hanno aderito all’accordo di Schengen: Svizzera, Norvegia e Islanda.

Molte di queste proposte non sono nuove; si tratta in effetti di una riedizione di vecchie iniziative, iniziative che fino a ieri non hanno riscosso molto successo nelle capitali europee. Nel frattempo, però, qualche cosa è cambiato: Parigi e Roma hanno avuto violenti scambi d’opinione in merito ai 25’000 tunisini entrati nello spazio Schengen attraverso l’Italia con la speranza di raggiungere la Francia.

Misure temporanee

Inizialmente scettica, la Commissione europea ha infine accettato di proporre ai 25 paesi dell’accordo di Schengen la possibilità di reintrodurre i controlli alle loro frontiere «in circostanze particolarmente eccezionali», come – per esempio – in caso di «una forte e inattesa pressione alle frontiere esterne dello spazio Schengen». In sostanza, è quello che fa la Francia presidiando la frontiera a Ventimiglia per gestire quello che ritiene un afflusso massiccio di migranti provenienti dal Mediterraneo.

Così com’è ora, il trattato di Schengen prevede la reintroduzione dei controlli solo in caso di minacce gravi all’ordine pubblico. La Commissione propone di aggiungere altre due eventualità: incapacità di un paese con frontiere esterne di garantire i controlli, e pressione migratoria pesante e improvvisa su un determinato punto del confine europeo.

Cecilia Malmström, la commissaria responsabile del dossier, ha però tenuto a precisare che «queste misure devono essere temporanee e geograficamente limitate».

Non cambiare le regole

Questi adattamenti implicano che gli stati membri trovino un accordo sulla definizione dei criteri. Oggi è la Commissione europea che esamina le domande di reintroduzione dei controlli alle frontiere interne. Nella decina di casi sui quali si è espressa, ha sempre dato luce verde. In futuro avrà il compito di esprimersi anche in merito alle due nuove possibilità di deroga al principio della libera circolazione? La Commissione, invocando la sua imparzialità, si augura di sì. Ma non è detto che questa soluzione piaccia a tutti.

Se così non fosse – sostiene la Commissione – sarà necessaria una modifica giuridica degli articoli dell’accordo. «Per fare ciò è necessario chiedere il parere del parlamento europeo e il parlamento sarà più severo di noi. Questo non è nell’interesse dei paesi membri».

Il presidente del gruppo liberale, l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, ha già lanciato un avvertimento: «La risposta ai flussi migratori non risiede nel cambiamento delle regole di Schengen. In nome della trasparenza e della responsabilità, la Commissione e il parlamento europei devono essere consultati per tutto quanto concerne l’ordine pubblico». Per Verhofstadt, si rischia di «aprire un vaso di Pandora e smantellare la libera circolazione».

Aiutare i paesi in difficoltà

Degli adattamenti sono in ogni caso necessari, se non si vuole che Schengen diventi vittima delle difficoltà di alcuni dei suoi membri. La Grecia, per esempio, fa molta fatica a controllare da sola il suo vasto confine marittimo con la Turchia. La Commissione ritiene che vada aiutata aumentando i fondi a disposizione di Frontex. Attualmente l’agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli stati membri dell’UE ha un budget annuale di 90 milioni di euro. Ne servirebbero una ventina in più.

Un’altra pista potrebbe essere la creazione di un sistema di guardie di confine europee. «L’obiettivo», fa notare la Commissione, «non è quello di ritrovarsi di volta in volta con tre guardie svizzere e dieci polacche che non parlano la stessa lingua, ma di lavorare alla creazione di una cultura comune». Il problema è che diversi paesi, soprattutto nel nord dell’Europa, fanno resistenza.

La Commissione però insiste: «Cederemo sulle frontiere interne soltanto se otterremo più mezzi per controllare quelle esterne». Per Cecilia Malmström, che se la prende con il populismo di casa in Europa, «la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere europee è un risultato importante che non deve essere rovesciato, ma rafforzato».  

Le proposte della Commissione per rendere più efficace il sistema Schengen saranno discusse dai ministri dell’interno dei 25 paesi che aderiscono al trattato. La Svizzera avrà la possibilità di esprimere la sua opinione, ma non voterà. La decisione finale spetta ai dirigenti dell’Unione europea, che si esprimeranno a fine giugno.

Nel mese di aprile 2011 sono state presentate 1’495 domande d’asilo (- 20% rispetto a marzo).

Il maggior numero di richieste è stato depositato da persone provenienti dall’Eritrea (376). Ciò si spiega con il perdurare della situazione politica nel Paese e con i ricongiungimenti familiari cui dà diritto la legge sull’asilo.

La Tunisia è al secondo posto, con 165 domande. Si tratta di una cifra stabile rispetto a marzo (165 domande). In generale, il numero di domande di persone provenienti dal Nord Africa e dal Vicino Oriente rimane a un livello basso.

Al terzo posto la Macedonia (127), al quarto la Nigeria (97).

Modificare il trattato. Il 26 aprile a Roma, in occasione del 29esimo vertice franco-italiano, Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi hanno dichiarato di auspicare «modifiche» all’accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone.

Rifugiati tunisini. La volontà di modificare il trattato così da rendere possibili – in determinati casi – dei controlli alle frontiere interne è una conseguenza dell’arrivo in Italia di migliaia di migranti tunisini. Parigi contesta la decisione di Roma di concedere a 20’000 persone sbarcate a Lampedusa un permesso di soggiorno della durata di sei mesi. La maggior parte di queste persone è intenzionata a lasciare l’Italia e raggiungere la Francia. 

Rifugiati dalla Libia. 25’000 tunisini hanno lasciato il loro paese dopo il 14 gennaio, data in cui l’ex presidente Ben Ali ha perso il potere. Dal canto suo, la Tunisia sta affrontando l’arrivo di profughi dalla Libia. Stando all’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite, nel solo fine settimana del primo maggio 8000 libici hanno varcato il confine al sud della Tunisia.

Traduzione dal francese, Doris Lucini

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