No a un divieto di finanziamento dei produttori di materiale bellico
La Banca nazionale svizzera e le casse pensioni devono poter continuare a investire in imprese che producono materiale bellico, sostiene il Consiglio nazionale. La maggioranza dei deputati raccomanda al popolo di respingere l'iniziativa popolare "Per un divieto di finanziamento dei produttori di materiale bellico".
La legge attuale è sufficiente per controllare gli investimenti nel commercio di materiale bellico. Questo è in ogni caso il parere della maggioranza della Camera del popolo, che ha pure rifiutato di elaborare un controprogetto all’iniziativa, come richiesto da alcuni deputati per rafforzare il divieto di finanziamento indiretto di armi vietate e aumentare la trasparenza.
Lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSoA) e dai Giovani verdi, l’iniziativa popolare propone d’introdurre un nuovo articolo nella Costituzione federale per vietare alla Banca nazionale svizzera (BNS), alle fondazioni e alle casse pensioni di finanziare i produttori di materiale bellico. In pratica non potrebbero più concedere prestiti o donazioni e neppure acquistare titoli o prodotti finanziari legati a società che generano oltre il 5% del loro fatturato annuo tramite la produzione di materiale bellico.
“La BNS applica già oggi criteri d’investimento molto severi”, Maja Riniker, deputata del Partito liberale radicale (PLR)
Denaro o morale?
Il dibattito ha visto opporsi sinistra e destra, con una parte che difende valori etici e l’altra che sostiene la piazza economica svizzera. “La BNS applica già oggi criteri d’investimento molto severi”, ha dichiarato Maja Riniker, deputata del Partito liberale radicale (PLR), ricordando che il suo partito rifiuta qualsiasi interferenza politica negli affari della banca centrale. A suo avviso, questa iniziativa “nuocerebbe anche a molte piccole e medie imprese che producono strumenti di precisione o vetri per parti di armamenti”.
Secondo i politici di destra, gli istituti di previdenza avrebbero difficoltà a fare investimenti sicuri e diversificati, ciò che porterebbe a rendimenti inferiori sui fondi da loro gestiti. “La Svizzera ha bisogno di competenze nella produzione di materiale bellico”, ha inoltre dichiarato Mauro Tuena, deputato dell’Unione democratica di centro (destra conservatrice). “Altrimenti dipenderà dall’estero per rifornire il suo esercito e non sarà più in grado di adempiere ai suoi obblighi di neutralità”.
Altri sviluppi
Che il popolo dica a chi vendere le armi
Da parte loro, i parlamentari di sinistra hanno sottolineato che la piazza finanziaria svizzera, tra le più importanti al mondo, può dare il buon esempio, riorientando i propri investimenti verso altri settori. Alcuni deputati hanno messo in evidenza le contraddizioni della Svizzera, che promuove la pace nel mondo e nel contempo vende armi e finanzia i produttori di materiale bellico.
“Sono in gioco la credibilità e l’immagine del nostro paese”, ha sottolineato Pierre-Alain Fridez, consigliere nazionale del Partito socialista (PS). “La politica dei buoni uffici, l’ospitalità offerta a organismi internazionali, l’organizzazione di conferenze e colloqui di pace rappresentano un marchio di fabbrica della Svizzera, in cui prevalgono i valori etici. Dobbiamo quindi compiere questo passo, affinché la Svizzera sia più in sintonia con i propri valori”.
Limiti della legge vigente
La legge svizzera esclude il finanziamento diretto di materiale bellico vietato: armi nucleari, biologiche e chimiche, mine antiuomo e munizioni a grappolo. Essa vieta anche il finanziamento indiretto, ma solo se l’obiettivo è quello di aggirare il divieto di finanziamento diretto.
“Sono in gioco la credibilità e l’immagine del nostro Paese”, Pierre-Alain Fridez, consigliere nazionale del Partito socialista (PS).
Alcuni parlamentari di sinistra hanno evidenziato l’inadeguatezza di questa legislazione, citando i dati dell’Ong olandese PAX. Nell’ambito del suo progetto “Don’t bank on the bomb”, PAX rivela che il Credit Suisse, UBS e la BNS hanno investito quasi 9 miliardi di dollari tra il 2017 e il 2019 in aziende che producono armi nucleari, tra cui Boeing, Airbus, Honeywell e Lockheed Martin.
“C’è una confusione tra materiale bellico proibito e non proibito”, ha reagito il consigliere federale dell’economia Guy Parmelin. Egli ha sottolineato che la legge svizzera vieta il finanziamento di alcune armi, mentre l’iniziativa vuole estendere il campo d’applicazione a tutto il materiale bellico.
“Le affermazioni di Don ‘t Bank the Bomb’ non ci permettono di dire che la legge non funziona, perché non tengono conto del fatto che alcuni conglomerati come Airbus o Boeing producono anche prodotti civili”, ha dichiarato il ministro dell’economia Guy Parmelin. “La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha effettuato una verifica nel 2018 e ha concluso che le banche avevano regole efficaci per garantire il rispetto della legislazione in vigore”.
Convinta dalle argomentazioni del governo, la maggioranza della Camera del popolo non ha voluto proporre un controprogetto per rafforzare la legge attuale. La questione passa ora al Consiglio degli Stati. Il popolo avrà senza dubbio l’ultima parola.
Esplosione delle esportazioni di materiale bellico
Nel 2019, le esportazioni di materiale bellico delle imprese svizzere sono aumentate del 43% rispetto all’anno precedente. Le vendite sono state realizzate in 71 paesi per un totale di 728 milioni di franchi.
Secondo la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), questo aumento è dovuto principalmente a importanti transazioni con tre Paesi: la consegna di veicoli corazzati su ruote alla Danimarca (150 milioni di franchi) e alla Romania (111 milioni di franchi) e la vendita di sistemi di difesa aerea in Bangladesh (55 milioni di franchi). Le esportazioni di armi rappresentano solo lo 0,23% del totale delle esportazioni di merci.
Amnesty International critica il fatto che la Svizzera continui a fornire armi a Stati che si trovano in zone di conflitto o che violano sistematicamente i diritti umani, come il Bangladesh, il Pakistan, gli Emirati Arabi Uniti e altri Stati del Golfo.
Traduzione di Armando Mombelli
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