Lukas Weber: “Mi considero un costruttore di ponti”

Lukas Weber è il nuovo direttore dell'Organizzazione degli svizzeri all'estero (OSE). Nella sua prima intervista con un media, il basilese parla delle sfide che lo attendono e di come intende conciliare le convinzioni personali con il suo nuovo ruolo.
Il Consiglio degli svizzeri all’estero, il cosiddetto “Parlamento” della Quinta Svizzera, si è riunito venerdì 21 marzo a Berna. Il giorno prima, una sessantina di delegate e delegati provenienti da tutto il mondo hanno partecipato, a Palazzo federale, a un seminario sul potenziale inutilizzato della diaspora.
Era presente anche Lukas Weber. È in questo contesto che swissinfo.ch ha potuto incontrare colui che assumerà la carica di direttore dell’OSE a partire da metà aprile, subentrando ad Ariane Rustichelli.
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swissinfo.ch: Lukas Weber, cosa l’ha spinta a candidarsi per questa posizione?
Lukas Weber: La funzione di direttore dell’OSE riunisce molti degli aspetti che mi appassionano nel lavoro, come lo sviluppo di una cultura e la creazione di una visione. L’ampia gamma di compiti e le dimensioni ragionevoli del team mi hanno convinto dell’interesse di questa posizione. Mi piace l’idea di poter lavorare per un’organizzazione che riunisce degli svizzeri e delle svizzere e cerca di trovare dei denominatori comuni.
Qual è la sua visione per l’OSE?
È ancora troppo presto per dirlo. Per il momento, mi sto immergendo nell’atmosfera, leggo molto e incontro molte persone. Nei prossimi mesi, vorrei riflettere a come far progredire l’OSE.
Quali sono le sfide che l’organizzazione dovrà affrontare?
Riunire gli svizzeri e le svizzere all’estero e difendere i loro interessi è un compito che rimane sempre attuale. Credo che l’OSE possa sostenerli rafforzando la sua presenza sui social network e utilizzando le nuove tecnologie per rispondere in modo più efficace alle loro esigenze.

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Ha esperienza come svizzero all’estero o ha un qualche legame con questa comunità?
Ho trascorso un anno in California durante i miei studi nel campo dell’energia.
Sono rimasto colpito dal patriottismo americano, che mi ha toccato profondamente. L’ho vissuto molto da vicino, perché il mio primo giorno di lavoro è stato l’11 settembre 2001. Ho visto come gli americani si sono riuniti e hanno trovato punti in comune.
Come ha vissuto questa esperienza di espatriato?
La distanza mi ha permesso di guardare il mio Paese e l’Europa con occhi nuovi. All’epoca, credevo che i Paesi europei fossero molto diversi tra loro. Tuttavia, parlando con altri espatriati europei negli Stati Uniti, ho scoperto che in realtà avevamo molto in comune.
Negli Stati Uniti, la rete sociale è meno fitta e le persone sono più aperte. Il controllo sociale è meno importante lì che in Svizzera. Per rendersene conto, è necessario prendere le distanze.
Nel 2017, ha lanciato un referendum contro la legge sull’energia voluta dal Governo svizzero. È anche il presidente del gruppo di lavoro “Cristiani ed energia”. Come pensa di conciliare la sua nuova funzione con i suoi affermati valori cristiani e politici?
Nell’ambito del referendum, sono riuscito a fare aderire alla nostra causa diversi partiti politici. Per fare questo, ho dovuto lasciare da parte la mia veste di politico per lavorare in armonia. Intendo fare lo stesso all’OSE.
Sono stato socializzato in un ambiente di sinistra e sono diventato liberale conservatore per convinzione. I miei studi in filosofia politica e il mio essere bilingue mi permettono di prendere le distanze e comprendere altre culture. Mi considero un costruttore di ponti.

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Di che rete dispone per difendere gli interessi della Quinta Svizzera?
Devo ancora espandere la mia rete, in particolare conoscere meglio i membri dell’intergruppo parlamentare. Approfitto anche del Consiglio degli svizzeri all’estero, che si è tenuto di recente, per stabilire contatti.
Inoltre, ho lavorato ai servizi del Parlamento. Quindi conosco i codici, non ho difficoltà ad avvicinarmi ai e alle parlamentari. Questo facilita il networking.
Sono anche convinto che le relazioni umane e la fiducia siano alla base di un lavoro di qualità che porta a buoni risultati.

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Quali saranno le sue priorità?
Quando assumo una funzione, mi pongo sempre questa domanda: “Cosa metteremmo in atto se l’organizzazione fosse fondata oggi?”. Questo metodo ci permette di pensare oltre le tradizioni e di abbandonare quelle che non sono più efficaci per raggiungere gli obiettivi che l’organizzazione si è prefissata. Ed è sempre più facile farlo all’inizio, prima di essere intrappolati dal sistema.
Spero di poter mantenere questo spirito, in modo da poter sviluppare una visione comune e orientare le forze vitali dell’OSE in questa direzione.

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