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In debito con il Sudafrica

Bambini dell'asilo Little Lambs a Hout Bay, in Sudafrica. Jgor Sertori

Elke Zwicker ha vissuto per trent'anni in Svizzera. Poi, la nostalgia del Sudafrica, paese che l'ha vista crescere, è diventata troppo grande. Così, quattro anni fa è ritornata nella nazione arcobaleno, dove si è reinventata una vita.

Viaggiare da Noordhoek a Hout Bay costa 30 Rand. È il prezzo che si paga per percorrere la via incollata alla montagna del Cheapmans Peak e per godersi la bellezza delle immagini racchiuse in pochi chilometri di strada: una spiaggia bianca e lunghissima sulla quale trottano un branco di cavalli, le acque fresche e mutevoli dell’Oceano Atlantico, le rocce che vi si immergono quasi a volersi rinfrescare.

Dopo aver scollinato, si raggiunge una baia racchiusa tra uno spuntone di roccia ad oriente e il Cheapmans Peak, appunto, ad occidente. 30 Rand, poco più di quattro franchi svizzeri, non sono certo molti per godere di un tale scenario.

Ritorno in Sudafrica

Entro a Hout Bay, in quello che era un paese di pescatori e che ora è discretamente affollato di ville di varie dimensioni, per dirigermi verso Imizamo Yethu, un agglomerato di strutture di latta, legno e miseria. La township di Hout Bay dove 30 Rand hanno tutt’altro valore.

In questo villaggio nell’estremo sud del Sudafrica mi aspetta Elke Zwicker. Dopo quasi trent’anni trascorsi in Svizzera, ritornare in Sudafrica per Elke non è stato indolore: vi era una rete di amicizie ancora da costruire, un marito spesso fuori casa per lavoro, sentimenti di solitudine da gestire, la nostalgia della vita e dei rapporti lasciati in Svizzera e il ricordo di un altro Sudafrica, quello lasciato tanto tempo prima.

«Sono cresciuta in un paese segregazionista. Ero giovane e quella era l’unica realtà che conoscevo. Tre decenni più tardi mi ritrovo a vivere in un posto diverso, dove bianchi, neri, meticci ed indiani godono degli stessi diritti. Devo ammettere che le strutture statali, l’amministrazione, la burocrazia e la sicurezza erano tutt’altra cosa prima dell’avvento del nuovo Sudafrica. È innegabile comunque il fatto che ora mi trovo a vivere in una società più giusta, almeno in parte», racconta Elke, senza ipocrisia, ma con quella punta di rammarico propria di molti sudafricani bianchi.

Al servizio della comunità

Elke, una signora coraggiosa che deve reinventarsi una vita, sceglie così di mettere il proprio tempo e le proprie conoscenze al servizio della comunità. Saputo di un asilo sorto per volontà della comunità cristiana di Hout Bay, decide di dare una mano a questa struttura.

«Quando sono entrata per la prima volta al Little Lambs mi sono trovata immersa in un ambiente degradato, quasi un’estensione naturale del contesto di miseria e decadimento che lo ingloba. Più di un centinaio di bambini stipati in pochi locali, piccoli e fatiscenti».

Elke capisce subito che non è solo un finanziamento adeguato a mancare. «La struttura, che oggi ospita circa 150 bambini, non aveva nessuna linea direttiva. Vigeva un caos per nulla salutare per la crescita e l’educazione dei piccoli ospiti».

L’inglese, la chiave per un futuro diverso

Oltre a prestare volontariato per due mezze giornate settimanali al Little Lamb, Zwicker decide di partecipare ad un altro progetto educativo: sostenere scolari con problemi di apprendimento dell’inglese. Entra così a far parte del gruppo di 150 volontari che ogni settimana si recano nelle scuole della città a fungere da insegnanti di sostegno.

Sono in special modo i bambini provenienti da aree culturali nere a faticare nell’acquisizione dell’inglese, la lingua chiave per costruirsi un futuro diverso. «Sia nelle scuole elementari che al Little Lamb, gli educatori si impegnano a far capire ai bambini quanto sia importante la conoscenza di questa lingua», sottolinea Elke.

Mentre noi si discute, il rumore inconfondibile di bambini allegri si fa più forte. Escono dalle aule e si riversano nel grande parco giochi della struttura: è il momento della ricreazione. Prendo la macchina fotografica e tolgo il coperchio all’obiettivo. Mi chino e chiedo loro se posso fare alcune foto. Dai visi curiosi, sorridenti, ma anche diffidenti non arriva risposta; non ce n’è bisogno. Scatto a raffica, poi giro l’apparecchio perché i bambini mi fanno capire che gli interessa vedere. Sono nati nel nuovo millennio e vivono nella periferia di una città cosmopolita e all’avanguardia, eppure si meravigliano davanti ad un apparecchio fotografico ed alla sua magia.

Da due a dieci

Torno a Elke e alla sua storia. Da anni un filantropo tedesco sostiene finanziariamente la struttura e visto che mancava una persona responsabile della gestione delle donazioni, Elke abbandona l’aula scolastica per dedicarsi all’amministrazione della scuola materna. E così, le due mezze giornate di lavoro diventano dieci.

Tre anni fa, in seguito alle forti piogge invernali, il muro che delimitava la struttura crolla. Elke prende la palla al volo e organizza una raccolta fondi. Il muro viene ricostruito più bello e forte di prima. Nel frattempo, grazie alla presentazione televisiva del progetto da parte di una rete nazionale tedesca, altri soldi affluiscono nelle casse di Little Lambs. Con questo denaro i locali sono ristrutturati, altri vengono aggiunti e nel 2008 si inizia la costruzione di un grande parco giochi all’aperto.

«Il nostro obiettivo è di rendere indipendente la scuola», racconta Elke. Al momento il governo sostiene Little Lambs visto che la scuola rispetta i criteri richiesti dal dipartimento dell’istruzione. Un bella conquista, ma ancora insufficiente.

Pochi privilegiati

«I genitori dei bambini che frequentano la scuola devono pagare una retta mensile di 300 Rand, un’enormità per chi vive in una township sudafricana. «Solo i bambini con entrambi i genitori che lavorano possono permettersi di pagare la tassa mensile. Alcuni, per fortuna, ricevono un piccolo sostegno da parte del governo», afferma Elke, sottolineando che con questa retta riesce a malapena a coprire le spese per la merenda e il pranzo.

E gli altri bambini che non hanno accesso alla scuola? Ci sono strutture fatiscenti dove si trovano perlopiù a giocare, ammesso che ci siano dei giocattoli. Altri ancora, vagano per le strade, elemosinando qualsiasi cosa.

«Non ho potuto avere figli miei – confida Elke – e questi bambini mi riempiono di gioia. Inoltre, credo di dover rendere qualcosa a questa magnifica nazione che mi ha vista crescere e che mi ospita tutt’ora con il sorriso sulle labbra e la mano tesa in segno di amicizia».

Nel 1999 Marlena e Johann van der Walt, membri della Vineyard Church di Hout Bay, incoraggiano i membri della chiesa disoccupati a prendersi cura dei bambini di genitori impegnati professionalmente.

Dal 2001, grazie ad alcuni donatori come Marlis Schaper, il piccolo asilo nido offre pannolini, cibo e materiale ludico ai bambini che lo frequentano.

Nel 2005 la struttura trova una nuova ubicazione in un bel parco verde di proprietà dell’YMCA di Hout Bay, ai margini della Township di Imizamo Yethu (in xKhosa significa “Grazie ai nostri sforzi”).

Oggi, l’asilo impiega un amministratore a tempo pieno ed educa e si occupa di oltre 150 bambini.

È nata in Germania da genitori tedeschi. Cresce in Namibia e a Johannesburg in Sudafrica.

A vent’anni si trasferisce in Svizzera ed Aarau conosce Hans Ruedi, il futuro marito.

Hans Ruedi,  zurighese, negli anni ’70 lavora per una ditta americana con sede a Johannesburg.

Dopo 5 anni di permanenza in Sudafrica, la coppia fa ritorno in Svizzera dove vi rimane per 30 anni.

Quattro anni fa, la coppia  fa ritorno in Sudafrica, a Città del Capo.

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