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La Svizzera sostiene l’Europa per salvare l’accordo di Kyoto

Il segretario di Stato svizzero all'economia David Syz Keystone Archive

Riparte da New York il tentativo internazionale di salvare il protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici da una morte annunciata dal presidente americano George W. Bush. Ai lavori della Commissione delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, che si concluderanno domenica, presente anche una delegazione svizzera diretta dal segretario di Stato David Syz.

Da venerdì e per due giorni i ministri dell’Ambiente di 42 paesi tra i quali la Svizzera, chiariranno in occasione della Commissione per lo sviluppo sostenibile dell’ONU se e con quali partner potrà mai avere un seguito il trattato internazionale sottoscritto in Giappone nel ’97 per salvare la Terra da uragani, alluvioni, siccità ed eventi climatici estremi causati dai gas serra. Il trattato, siglato da oltre 150 paesi con l’obiettivo di ridurre entro il 2008-2012 del 5,2 percento le emissioni globali di anidride carbonica rispetto ai livelli del 1990, è al momento lettera morta: nessuno dei 38 paesi industrializzati lo ha ancora ratificato.

Al fallimento della conferenza sul clima dell’Aja, lo scorso novembre, erano presenti i delegati dell’amministrazione Clinton, ma non c’è dubbio che a rimettere tutto in gioco è stato il clamoroso dietro front, il mese scorso, del presidente americano Bush. Contrario ad un trattato che richiederebbe uno sforzo economico troppo pesante, soprattutto nell’attuale fase di crisi energetica americana, il presidente degli Stati Uniti ha suscitato l’ira degli ambientalisti e dure critiche internazionali. «Nessun paese ha il diritto di decretare unilateralmente la morte di un trattato internazionale», è stata la replica della commissaria all’Ambiente dell’Unione europea Margot Wallstrom.

Il segretario di Stato David Syz, a capo della delegazione svizzera, ha detto che Berna sosterrà «la chiara linea dell’Unione europea» e, pur dispiacendosi che gli Stati Uniti non abbiano finora offerto nessuna proposta alternativa, ha rilevato che ci sono anche motivi di speranza: «Grazie ad un chiaro atteggiamento del resto del mondo gli Stati Uniti hanno nettamente ammorbidito la loro posizione». «Molto probabilmente parteciperanno con nuove idee ai negoziati per il protocollo di Kyoto».

La Svizzera, rappresentata anche da Jean-François Giovannini, direttore supplente della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), si impegnerà affinché sia reso più facile a livello mondiale l’accesso all’energia. In concreto Berna ha contribuito con 7,6 milioni di franchi ad un fondo per l’energia solare nei paesi del Sud. «Vogliamo segnalare che non basta discutere ma bisogna anche agire» – ha rilevato Syz.

La strategia europea è stata decisa al vertice informale dei ministri dell’ambiente dei Quindici a Kiruna, in Svezia, all’inizio di aprile. Il protocollo di Kyoto è ancora vivo ed entrerà in vigore «con o senza gli Stati Uniti». Certo, sarebbe meglio tentare di far tornare sui propri passi chi, come gli Stati Uniti, emette con le sue industrie alimentate in gran parte da combustibili fossili il 25 percento del totale di anidride carbonica. Ecco perché i colloqui con l’amministrazione Bush non si sono mai interrotti.

Allo stesso tempo, però, una delegazione europea capeggiata dalla stessa Wallstrom ha concluso nelle ultime due settimane incontri diplomatici con paesi che domani, a New York, si possono rivelare preziosi alleati: Russia, Giappone, Cina e Iran (al momento a capo del G-77, i paesi in via di sviluppo).

Il rischio principale che diversi delegati europei non nascondono è che gli Stati Uniti decidano di far nascere un nuovo piano di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Il piano, basato essenzialmente sulla volontarietà (ossia senza più tetti prestabiliti), troverebbe già favorevoli Canada e Australia («Non penso che l’accordo di Kyoto possa sopravvivere senza gli Stati Uniti», ha detto il ministro dell’ambiente australiano Robert Hill). Ma il fronte del cosiddetto «Umbrella Group» (Stati Uniti, Canada, Australia, Russia e Giappone), non sembra più così coeso come all’Aja. Russia e Giappone si sono detti pronti ad affiancare l’Europa, così come i paesi dell’Est.

A New York l’Unione europea tirerà le prime somme su chi porterà avanti la battaglia di Kyoto anche senza gli Stati Uniti. Perché il protocollo di Kyoto entri in vigore, infatti, deve essere ratificato da 55 nazioni che rappresentino il 55 percento delle emissioni da parte di paesi industrializzati o con economie in transizione.

La possibilità di fare a meno degli Stati Uniti esiste sulla carta: secondo i conti fatti dal ministro dell’ambiente italiano Willer Bordon e da quello tedesco Jurgen Trittin, se ratificassero l’accordo Medio Oriente, Giappone e Russia (ad esclusione dell’Ucraina filo- Stati Uniti) si arriverebbe al 55,7 percento; addirittura al 60,6 percento convincendo anche l’Ucraina.

Ma dalla matematica ai fatti ce ne corre. Non per niente – è stato fatto notare – Jan Pronk, presidente della Conferenza sui cambiamenti climatici e ministro dell’Ambiente olandese, appena arrivato a New York ha lanciato un appello affinché gli Stati Uniti «non blocchino l’accordo se altri paesi vogliono aderire». Senza gli Stati Uniti, infatti, diventa cruciale la partecipazione di paesi come Canada, Australia e Giappone.

swissinfo e agenzie

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