Lo stigma dell’aborto
Ancora oggi, sono molti in Svizzera gli ostacoli per le donne che hanno deciso di abortire. Specialisti/e di salute sessuale e OMS suggeriscono di intervenire sul quadro legale.
Negli ultimi anni, si è tornato a parlare anche in Svizzera dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in particolare a seguito della decisione della Corte suprema statunitense di revocare il diritto all’aborto. Nel frattempo, in Francia il Parlamento discute della proposta di iscrivere questo diritto nella Costituzione e in Italia il partito dell’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stato accusato dalle fazioni avversarie di volerne limitare l’accesso.
Nella Confederazione, ancora oggi il diritto di abortire è inserito nel Codice penale. Nel 2022, il Paese ha adottato il cosiddetto “regime dei termini”: l’IVG non è punibile, laddove praticata entro le prime 12 settimane di gravidanza e “in base a una richiesta scritta, in cui una donna dichiari di trovarsi in difficoltà”. Passato questo termine, per poter eseguire un aborto il personale sanitario deve dimostrare “un grave pericolo per l’integrità fisica di una donna incinta”.
Il quadro giuridico svizzero non corrisponde a quanto prevedono le linee guida sulla materia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che sono state aggiornate lo scorso anno. L’OMS raccomanda che l’aborto sia completamente depenalizzato e suggerisce di eliminare le indicazioni sul termine temporale entro il quale un aborto possa essere praticato.
Sono già 32 i Paesi europei che hanno deciso di regolamentare l’IVG con una legge ad hoc, esterna alla legislazione penale. È in particolare il caso di Francia, Belgio e Regno Unito.
>> Come mostra questa infografica, l’aborto è proibito in una ventina di Paesi, e soggetto a condizioni estremamente restrittive in un centinaio di Nazioni:
Discussioni politiche infuocate
Per il momento, le raccomandazioni dell’OMS non hanno trovato largo consenso in Svizzera. Lo scorso marzo, il Parlamento ha bocciato un’iniziativa della deputata verde Léonore Porchet, che chiedeva di rimuovere l’aborto dal Codice penale. La maggioranza di destra ha ritenuto che il “regime dei termini”, in vigore da oltre vent’anni, abbia dato risultati positivi. “È assurdo pensare che semplicemente spostando le stesse regole dal Codice penale a un’altra legge con altro titolo, basterebbe per non fare sentire in colpa le donne che abortiscono”, ha commentato durante il dibattito in aula il deputato Yves Nidegger dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice).
Ma se chi propone un approccio più liberale alla questione non riesce a imporsi, anche l’ala antiabortista fatica a far passare le proprie istanze. Come un po’ ovunque in Europa, anche in Svizzera i movimenti “pro-vita” hanno guadagnato terrenoCollegamento esterno. E da ormai un decennio, tentano in ogni maniera di limitare il diritto all’aborto. Nonostante il grande attivismo, tuttavia, sono ancora oggi dei movimenti minoritari, che non sono mai riusciti a portare a casa un risultato positivo nelle votazioni popolari.
Di recente hanno subito un’ulteriore sconfitta. Due deputati UDC avevano lanciato due iniziativeCollegamento esterno popolari che puntavano a limitare l’accesso all’IVG, i cui testi erano stati preparati da organizzazioni antiabortiste. I comitati non sono riusciti però a raccogliere entro il 21 giugno le 100’000 firme necessarie affinché il quesito fosse posto in votazione.
Altri sviluppi
I movimenti antiabortisti guadagnano terreno, in Svizzera come altrove
Arrivare a una rivalutazione
Nonostante la situazione politica di stallo, alla fine di agosto il Consiglio federale ha tuttavia espresso un parere positivo in relazione a un postulatoCollegamento esterno che chiedeva una rivalutazione dell’attuale quadro giuridico. Quattro deputate avevano depositato in Parlamento degli interventi che chiedevano di ridiscutere la legge, identificare gli ostacoli esistenti nell’attuale situazione e presentare misure per affrontarli. Tali, interventi sono stati depositati, fra gli altri, dalla liberale-radicale Susanne Vincenz-Stauffacher, dalla socialista Min Li Marti, dalla verde Léonore Porchet e dalla verde-liberale Melanie Mettler.
“Perché sappiamo da molte testimonianze, che ancora oggi le donne che in Svizzera decidono di abortire devono affrontare e superare molti ostacoli”, spiega Porchet.
Approvato da tutti i partiti a eccezione dell’UDC, questo postulato ha ottime possibilità di essere adottato dal Parlamento prossimamente. La potenziale novità non è vista di buon occhio da chi invece difende il sistema in vigore. Il deputato dell’Alleanza di Centro Benjamin Roduit, l’unico del suo partito a essersi espresso a favore di iniziative antiabortiste, ritiene per esempio che non ci sia nessuna ragione per rimettere mano al dossier.
“Non è percepita come una priorità, né da parte della popolazione, né dal mondo della politica”, sostiene Roduit. A suo parere, le richieste di depenalizzare completamente l’aborto sono estremiste. “Perché se si rispetta la legge, non ci sono ostacoli per una donna che desideri abortire”, dice.
“Vieni spinta a ripensarci”
L’esperienza reale delle donne che hanno abortito, però, sembrerebbe diversa. “È stato mentre parlavamo di contraccezione, che mi sono resa conto che la mia ginecologa si sarebbe rifiutata di praticare un aborto”, racconta Marine Ehemann. In quel momento della sua vita, la 32enne di Losanna sperava che non avrebbe mai avuto bisogno di ricorrere a un’IVG. Ma per una questione di principio, decise in ogni caso di cambiare specialista. “Mi ha traumatizzato, scoprire quale fosse la posizione di questo medico di cui ero paziente da anni. Credo che l’eventuale posizione di obiezione di coscienza di un medico debba essere comunicata in maniera esplicita e chiara”, dice a swissinfo.ch questa dottoranda in scienze politiche.
Di lì a breve, però, Marine Ehemann scopre di essere incinta. “Nonostante avessi un posto di lavoro fisso e una relazione sentimentale stabile, non era per me il momento giusto per diventare madre. Avevo molte cose importanti in ballo, fra cui la tesi di laurea”. Dopo un’intensa e difficile riflessione, ha quindi deciso di interrompere la gravidanza.
Nonostante questo, la giovane donna ha dovuto aspettare due settimane, finché la gravidanza fosse visibile tramite un’ecografia. “L’attesa è stata devastante. Tanto più che cominciavano a manifestarsi i sintomi della gravidanza”, racconta. Pur essendo convinta della decisione presa, ha dovuto ripeterla e ribadirla a più riprese. “È un percorso lungo, che ti spinge a rimettere in discussione la tua decisione. Devi essere forte, per non cedere”, dice.
Tempi d’attesa
La vicenda di Marine Ehemann non è un caso isolato. A chi si occupa per mestiere di salute sessuale, vengono regolarmente riportate storie simili. Una di loro, che desidera rimanere anonima, racconta: “Persino laddove una donna sia sicura di voler interrompere la gravidanza, non è raro che le venga prescritta la pillola abortiva solo al secondo appuntamento. Nella pratica, significa imporle un tempo di attesa per continuare a riflettere sulla sua decisione”.
Anche Barbara Berger, direttrice di Salute Sessuale Svizzera, conferma queste difficoltà. Sottolinea che un certo numero di ginecologi e ginecologhe che lavorano in Svizzera rifiutano di praticare IVG in virtù di convinzioni religiose o di natura etica. In Italia, l’obiezione di coscienza viene monitorata e secondo i dati più recenti del Ministero della SaluteCollegamento esterno, che risalgono al 2020, la loro percentuale è pari al 64,6% di ginecologi e ginecologhe.
In Svizzera, non sono disponibili dati sulla questione. Barbara Berger spiega che nel Paese: “gli ospedali pubblici sono obbligati a fornire questa prestazione: se un medico rifiuta di occuparsene, sarà un’altra persona a doverlo fare. Naturalmente, questo potrebbe allungare i tempi di attesa”. Gli studi e le cliniche private, invece, sono liberi di scegliere se praticare o meno l’IVG.
Depenalizzare per abbattere lo stigma?
Barbara Berger ritiene che l’iscrizione nel Codice penale sia all’origine dello stigma che continua a circondare la questione dell’aborto. “È un sistema che mette sotto forte pressione il personale sanitario, che è tenuto ad assicurarsi che la donna faccia la scelta giusta. E questo apre la porta a commenti moraleggianti”, dice. Berger critica, inoltre, il fatto che sia necessario sottoscrivere una dichiarazione di stato di difficoltà, perché l’interruzione di gravidanza sia legale.
Salute Sessuale Svizzera non ha dubbi: l’aborto non deve più essere regolamentato dal Codice penale, ma da una specifica legge di salute pubblica, com’è il caso in Francia. Barbara Berger ritiene che questo consentirebbe di mettere al centro della questione l’autodeterminazione e la salute della paziente. “Nel momento in cui una donna ha preso la sua decisione, deve essere possibile praticare l’interruzione di gravidanza senza tempi di attesa e senza ostacoli di alcun genere”, conclude.
Testo riletto e verificato da Virginie Mangin & Samuel Jaberg
Tassi molto bassi in Svizzera
Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), il tasso di aborto in Svizzera è fra i più bassi al mondo – riguarda poco più di 6 donne in età fertile su 1’000. Lo confermano i modelli sviluppati dall’OMS e dal centro di ricerca statunitense Guttmacher Institute, che vedono la Confederazione in coda alla classifica del ricorso all’IVG, insieme a Singapore.
In un articolo pubblicato in precedenza da swissinfo.chCollegamento esterno, Clémentine Rossier, professoressa associata presso l’Istituto di salute globale dell’Università di Ginevra (UniGE) spiegava che queste cifre sono da attribuire “all’eccellente sistema di educazione sessuale” nelle scuole primarie, e “all’ottima rete di centri di pianificazione familiare” gestiti da Salute Sessuale Svizzera.
Serena Tinari
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